Recalcati parla d’amore, tra mito e libera scelta
Lo scrittore e psicoanalista con il suo monologo "Un sogno chiamato desiderio" ha incantato il pubblico del Festival della Bellezza parlando di sentimenti. E ha smontato molti concetti consolidati.
Lo scrittore e psicoanalista con il suo monologo "Un sogno chiamato desiderio" ha incantato il pubblico del Festival della Bellezza parlando di sentimenti. E ha smontato molti concetti consolidati.
In un’Arena adattata alle disposizioni di sicurezza per l’emergenza Covid-19, dove le distanze tra le persone non possono passare inosservate, il monologo Un sogno chiamato desiderio di Massimo Recalcati è riuscito a unire l’attenzione di tutti i presenti, colmando inesorabilmente quei vuoti.
Lo scrittore e psicoanalista, ospite domenica 13 settembre del Festival della Bellezza, ha aperto la riflessione parlando principalmente di luce, di ciò che illumina. Recalcati ha osservato come nella vita di ognuno di noi l’amore è luce che rischiara. Una considerazione questa, che parte, in termini generali, da esempi concreti: un maestro con suoi allievi, un figlio che nasce, un incontro tra gli innamorati – dove l’amore, nella sua forma più convenzionale, porta la luce nella vita dei singoli –.
Recalcati parla di buio della vita finché non arriva quell’individuo che porta la luce, tanto che anche le cose più banali, quotidiane o noiose cambiano. O meglio, si modifica la nostra prospettiva nell’osservarle.
«Noi ci siamo trovati per caso ma il nostro compito è trasformare il caso in destino»: lo scrittore cita le parole che Maria Schneider rivolge a Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi per parlare del caso e dell’amore, che non è controllabile né programmabile ma fa parte dell’imprevisto della vita.
L’amore, prosegue lo psicoanalista, è sentire la nostra vita attesa da qualcuno, chiamata da qualcuno, scelta tra tutte le altre da qualcuno. «La mia esistenza nell’amore diventa necessaria: appaio come eletto, salvato».
Il monologo ha dato spazio anche alle bugie dell’amore. La più nobile ha origine e fondamento nella filosofia di Platone: nel Simposio Aristofane parla della genesi dell’amore, quello romantico e idealista, secondo il quale in un primo tempo gli uomini erano esseri cilindrici, autosufficienti e arroganti, con due sessi.
Un giorno, bramosi di diventare Dei, gli uomini tentarono di assaltare il Cielo. Sedata la rivolta, Zeus per punizione decise di spaccare in due questi esseri cilindrici. Le due metà separate provavano sofferenza e Zeus, mosso a pietà, attribuì i sessi a queste parti scisse e dolenti e chiamò “amore” la spinta delle parti a tornare a un intero, a ricostituire l’essere che erano.
E proprio questa spinta è la grande menzogna, che crea violenza negli amanti, che genera sopraffazione. L’idea che l’amore sia un completarsi e che si debba trovare la nostra metà, l’incastro crea violenza, gelosia folle, fuoriuscita dal mondo, isolamento.
Il professore insiste nel puntualizzare che noi individui non siamo due parti della stessa mela, che tutto ciò è un’illusione da cui dobbiamo liberarci, come dobbiamo liberarci dell’empatia e del dialogo tra amanti: dobbiamo non capire, in un rapporto deve restare del mistero. L’idea di raggiungere una condivisione rappresenta per Recalcati un litigio continuo.
«Chi dice che l’amore è ricomposizione, ricostituzione dell’intero?» continua, riprendendo le parole dello scrittore statunitense Philip Roth, che contestano Platone e la figura dell’amore idealista. Per Roth la tesi dell’amore che spacca, frattura, non risolve la mancanza, bensì ne fa sentire l’assenza. Gli uomini fanno fatica a capire la mancanza e inseguono il mito dell’indipendenza dall’altro ma in realtà l’amore provoca la mancanza, non la soddisfa.
E qui Recalcati apre un capitolo spinoso: l’amore come proprietà dell’altro. «Io voglio che tu sia libera o libero, io amo la tua libertà, il tuo modo di stare al mondo, ma io voglio che la tua libertà diventi mia». Tutto ciò per il professore rappresenta il paradosso di ogni amore, una contraddizione, una libertà prigioniera: «Libertà assoluta di scegliere sempre e comunque me». E questo ragionamento è il presupposto della violenza. La follia della violenza che arriva al posto dell’abbandono ed è la profanazione dell’amore.
Citando Sigmund Freud successivamente il monologo apre la riflessione sulla differenza tra amore e desiderio sessuale. Questi due aspetti, secondo il padre della psicanalisi, si escludono, non possono convivere: o vi è un legame famigliare o passione erotica.
Recalcati però non condivide questo ragionamento che presuppone un’altra grande menzogna, ossia che l’innamoramento duri poco e che abbiamo bisogno del nuovo per attivarlo. La psicologia americana e nordeuropea sostengono che l’innamoramento dura dai 6 ai 18 mesi, dopo i quali ci si trova a un bivio: o ci doppiamo con un soggetto nuovo o ci rassegniamo a un rapporto meno bruciante.
Per Recalcati queste tesi rappresentano una grande menzogna e, citando il poeta Ungaretti – «l’amore che dura assomiglia ad una quiete accesa» –, sostiene che il sentimento amoroso è una brace che non si spegne mai. Quindi, noi esseri umani dobbiamo riformulare il concetto del tempo dell’amore: siamo abituati prima all’acuto e poi all’allontanamento della fonte primaria del primo incontro.
Dobbiamo guardare in modo diverso, avere un’altra rappresentazione del tempo, una rinnovazione dell’origine. Dobbiamo pensare al nostro soggetto d’amore e trovare in lui sempre qualcosa di nuovo da amare.
(Le foto provengono dalla pagina Facebook del “Festival della Bellezza”)