Ricorrevano ieri i centocinquant’anni dalla nascita di una donna italiana il cui insegnamento ha influenzato profondamente il concetto di educazione. Nata il 31 agosto 1870, Maria Montessori ha aperto una strada che ha avuto grande considerazione all’estero, diventando oggi un riferimento educativo molto diffuso – si stima che nel mondo siano più di ventimila le scuole che ne adottano il metodo, più di sessantamila quelle che vi si ispirano, fino in Arabia Saudita e in Cambogia – mentre è negli ultimi anni che pure in Italia si assiste a un risveglio culturale e didattico per i suoi insegnamenti.

Maria si laurea nel 1896 in medicina, terza donna in Italia a farlo, e si specializza in neuropsichiatria. Si dedica poi allo studio di bambini e bambine con problemi psichiatrici, e si laurea anche in filosofia per integrare la sua formazione in chiave educativa. Nel 1907 apre la sua prima Casa dei bambini e nel 1909 pubblica Il metodo della pedagogia scientifica. Dopo il primo corso nazionale nel 1926, cui presero parte 180 maestri e maestre soprattutto da Lombardia, Veneto e Marche, e un primo appoggio da parte del Fascismo, nel 1934 le scuole montessoriane vengono chiuse (due resistono in clandestinità). Maria se ne va quindi all’estero, per tornare poi in patria solo nel 1947 e riprendere in mano l’Opera Nazionale Montessori, ma recatasi nei Paesi Bassi nel 1952 per un progetto educativo, muore a Noordwijck.

L’ONM conta oggi 234 tra nidi e scuole che si rifanno al metodo, un numero minimo e non del tutto preciso, che però mappa un Paese in cui la lezione montessoriana è poco diffusa e a macchia di leopardo.   

Teresa Zaccaria, insegnante all’Istituto comprensivo 18
e promotrice del metodo Montessori

Verona dal 2018 ha iniziato a introdurre nella scuola pubblica l’approccio montessoriano, partendo da un primo corso di formazione per insegnanti con l’obiettivo di dare vita a una scuola. «È stato solo l’inizio, però subito una cinquantina di docenti ha concluso questo primo percorso di duecento ore e richiesto poi di andare avanti. Così oggi la formazione di cinquecentocinquanta ore è curata dall’Opera Nazionale Montessori, grazie anche al supporto di Fondazione San Zeno, e sono nate tre sperimentazioni: una alle scuole del Cerro, una all’istituto comprensivo 4 alle Rita Rosani e una alla scuole Massalongo, e quest’anno partirà anche una terza elementare», afferma Teresa Zaccaria, oggi insegnante alla scuola primaria Rubele, che si è avvicinata alla lezione di Maria Montessori grazie alla sua maternità. Da un primo interesse, ha poi arricchito la sua formazione professionale e colto la palla al balzo, quando la preside del suo istituto chiese alle docenti di ideare qualcosa di efficace per rinnovare le scuole del comprensivo 18.

La lezione di Montessori è riconosciuta dal Miur, che nel giugno 2019 ha rinnovato la convenzione con l’Opera Nazionale Montessori con cui regolamenta i percorsi scolastici nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie, la sperimentazione nella secondaria di primo grado e la diffusione dell’approccio educativo montessoriano. 

«Il problema ora è che pur avendo insegnanti in formazione non è possibile costituire ancora una vera e propria scuola in cui tutti si abbia questa preparazione. Verona ha un ulteriore impedimento rispetto al Veneto: l’ex provveditorato non ha ancora aperto una graduatoria specifica.

Paradossalmente, se un preside in altre province venete ha bisogno di chiamare un insegnante con formazione Montessori può attingere a questa graduatoria, mentre a Verona non è possibile, nonostante lo domandiamo da anni.

Una volta conclusa la formazione in corso, abbiamo però intenzione di chiedere l’istituzione di una scuola a differenziazione didattica Montessori – continua Zaccaria -. Di fatto, non cambiano i contenuti, ma la modalità con cui li si offre ai bambini e alle bambine. E questo approccio è in linea con le indicazioni nazionali del 2012 con cui il Miur sostituisce i programmi nella scuola dell’infanzia e del primo ciclo.»

L’anno scorso a ottobre è iniziata la seconda fase di formazione, pilotata dall’istituto comprensivo Ponte Crencano-Avesa-Quinzano, al quale hanno partecipato anche i genitori. «Il corso li ha coinvolti per ottanta ore, che abbiamo svolto insieme, in modo da capire bene quale sia il pensiero di Montessori sul bambino e sull’uomo -. Il lockdown ci ha imposto di proseguire a distanza, ora abbiamo ripreso con la parte pratica, che è fondamentale.»

E il lockdown ha messo in ginocchio, non solo in Italia, il sistema scuola, e la didattica a distanza ha mostrato le sue fragilità. Per molti genitori è emerso che avere bambini capaci di autonomia, che non siano sempre in balìa degli adulti, è un aspetto fondamentale per la crescita dei propri figli.

Un gioco montessoriano, foto Sigmund Oha, Unsplash

«Spesso però gli adulti non sanno come fare. Essere stati tanto tempo a casa con i propri figli, magari alle prese con il lavoro da remoto, ha reso evidente che se i bimbi sono messi nelle condizioni di fare, con delle direttive chiare, vanno volentieri avanti da soli – sottolinea l’insegnante -. La chiave è osservare i propri figli senza sostituirsi a loro. L’associazione Montessori Verona si occupa anche di questo, oltre a gestire la segreteria del corso formativo per i docenti. D’altronde, quando diventi genitore tendi a replicare il modello che ti hanno offerto. Cambiare richiede un pensiero, strumenti alternativi, insomma un supporto per capire come fare. E questo vale per tutte le figure educative.»

La diffusione del pensiero pedagogico di Montessori all’estero sorprende, specie se paragonato alla scarsa considerazione che esso ha ricevuto dal sistema educativo italiano. La causa è più da cercare nell’apparato normativo della scuola o nella visione culturale che l’ha generato?

«Credo che la barriera sia culturale. Montessori definiva il bambino “padre dell’uomo”. Il bambino è inteso nella integrità di ciò che potrà dare una volta diventato grande, perciò è necessario che sia lasciato libero di muoversi. Da non confondere con il “fare ciò che si vuole”, perché al contrario servono regole chiare in un ambiente ricco di stimoli, con oggetti fatti a sua misura, materiali scolastici pensati per i vari piani di sviluppo, non solo quello sensoriale e motorio, bensì che soddisfino i bisogni del bambino e della bambina in quel preciso momento di vita – conclude Zaccaria -.

Occorre un’idea d’infanzia diversa da quella che abbiamo, in cui invece l’adulto si sostituisce al bambino, ne guida le azioni e i piccoli vi si devono solo adeguare.

Invece se un bimbo riesce a lavarsi, vestirsi, anche cucinare, stirare, come accade nella Casa dei bambini, ovvero la scuola dell’infanzia, è gratificato dal suo saper fare le cose per davvero, si sente più sicuro di sé, è più autonomo e sereno.

Non c’è bisogno di giudicare né di lodare da parte degli educatori, perché i bimbi hanno più voglia di apprendere se non dipendono dal giudizio di un adulto. Quindi la preclusione italiana è di matrice culturale. Lasciare autonomia creativa a ciascuno non è semplice.»