L’insostenibile leggerezza di Zingaretti
Nel saliscendi nei sondaggi dei vari leader politici, il segretario del PD Nicola Zingaretti mantiene il suo partito stabile sul 20%. Qual è il suo segreto?
Nel saliscendi nei sondaggi dei vari leader politici, il segretario del PD Nicola Zingaretti mantiene il suo partito stabile sul 20%. Qual è il suo segreto?
Protetto dal giudizio popolare del voto dall’emergenza Covid, il PD vede costante il proprio consenso virtuale (la forbice è stabile tra il 21% e il 19,3% da febbraio), dato notevole considerando il calo della Lega (intorno al 25%, Tecnè 29 luglio) e il dimezzamento oramai stabile del M5s (14,8-15,6%). Un risultato, data la volatilità e la veloce parabola di consenso dei leader più carismatici (si vedano Renzi e Salvini, ora tocca alla Meloni), davvero rimarchevole. Come il segretario del PD Nicola Zingaretti è riuscito a conseguire un simile risultato, ovvero un consenso stabile tra l’aprile 2019 ad oggi tra il 19-22%? Vediamolo in azione su alcuni temi chiave.
Migranti. La pressione dei migranti attraverso il Mediterraneo si fa sempre più pesante: 13.094 quest’anno, oltre mille negli ultimi tre giorni, più di 6.100 a luglio. Dati che permettono la “rimonta” della propaganda dell’opposizione e la narrazione strumentale dell’invasione, unita al timore di nuovi focolai incontrollabili di Coronavirus. Quale la linea del PD sul tema, specie dopo l’uccisione di 3 migranti da parte della Guardia Costiera libica? Zingaretti dichiara che «occorre lavorare affinché il Governo urgentemente e nella sua interezza affronti in maniera adeguata questa complessa materia. Solidarietà e sicurezza sono valori che possono e debbono andare di pari passo». Come? Non è dato saperlo. Bisognerebbe però, per coerenza, almeno sconfessare apertamente la gestione dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti (nel governo Gentiloni dal 12 dicembre 2016 al 1º giugno 2018) criticato proprio per gli accordi con la Libia, specie ora che Minniti fomenta la paura individuando una correlazione (tutta da dimostrare) tra sbarchi e Covid. Invece, in una delle poche dichiarazioni sull’ex ministro dell’interno, Zingaretti afferma che «forse la linea di Minniti era discutibile, cioè da discutere, ma quella alternativa non si vede». Sembra il Walter Veltroni dei “ma anche”.
Cemento. Nel programma 2020 del PD si legge: “Affermeremo l’obiettivo del consumo zero di suolo”. Obiettivo, a Verona, portato coerentemente avanti per esempio da Elisa La Paglia, in aperta polemica con le politiche della Lega e di Zaia anche in vista delle prossime regionali. E il PD nazionale, invece, cosa fa? Come segnala Europa Verde, il Decreto Legge 16 luglio 2020 n. 76 noto come “Decreto Semplificazioni” prevede un deciso passo avanti nel senso della deregolamentazione e della cementificazione. Sembrerebbe contraddittorio, ma di fatto proprio Zingaretti si è già mostrato ben poco sensibile al tema, come evidenziato dalla polemica per il Piano territoriale paesaggistico approvato dalla Regione Lazio e subito impugnato dal Mibac (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo). Quindi, alla fin fine, il PD sceglie la lotta alla cementificazione (la base elettorale) cementificando (la leadership). Un vero partito di lotta e di governo.
Economia. Cosa vuole il PD? Preferisce la socialdemocrazia, un liberismo illuminato alla Olivetti oppure un modello economico senza protezioni sociali? A gennaio 2019, il futuro segretario del PD tracciava la via del rilancio con più investimenti pubblici, più incentivi e aiuti anche al Mezzogiorno, ma con meno tasse e tagli al cuneo fiscale: ovvero, aumentare la spesa e diminuire le tasse, mantenendo però i conti in ordine. Intanto, «Ci rivolgeremo alle energie più consapevoli della società, i giovani, le donne, movimenti, associazioni, la rete diffusa del civismo, dei sindaci e degli amministratori. […]»: devono essergli fischiate le orecchie dopo che Romano Prodi, a gennaio, aveva tuonato: «Bisogna finirla con il partito che diventa un club chiuso di 10 persone che si parlano l’uno con l’altro e si eleggono l’uno con l’altro». Zingaretti, però, non dice quando, dove e come si dovrebbe costruire questo grande dibattito. Bisogna accontentarsi e, allora, riferirsi ai 26 punti dell’intesa per il governo con l’M5s: riforma fiscale (quale?), salario minimo per i lavoratori e giusta retribuzione per i non dipendenti. E il Reddito di Cittadinanza, bandiera M5s? A gennaio 2019 «il reddito di cittadinanza […] non garantisce una reale prospettiva di vita alle persone, perché non fa nulla per creare lavoro. Anzi, penalizza l’occupazione» ma un anno dopo, a gennaio 2020, afferma che «il reddito di cittadinanza sia un ottimo strumento di lotta alla povertà. Lo abbiamo inventato noi con il reddito di inclusione e forse abbiamo avuto poco coraggio».
Il dubbio è che tra uno Stato sociale forte e un sistema liberista senza correttivi che limitino le diseguaglianze, tra il cemento e il modello green, tra la paura per la sorte dei migranti e il costo elettorale di scelte di rottura col governo precedente (e pure col governo PD di Gentiloni), la scelta dell’attuale segretario sia, semplicemente, quella di non dire niente. Una scelta anticonformista, certo: non viscerale o urlata come quella di Matteo Salvini, né da massaia barricadera alla Meloni. Silente rivoluzionario, scardina duemila anni di logica occidentale eliminando il principio aristotelico del terzo escluso e scegliendo la lezione del filosofo Eraclito.
Al voto – che, prima o poi, arriverà – qualcosa Zingaretti la dovrà pur dire. Qualcosa di sinistra, magari.