Belgio: il “campanilismo” all’epoca del Covid-19
Nel piccolo Paese sede delle istituzioni europee ci sono più divisioni che in Italia.. Anche nella gestione sanitaria del Covid-19. Un esempio che può far scuola.
Nel piccolo Paese sede delle istituzioni europee ci sono più divisioni che in Italia.. Anche nella gestione sanitaria del Covid-19. Un esempio che può far scuola.
È innegabile che la gestione dell’emergenza sanitaria legata al COVID ha portato alla ribalta molti governatori delle regioni che non perdono occasione e che rivendicano il proprio metodo di gestione dell’emergenza e tuonano contro le decisioni prese a Roma. Chi non ha in mente le ultime dichiarazioni dei vari Toti, De Luca, Zaia, Fontana, Bonaccini, Emiliano che in maniera più o meno colorita stigmatizzano certi comportamenti o prendono posizione su certi provvedimenti? Non a caso il Ministro degli Affari Regionali ha avuto il suo bel daffare per cercare linee guida comuni e ricordare che il diritto alla salute è sancito dalla Costituzione per tutti i cittadini italiani senza riguardo alla regione di residenza.
Se si può essere sorpresi dell’esplosione di questi localismi durante questo periodo difficile, è utile osservare che questo non è un fenomeno prettamente italiano, ma che invece è osservabile in altri paesi nostri vicini. Nelle ultime settimane, la forte crescita dell’epidemia di coronavirus in Belgio è tornata a suscitare forti allarmi sia tra la popolazione che nelle autorità. Ogni giorno nel paese migliaia di persone (più o meno sui livelli registrati in Italia) risultano positive al test nonostante la dimensione relativa del paese (la popolazione è circa 1/6 di quella italiana).
La città di Bruxelles è quella più colpita nel paese e, a detta della stampa locale, è diventata la città più colpita in Europa dopo Madrid. In effetti le autorità locali sono state costrette a prendere misure straordinarie, come la chiusura di alcune attività commerciali (ad esempio i bar), incoraggiando il lavoro a distanza e chiedendo di portare la mascherina anche all’aperto. Ciò che preoccupa di più è che gli ospedali in città sono vicini alla saturazione dei reparti Covid, ed i pazienti hanno iniziato ad essere trasferiti in altri ospedali del paese.
La sanità in Belgio è gestita, come in Italia, con una forte autonomia a livello regionale. Il Belgio è suddiviso in tre regioni, la Vallonia, le Fiandre e la ragione di Bruxelles Capitale, che è una piccola enclave in territorio fiammingo i cui confini terminano appena oltre i sobborghi di Bruxelles. La cintura urbana esterna di Bruxelles si trova pertanto in territorio fiammingo. A questo aspetto puramente geografico si aggiunge su un aspetto storico-culturale: Bruxelles è in origine una città fiamminga che nel XIX secolo, all’atto della creazione dello stato belga e dell’insediamento della famiglia reale nella città è stata gradualmente ed inesorabilmente trasformata in città francofona. L’ultimo processo che ha completato la “francofonizzazione” della città è stata l’arrivo nel dopoguerra delle istituzioni europee, accompagnate da migliaia di pubblici ufficiali stranieri che utilizzavano il francese come lingua di lavoro.
In questo contesto, ha fatto rumore la presa di posizione di Christoph d’Haese, sindaco di Aalst, uno dei comuni della cintura urbana in territorio fiammingo, che ha dichiarato che non vuole più i pazienti di Bruxelles negli ospedali della sua città visto che “i limiti della solidarietà medica sono stati raggiunti”. Il sindaco di Aalst adduce due ragioni a questa posizione: la prima è il rispetto della la prossimità. «Suppongo ragionevolmente che il principio di base debba essere che un paziente a Aalst dovrebbe poter recarsi in un ospedale di Aalst. È anche la cosa più responsabile dal punto di vista medico, a mio avviso.» La seconda ragione è finanziaria: «Gli altri interventi sanitari pianificati stanno diminuendo a causa della crisi del coronavirus, e questo ha un impatto sulle finanze della sanità.» Tali dichiarazioni sono state criticate sia nelle Fiandre che a Bruxelles. Il sindaco di Aalst non ha per ora replicato, ma la sua uscita non è né la prima né un caso di campanilismo isolato.
