Togliamoci da valutazioni di opportunismo politico e opinioni di bandiera e cerchiamo di capire quali possano essere i vantaggi di una riduzione del numero di parlamentari, così come proposto dal referendum confermativo per il quale si voterà il 20 e 21 settembre.

La prima ovvia questione riguarda i risparmi. È il tema che più ha alimentato i dibattiti parlamentari, cavalcando l’euforia popolare e invadendo le tribune politiche. D’altronde, così si combatte la casta, secondo alcuni: togliendo poltrone. Di sicuro, pur prescindendo dalle valutazioni politiche, nel tagliare il numero dei parlamentari si risparmia. Si stima circa 500 milioni di euro a Legislatura, una cifra che per un cittadino può significare molto, ma che per le casse dello Stato non comporta significativi cambiamenti nel bilancio. È comunque un risparmio, ancor più auspicato se, come qualcuno ritiene, si riferisce a soldi mal spesi in parlamentari assenteisti e poco capaci. Beneficio sì, ma davvero poco rilevante, sempre che non si voglia farne appunto questione di principio. Basti pensare che i costi di una tornata elettorale si aggirano intorno ai 400 milioni di euro, giusto per proporre un termine di paragone.

La seconda questione riguarda la rappresentanza. Stiamo tranquilli: qualora vincesse il SÌ, ci troveremmo comunque in un rapporto popolazione/numero di parlamentari più che garantista. Risulta difficile proporre un confronto ceteris paribus con altre democrazie nel mondo, visto che non esistono sistemi istituzionali perfettamente confrontabili, a maggior ragione se partiamo dal nostro sistema, basato su un bicameralismo perfetto, un vero e proprio unicum. Si può comunque trarre qualche elemento di valutazione escludendo il Senato dai calcoli, non presente in molti Stati. Gli Stati Uniti hanno 435 membri, pari a circa 1 rappresentante ogni 760mila abitanti. La Francia registra una rappresentatività più alta e pari a 0,9 deputati ogni 100mila abitanti, così come la Germania. In Italia, fino al 1963, il numero di deputati e senatori variava in proporzione alla popolazione: 1 deputato ogni 80mila abitanti e 1 senatore ogni 200mila, numeri che già ci orientano su una tradizionale alta rappresentatività. Dal 1963 il numero è stato fissato complessivamente in 945 onorevoli, pari a 1 ogni circa 63mila abitanti. Limitando l’analisi ai deputati sono 1 ogni 100mila abitanti. Con la riforma ci sposteremmo verso un rapporto di un deputato ogni 150.000 cittadini. Analisi più estese a confronto con altri Stati aderenti di similari dimensioni non farebbero che confermare come in Italia il Parlamento sia al momento sovradimensionato alla popolazione e che pertanto la preoccupazione di una scarsa rappresentatività sia del tutto fuori luogo. Se vincesse il SÌ al referendum, l’Italia avvierebbe un percorso di normalizzazione del rapporto popolazione/parlamentari, avvicinandosi alle principali democrazie di riferimento.

Un’ulteriore considerazione, collegata alla precedente, di sicuro la più interessante, riguarda la rilevanza intrinseca di ogni parlamentare. Ridurne il numero non significa affatto sminuire il Parlamento, che in fondo era l’obiettivo dei movimenti che per primi avevano proposto il taglio, ma viceversa significa valorizzare ancor di più il ruolo di quei 600 che ne faranno parte. Saranno individui più lontani e distaccati dal territorio? potrebbe anche essere, ma saranno senza dubbio più riconoscibili e in ogni caso oggi non si può dire che vi sia vicinanza tra elettore e proprio rappresentante, a tal punto che sono ben pochi i cittadini che conoscono i beneficiari del voto. Il collegamento tra cittadino e politico non dipende dalla quantità di questi ultimi, ma da più complesse questioni non solo politiche, ma anche sociali e ambientali. Fissare a 600 il numero dei parlamentari, come vuole la riforma, non andrebbe a modificare radicalmente una tendenza di distacco tra istituzioni e popolo così tipica delle democrazie contemporanee e che prescinde dalle dimensioni dell’Organo Legislativo, ma rafforzerebbe il valore di ogni rappresentante del popolo.
Semmai, ad essere malpensanti e introducendo una considerazione più che maliziosa, piuttosto si può affermare che eleggere meno parlamentari statisticamente ridurrebbe il numero di episodi di corruzione, attribuendo ai pochi una responsabilità ancora più ampia. Responsabilità in più che avrebbero anche gli schieramenti politici nel proporre i candidati e i cittadini nell’assegnare il proprio voto.

Un’ulteriore considerazione è quella che possiamo rinominare “dell’assemblea di condominio”. Per antonomasia le riunioni condominiali sono il luogo assembleare dove si registrano maggiori controversie nelle decisioni e dove sono abituali gli scontri tra opinioni contrapposte e in cui sovente si verificano situazioni di stallo, pur per futili motivi. Perché le assemblee di condominio sono così difficili? per il numero degli aventi diritto di voto che, se sono troppi, impediscono scelte decise e rapide. Qualcuno può obiettare che passare da 945 a 600 non cambierebbe la sostanza della questione, ma è certo che sia un primo passo imprescindibile verso uno snellimento nel funzionamento del Parlamento.
Permangono dubbi, che non aiutano né il partito del NO, né quello del SÌ, in merito alla correlazione tra numero dei parlamentari e sistema elettorale. Non è facile comprendere come la riduzione degli eletti possa interfacciarsi con le norme con cui si andrà a votare, sempre che lo si faccia con la Legge attualmente vigente, e quali schieramenti potrebbe favorire. Con un certo buon senso si stima che, a fronte di minori parlamentari, possa esservi una corrispondente minore frammentazione dei gruppi parlamentari. Sarebbe cosa buona, visto che è un aspetto che disincentiva la comprensione e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e al voto. Risulta però esercizio unicamente probabilistico ipotizzare l’effetto elettorale dato dalla riduzione dei parlamentari.

In questo senso sarebbe stato auspicabile affrontare il tema più centrale e sempre più incalzante di una organica riforma costituzionale, che venga studiata e redatta senza vincoli e opportunismi di breve periodo, con la partecipazione di tutte le forze politiche, in un clima tipico di una vera e propria Assemblea Costituente. Viceversa, mettere mano all’impianto costituzionale un pezzetto alla volta, intaccando un sistema complesso e finemente studiato, pur in altri tempi storici, non sarebbe prudente, come sostengono in molti. Non si può però tacere che la limitata questione del taglio dei parlamentari, oggetto del prossimo Referendum, appaia del tutto marginale rispetto al funzionamento del nostro ordinamento. È infatti Irragionevole ritenere che il Sistema Istituzionale possa cambiare riducendo solo il numero dei parlamentari da 945 a 600, senza altre contemporanee riforme.