Scuola: a un mese dall’inizio la situazione a Verona
Dopo le estenuanti polemiche che hanno preceduto l'inizio delle lezioni, cerchiamo di capire insieme a tre insegnanti cosa sta succedendo negli istituti scolastici.
Dopo le estenuanti polemiche che hanno preceduto l'inizio delle lezioni, cerchiamo di capire insieme a tre insegnanti cosa sta succedendo negli istituti scolastici.
La scuola riparte in sicurezza, non riparte, riparte a singhiozzo: a un mese dall’inizio dell’anno scolastico, come sta andando in classe, oltre le polemiche? Preso atto del concreto e diffuso problema delle cattedre scoperte e delle nomine ancora da fare, tastiamo intanto il polso ai licei scaligeri, dalla provincia alla città, ascoltando tre docenti: Stefano Vicentini, professore di Lettere al Liceo Cotta di Legnago, e Alessandro Conti e Serena Spelta, insegnanti a Verona, rispettivamente Lettere al Liceo Maffei e Scienze umane al Liceo Montanari.
Un inizio di anno molto diverso da quelli a cui siamo stati abituati… Dopo tutti i dubbi, le incertezze, i proclami e le polemiche, com’è passato questo primo mese in classe? Qual è l’atmosfera?
Stefano Vicentini: «Questo primo mese in classe è stato vissuto nel segno della responsabilità da parte di ogni componente della scuola, traducendo in efficaci atteggiamenti pratici le regole anti-Covid e confidando nella reciproca collaborazione. All’avvio delle lezioni si sono tutti resi conto dei forti cambiamenti avvenuti: ingressi, orari e ricreazioni differenziati, nuova organizzazione degli spazi e dei gruppi classe, costante sanificazione e aerazione degli ambienti, per dirne alcuni. Le circolari dell’istituto hanno dato indicazioni chiare e semplici di comportamento, visibili anche dalle famiglie. Qualche criticità c’è stata ma ha prevalso la regola di non fare mai polemica, bensì di dare suggerimenti o segnalare le disfunzioni, insomma di essere pragmatici.»
Serena Spelta: «Questo primo mese è passato in fretta per me, in un’atmosfera sicuramente diversa, a tratti surreale e “sospesa”. Il clima di incertezza mi rende difficile fare piani sul lungo periodo, e allo stesso tempo mi spinge a fare il più possibile finché siamo fisicamente presenti a scuola.»
Alessandro Conti: «Ci stiamo già abituando al clima distopico di questo inizio anno. Nei corridoi della scuola delle grafiche rassicuranti ci ricordano che è vietato abbracciarsi: all’inizio faceva impressione a tutti, ma adesso ormai sono diventati parte dell’arredo e nessuno ci fa più caso. I ragazzi e le ragazze cominciano a rilassarsi, il che potrebbe anche non essere un bene, dal punto di vista di controllo del contagio.»
Tra i ragazzi, prevale lo scetticismo o l’atteggiamento è positivo e collaborativo? Come stanno vivendo questo momento?
Vicentini: «I ragazzi hanno vissuto i primi giorni nella tradizionale “fase di studio”, come solitamente fanno le new entry di prima che arrivano nella nuova realtà piuttosto disorientate. Tutti si sono fatti “guidare” dalle circolari e dagli operatori della scuola per seguire al meglio le regole. Dopo mesi di chiusura e lontananza dalla vita scolastica, dalle voci collettive era necessario riassicurare la presenza a scuola, non solo come fatto didattico ma anche per i rapporti sociali e un’alternativa alla quotidianità domestica. Perché la scuola è anche vita. Sono state rispettate le distanze e indossate le mascherine, ma i ragazzi hanno comunicato con sguardi, gesti, parole che permettono un’interazione più autentica del guardarsi attraverso gli schermi di pc, tablet e cellulari.»
Spelta: «I ragazzi finora sono bravissimi. Percepiscono le preoccupazioni degli adulti e reagiscono a queste mostrandosi collaborativi. Non mi pare siano interessati solo alla “movida” come, invece, sottolineano spesso i media. Mi sembrano desiderosi di normalità e forse anche di una scuola senza fronzoli e progetti mirabolanti, ma fatta di insegnanti, di banchi, libri, spiegazioni, campanelle, bidelli; insomma, di quella scuola normale, un po’ noiosa, ma a suo modo rassicurante, spazzata via dall’emergenza sanitaria.»
