In morte del sovranismo
La quasi certa sconfitta di Trump negli Stati Uniti certifica la fine di un certo modo di far politica, i cui limiti sono stati esaltati dall'attuale pandemia in corso.
La quasi certa sconfitta di Trump negli Stati Uniti certifica la fine di un certo modo di far politica, i cui limiti sono stati esaltati dall'attuale pandemia in corso.
Donald Trump ha “quasi” vinto, dice chi la sa lunga. Quindi – aggiungo più modestamente io che la so corta – ha perso. Solo questo rimarrà consegnato alla storia e al tabellino. L’onda emotiva di queste ore, ergo i deliri trumpiani sui ricorsi e la Corte Suprema, si sbriciolerà come tutte le emozioni. The Donald, vecchia volpe, in un disperato colpo di coda ha finto di (auto)proclamarsi vincitore in pieno spoglio, solo un codazzo di opinionisti e giornalisti che segue l’onda più che le notizie, poteva (per qualche ora) cadere nel tranello. Così è puntualmente accaduto, ma tant’è.
La sostanza dice invece che Trump è riuscito nell’impresa di non farsi rieleggere, roba grossa vista la tradizione delle presidenziali, nelle quali un secondo mandato generalmente non si nega a nessuno. Dal dopoguerra a oggi infatti solo il democratico Carter nel 1980 e il repubblicano Bush Sr nel 1992 non sono riusciti a confermarsi (ma quest’ultimo aveva sul groppone otto anni di Reagan, quindi non fa testo nella logica dell’alternanza). In campo democratico, pure dopo l’assassinio di Kennedy (in carica dal 1961) nel 1963, gli americani diedero fiducia al suo vice e successore Johnson per un secondo mandato fino al 1969. E in campo repubblicano pure Nixon vinse le sue seconde elezioni nel 1972, salvo poi dimettersi l’anno successivo per il Watergate.
Se la vittoria di Trump nel 2016 ha segnato lo sdoganamento istituzionale del sovranismo nel mondo occidentale – di quella vittoria ne hanno beneficiato Boris Johnson in Uk e per un certo periodo Salvini in Italia – la sconfitta ne segna il de profundis. Oggi la destra sovranista è buona per far godere e soddisfare gli “ultrà della politica”, i fans, le groupies dei social, ma non per vincere le elezioni o governare.
Non a caso, in Italia, Giancarlo Giorgetti, vice di Salvini e uomo dell’intellighenzia, da mesi sta facendo pressioni sul leader per una nuova linea politica e un riposizionamento più centrista del partito sul piano europeo: “Altrimenti non torneremo più al Governo” avrebbe detto Giorgetti secondo un retroscena de Il Foglio. E lo stesso Johnson, in Uk, è in difficoltà, tra le clamorose retromarce sul Covid e i mal di pancia scozzesi.
E non è nemmeno un caso che proprio il Covid, pandemia globale e transnazionale, abbia evidenziato i limiti di tutti i leader sovranisti, che hanno negato e minimizzato un qualcosa di cui invece la popolazione (il loro caro “popolo”, parola di cui si riempiono la bocca) ha percezione e paura reale, e di cui sono addirittura rimasti vittime loro stessi come una nemesi perfetta. Un disastro politico e comunicativo, insomma.
La storia va veloce e ha chiuso, altrettanto velocemente, l’esperienza trumpista. La destra se vuole tornare a essere credibile, e vincere, deve abbandonare la deriva sovranista, ormai già fuori dal tempo.