Il cronista ha raccolto altri tre esempi. La zona ricreativa di Hofstade, nel Brabante fiammingo, si trova a circa venti chilometri da Bruxelles. Nelle rare giornate di sole e di tempo è gradevole, lo specchio d’acqua e la spiaggia artificiale attirano numerose famiglie e giovani. Nel 2011 un gruppo di turisti viene coinvolto in risse e scontri violenti si verificano tra gruppi di giovani ed agenti di polizia. La stampa e diversi politici fiamminghi sparano a zero sulle “bande provenienti da Bruxelles” che hanno causato molteplici incidenti. Le stesse bande, sono a detta di questi politici, responsabili anche di eventi simili in altre zone ricreative delle Fiandre. A seguito di questa situazione ad Hofstade ed in altri centri ricreativi delle Fiandre viene introdotto un biglietto d’ingresso, aumentato per i residenti che non vivono nella provincia (e quindi per chi viene da Bruxelles).
Ad Asse, nella grande periferia di Bruxelles, dall’inizio del 2019 è vietato parlare francese nei mercati settimanali. Si tratta di una decisione dall’assessore degli Affari Fiamminghi Sigrid Goethals. «Siamo e restiamo un comune di lingua neerlandese», afferma cercando di contrastare il regresso della lingua olandese a seguito dell’arrivo di nuovi abitanti francofoni da Bruxelles. «Ecco perché vogliamo incoraggiare fortemente l’uso della nostra lingua.» Nello specifico, il Consiglio comunale di Asse ha deciso che gli esercenti dovranno esporre solo cartelli in olandese. Inoltre dovranno utilizzare il neerlandese come prima lingua con i clienti. In caso di infrazione sono previste ammende. La misura ha avuto eco anche in Francia ed è stata riportata dalla stampa francese. È stata inoltre criticata e ritenuta “incostituzionale” a causa della legge sull’uso delle lingue in Belgio.
Il comune di Dilbeek è adiacente alla regione di Bruxelles e ai comuni di Molenbeek, Anderlecht e Berchem-Sainte-Agathe. Una caratteristica speciale all’ingresso in questo comune con più di 40.000 abitanti sono i cartelli che annunciano “Dilbeek, waar Vlamingen Thuis zijn…” che significa: “dove i fiamminghi sono di casa”. L’interpretazione di questo messaggio è stata controversa: Dilbeek, dove parliamo solo fiammingo? Dilbeek, dove i Fiamminghi dettano legge? Dilbeek, dove i vicini francofoni di Bruxelles devono adattarsi quando vi si trasferiscono? In ogni caso, la valutazione di, questo messaggio tra gli abitanti non è stata unanime e molti lo hanno considerato discriminatorio. Questi pannelli esistevano in passato in altri comuni periferici prima di essere gradualmente rimossi. L’unico comune che ha deciso di mantenerli per tutti questi anni, è stato Dilbeek, ora governato da Willy Segers, sindaco nazionalista fiammingo. Dilbeek è storicamente una delle roccaforti del movimento nazionalista fiammingo che lotta contro l’invasione francofona di Bruxelles.
L’anno scorso un gruppo di attivisti ha deciso con un’azione simbolica di modificare questi cartelli scrivendo:”Waar iedereen thuis” (dove tutti sono benvenuti). L’azione dura solo alcune ore. Nel dibattito che segue l’azione, il sindaco dichiara che il messaggio originale deve restare in quanto parte dell’eredità culturale di Dilbeek. Tuttavia, per il consiglio giovanile di Dilbeek, questo slogan è obsoleto. Infatti, un’indagine indica che quasi la metà dei giovani del comune sono contro questo messaggio. Il dibattito è tuttora aperto.
Insomma, se in Italia siamo abituati alle nostre battaglie di campanile, in altri paesi europei le cose non sono in fondo troppo differenti. Questa è l’Europa con la sua forte eredità storica, che fatica ad amalgamare culture profondamente diverse. Da questo punto di vista, il Coronavirus sta ponendo un’enorme sfida a tutta l’Europa: solo una risposta comune e solidale può affrontare efficacemente l’emergenza sanitaria. Una sfida che se perderemo sarà pagata con molti lutti e dolore.