Conti: «Difficile dirlo, ogni gruppo è diverso. Diciamo che, se richiamati a tenere un comportamento più sicuro, solitamente reagiscono bene, perché si rendono conto che una motivazione reale c’è. Questo è un po’ uno scarto rispetto alla vita scolastica precedente, in cui c’era senza dubbio più contrapposizione rispetto alle regole dei grandi, considerate mediamente inutili, quando non apertamente vessatorie.»
Quali strategie ha adottato il vostro istituto? Sono state ben tollerate da docenti e ragazzi?
Vicentini: «Nel tempo in cui è rimasto aperto durante l’estate, il nostro Istituto ha visto alcuni operatori attivi in modo straordinario, senza risparmiarsi mai, per arrivare puntuali alla migliore condizione per la ripartenza dell’anno scolastico. Il Liceo Cotta ha una collettività superiore ai 1300 studenti e ai 100 docenti, perciò uno dei primi ragionamenti ha riguardato la logistica degli spazi. Sono state ripensate la biblioteca -trasformata in aula- l’aula magna e la sala computer, ottimizzando tutto ciò che si poteva. Si è chiesto poi alla realtà locale la disponibilità di ulteriori ambienti, esterni alle due sedi di viale dei Tigli (Legnago) e via don Bosco (Porto), così alcune classi sono state collocate alla Baita degli Alpini e all’Istituto Canossiano. La scuola ha seguito l’etica del “buon padre di famiglia” provvedendo alle necessità e confidando nella collaborazione di ognuno.»
Spelta: «Il nostro istituto ha adottato una fra le opzioni previste dalle linee guida ministeriali, probabilmente quella che sembrava più lontana e meno probabile, ovvero la turnazione delle classi nella necessità di gestire più di 1500 studenti. Un gruppo di classi segue le lezioni in presenza in orario mattutino, un altro gruppo frequenta in orario pomeridiano e al sabato mattina, giorno che nel nostro istituto da tempo immemorabile non prevedeva attività didattiche. Ogni tre settimane le classi cambiano turno. I ragazzi e le loro famiglie, quindi, si sono trovati a dover fronteggiare, sapendolo solo due settimane prima dell’inizio delle lezioni, cambiamenti consistenti che stanno incidendo sulla loro routine quotidiana, sia per le notevoli difficoltà nel poter conciliare questo orario con le attività extrascolastiche di tipo artistico e sportivo, sia per i disagi che questo comporta a causa dei trasporti locali, che sono purtroppo organizzati considerando solo l’orario mattutino. Per i docenti è più facile adattarsi, anche se la frequente articolazione dell’orario su entrambi i turni contemporaneamente presenta delle difficoltà, evidenti soprattutto nella gestione degli impegni collegiali e nello svolgimento della DDI, la didattica digitale integrata, necessaria per recuperare il tempo scuola non svolto a causa delle unità orarie in presenza di 45 minuti.»
Conti: «Si tratta essenzialmente di limitare il contatto tra gruppi di classi. Ogni classe è di fatto associata ad altre classi del medesimo corridoio, con le quali condivide i turni di ingresso, le ricreazioni e simili. C’è anche un’attenzione costante alla pulizia degli ambienti e al ricambio d’aria. Diciamo che, personalmente, ho una sensazione di sicurezza nel frequentare la scuola, soprattutto se la metto a confronto con altri ambienti meno regolamentati, in cui vedo una promiscuità molto meno rassicurante.»
Le nuove regole sulla sicurezza hanno inciso in modo sostanziale sulla vostra didattica?
Vicentini: «I cambiamenti sono sotto gli occhi di tutti, non si può negarlo. Disinfettare gli strumenti, arieggiare le aule, fare una pausa a metà lezione, ed altro ancora, non erano pratiche in uso negli anni scorsi. Certo, non è questa la sostanza della quotidianità scolastica, ma è una novità che si sente e impone la regola che tutti si adoperino a fare bene le cose e con costanza. Talvolta qualcuno non rispetta le istruzioni, ma molti ragazzi captano l’anomalia e subito si fanno sentire, così da rinnovare l’impegno. Inoltre, quello che si consigliava ai docenti nel recente passato, ovvero di differenziare la didattica e di non limitarsi alla lezione frontale, usando la lezione dialogata, la multimedialità, il confronto per il problem solving, oggi è divenuto una realtà necessaria e imprescindibile per l’efficacia della relazione con l’alunno. Questo tempo “difficile” l’ha certamente sollecitato.»
