Ristoranti e bar chiedono di ripartire in sicurezza
Emanuel Baldo (Confcommercio): "Vogliamo riaprire la sera le nostre imprese, con controlli anche rigorosi e severi". Le misure economiche chieste dai pubblici esercizi
Emanuel Baldo (Confcommercio): "Vogliamo riaprire la sera le nostre imprese, con controlli anche rigorosi e severi". Le misure economiche chieste dai pubblici esercizi
Coronavirus, le imprese della ristorazione e dei pubblici esercizi tornano a chiedere di poter riaprire in sicurezza. Dopo la protesta pacifica, qualche mattina fa, nel centro di Verona (ne abbiamo parlato nell’articolo a cura di Matteo Dani), con migliaia di partecipanti, si sollecita una risposta alla richiesta di dialogo e interventi concreti presentata al governo nazionale.
La protesta si è svolta in 24 piazze italiane, insieme con tassisti, imprenditori del catering. Si sono poi aggiunti gli altri comparti, come quello degli eventi e dello sport, interessati dal decreto-chiusure (il Dpcm) del premier Conte per contenere il contagio da Covid-19.
«Se non ci ascoltano, torneremo a far sentire le nostre ragioni di imprenditori che chiedono di poter lavorare, nel rispetto di regole anche severe», sottolinea Emanuel Baldo, veronese, che siede nel consiglio nazionale Fipe (la Federazione nazionale dei pubblici esercizi di Confcommercio).
Cosa chiedono al governo nazionale i titolari di ristoranti, trattorie e bar?
«Di poter riaprire la sera, fino a una certa ora e seguendo i protocolli anti-Covid, da far rispettare con i dovuti controlli. Di avere un credito d’imposta sugli affitti, in modo da andare incontro anche ai proprietari di immobili. Di portare l’Iva dal 10 al 5% sul comparto alimentare e della ristorazione, per un certo periodo di tempo. Chiediamo il blocco trimestrale delle tasse locali, come quella sui rifiuti e gli immobili; e una cassa integrazione che funzioni per salvaguardare il posto di lavoro dei nostri dipendenti e consentirci di tenerli, senza essere costretti a licenziare.»
Com’è nata la protesta contro gli ultimi provvedimenti anti-Covid?
«Ai primi di ottobre, la Federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio ha chiesto un colloquio al premier Conte. Il 15 del mese la richiesta è stata accettata e siamo stati ammessi all’incontro per stabilire una lista di cose da fare, in modo da conciliare la battaglia contro il virus e il metterci nelle condizioni di andare avanti. Da parte nostra c’era la proposta di rispettare le linee guida – distanziamento, mascherine, strumenti di protezione nei locali e quello che serve – a fronte di controlli veri e severi sui locali. Chi non avesse rispettato le regole, avrebbe dovuto chiudere. Invece, il presidente del Consiglio alla fine ha deciso di emanare il decreto senza tener conto delle nostre proposte.»
A mancare è stata una concertazione su come affrontare insieme la situazione, in sostanza…
«Si badi bene che la nostra richiesta non era e non è quella di avere sussidi a fronte di una chiusura. Abbiamo chiesto, e torniamo a chiedere, di darci una mano per tenere aperto. Con regole precise, con controlli a garanzia dei clienti e degli imprenditori desiderosi di lavorare nel rispetto dei protocolli. Non lavorare dopo le 18 vuol dire dimezzare il fatturato. Alle nostre rimostranze si sono poi sommate quelle del settore turistico, degli agenti di viaggio, di chi lavora con gli eventi e del mondo dello sport.»
Quando sono stati riaperti ristoranti e bar, dopo il lockdown, ho constatato una netta separazione. Da una parte, imprenditori attenti e rispettosi delle regole, dall’altra chi ha preso i protocolli sulla ristorazione come una maledizione divina, inutile e pesante. Non risulta anche a lei?
«Come in tutti i comparti economici, c’è chi si lamenta che deve spendere e chi pensa: voglio far stare meglio il mio cliente, attuo tutte le misure e così lo attiro in tranquillità nel mio locale. Il secondo approccio è proprio di chi ha a cuore l’impresa e investe in sicurezza, magari rinunciando a qualcos’altro. Questo è un motivo in più per dire al governo: gli imprenditori che hanno rispettato le regole, hanno speso in misure anti-Covid, sono ligi di fronte al protocolli a un certo punto si sentono dire di dover chiudere. Non è così che si tratta chi crede nella propria azienda e lavora per il bene di tutti.»
Come si sta muovendo l’amministrazione comunale di Verona?
«Il Comune ha dimostrato attenzione e buona volontà di fronte alla situazione in cui ci troviamo. Ha concesso l’uso del plateatico, in centro, fino al 31 dicembre. Se si chiede e si fanno proposte, qualcosa si ottiene. Certo, siamo tutti chiamati a riflettere sul fatto che ora facciamo i conti con una Verona senza turismo e senza grandi eventi fieristici, sportivi e di spettacolo. L’insegnamento da trarre è che bisogna progettare anche altri modi di vivacizzare l’economia e di valorizzare il centro storico.»
Cosa farà adesso il mondo dei bar e della ristorazione?
«Il mese di novembre, per alcuni imprenditori della ristorazione e dei bar, è un mese morto. C’è però poi il periodo natalizio e l’avvio del 2021. Non possiamo pensare che i ristoranti si salvino con il take-away, più adatto a realtà come quella delle pizzerie. Da far notare, poi, che da un lato si chiudono luoghi, come bar e ristoranti, dove si rispettano i protocolli; e poi dall’altro lato la gente si ritrova senza controlli e misure di sicurezza nelle case private. Torneremo a far sentire le nostre richieste e a proporre di spostare la chiusura a tarda sera, in modo da recuperare la fascia delle cene. Non dimentichiamo che lo smart-working ha tagliato, di suo, una fetta di clientela del nostro comparto che arriva al 50%. Ci dicano quali misure assumere, si facciano controlli serrati e severi, si punisca chi trasgredisce; ma ci si permetta di lavorare in sicurezza. E di servire al meglio i nostri clienti.»
(Le foto sono state fornite da Nicola Baldo, Fipe)