Spelta: «La didattica va modificata a seconda della situazione in cui ci si trova, quindi certamente risente sia del clima generale, sia della nuova struttura organizzativa della scuola. Per me, che insegno una disciplina articolata in più materie, è stato necessario riorganizzare la didattica evitando il più possibile la frammentazione dell’orario tra le diverse materie. Ho pensato, quindi, di utilizzare una didattica modulare, svolgendo una sola materia in ogni turno, e cambiando materia ogni tre settimane. Dedico la DDI agli approfondimenti e ad attività che possono essere svolte dagli alunni quando possono, come la visione di filmati e di lezioni registrate.»
Conti: «Le condizioni in cui si fa lezione sono molto peggiori: porte e finestre aperte creano un ambiente acustico disgregato, reso ancora peggiore dall’uso delle mascherine. A parte questo non sento grandi differenze. Ho vissuto anche il mio primo caso di Didattica Digitale Integrata: ho fatto lezione per una decina di giorni collegandomi dalla classe con una ragazza che seguiva le lezioni da casa, in quarantena fiduciaria. Anche a questo, dopo un po’, abbiamo fatto l’abitudine. La testimonianza della ragazza è stata positiva, perché non si è sentita di aver perso il contatto con la scuola, ma seguire attraverso un iPad una lezione che avviene dal vivo in una classe rumorosa non è stata un’impresa facile.»
Il Ministero dell’Istruzione per bocca del suo Ministro ha dichiarato più volte che tutto sarà (anzi, è) pronto: banchi a rotelle, supplenti necessari, spazi… qual è la realtà dei fatti?
Vicentini: «La realtà dei fatti è il concreto vissuto quotidiano. Pur nei delicati equilibri, al momento le scuole aperte e i casi contenuti di Covid stanno dimostrando che il sistema regge. Certo, i destinatari delle criticità devono ascoltare e intervenire, ricordando sempre che sopra di loro ci sono ulteriori responsabili, per i Ministeri la Presidenza del Consiglio, per gli assessorati provinciali e regionali la Presidenza della Provincia e della Regione, per la salute al livello massimo l’Istituto Superiore di Sanità. Come si dice spesso, nessuno di noi è un’isola.»
Conti: «Non abbiamo ancora i banchi a rotelle, ma francamente non ne colgo l’importanza. La distanza tra le “rime buccali” c’è, e tanto basta. Parlo chiaramente dal punto di vista di una scuola privilegiata che può contare su ambienti adatti, magari per altri istituti anche solo guadagnare pochi centimetri a banco potrebbe essere una risorsa.»
Spelta: «Non c’è niente di pronto. Meglio, è pronto quello che c’era già: gli insegnanti titolari (in generale, tutto il personale scolastico già stabilizzato) e gli studenti iscritti. Per il resto, la situazione è peggiore degli altri anni, specie riguardo ai supplenti, di solito nominati a partire dalla fine di agosto. Agli sforzi richiesti agli studenti e agli insegnanti non sta corrispondendo un uguale impegno da parte del Ministero dell’Istruzione. L’emergenza è iniziata a marzo, si sarebbe dovuto provvedere con largo anticipo, evitando di complicare con inutili novità amministrative (la nuova posta elettronica, il diverso sistema delle graduatorie, i concorsi in sospeso) una situazione che richiede invece pochi provvedimenti, semplici e chiari.»
Pare di capire Serena che la tua percezione sia meno positiva…
Spelta: «A volte mi viene da dire “era meglio la DAD”. Almeno gli studenti mi potevano vedere in faccia, sorridente o arrabbiata, ma non mascherata. Non lo dico apertamente solo per le difficoltà che la DAD ha comportato nelle prove di verifica e poi perché “era meglio prima” fa parte di uno schema mentale pericoloso, che spesso ci impedisce di vivere lucidamente, e che non mi appartiene.»
Conti: «Beh, la DaD (Didattica a Distanza) dell’anno scorso è stata un’esperienza difficile per me, poco soddisfacente sul piano degli apprendimenti, quasi nulla sul piano affettivo e in alcune occasioni è andata ad aumentare il divario tra chi aveva condizioni socioeconomiche buone e chi viveva un disagio. Se ripenso alla primavera scorsa, mi sembra che il miglioramento che viviamo oggi sia enorme e, personalmente, sarei disposto ad andare a scuola in qualsiasi condizione di scomodità per poter incontrare le mie classi di persona. Per me questo è il momento, insomma, di anteporre il bene della relazione quotidiana con i miei studenti e studentesse a qualsiasi velleità accademica nello svolgimento del programma.»