Renzi e la mossa del cavallo
Matteo Renzi ha presentato lunedì a Garda, ospite del sindaco del comune lacustre Davide Bendinelli, il suo libro "La mossa del cavallo".
Matteo Renzi ha presentato lunedì a Garda, ospite del sindaco del comune lacustre Davide Bendinelli, il suo libro "La mossa del cavallo".
Il parco della splendida Villa Albertini a Garda, lo scorso lunedì 20 luglio, era gremito di ospiti per la presentazione de La mossa del cavallo, ultima fatica letteraria di Matteo Renzi. L’età media del pubblico è intorno ai 60 anni ma c’è anche qualche giovane, in ordine sparso, dall’aspetto molto simile alla sobria eleganza borghese e rassicurante dell’ex enfant prodige della politica italiana.
Sulla copertina del libro c’è la celebre scultura del Bernini che raffigura l’eroe greco Enea che porta sulle spalle il vecchio padre Anchise, paralizzato alle gambe e con la schiena ricurva, durante la rocambolesca fuga da una Troia in fiamme. Dietro di loro Ascanio, figlio di Enea, segue il padre stringendo nella mano l’eterno fuoco custodito nel tempio di Vesta che accenderà la nuova vita di Roma.
E se Renzi esordisce di fronte alla sua platea paragonando gli italiani a tanti Enea, che durante l’emergenza Covid-19 hanno “portato sulle spalle” i loro anziani duramente colpiti dalla pandemia, è evidente fin da subito come lui si senta un po’ l’Ascanio della politica italiana, ovvero colui in grado di garantire al Paese una nuova vita: «Il coraggio della politica è il coraggio delle scelte – dice nel suo libro –, di rivendicare un futuro che non è scontato, ma dipende da noi. È giunto il momento dei contenuti, non dei pregiudizi. È urgente discutere di idee e progetti.»
A fare gli onori di casa è l’onorevole Davide Bendinelli, sindaco di Garda, eletto tra le fila di Forza Italia nel 2018 per trasmigrare, poco dopo, tra quelle del neonato partito dell’ex premier Italia Viva: «Forza Italia mi ha dato tanto, ma non la riconosco più come mia. I valori liberali sulla base dei quali è nata sono stati traditi, sacrificati sull’altare del sovranismo. Pertanto, ho deciso altresì di aderire a Italia Viva e sposare il progetto di Matteo Renzi: una casa liberale, garantista, che porta avanti quei valori in cui ho sempre creduto e che Forza Italia ha deciso di abbandonare. La mia è una scelta ideale: non ho mai, fin dal 1994, fatto politica per le poltrone, ma sempre e comunque per le idee».
Di fronte a loro, sedute nella prima fila della platea, ci sono Orietta Salemi, consigliera di minoranza in Regione Veneto, che per il PD sfidò l’attuale sindaco di Verona Federico Sboarina alle elezioni amministrative del 2017 perdendo clamorosamente, da poco entrata tra i renziani, e Daniela Sbrollini, eletta senatrice nel 2018 con il Partito Democratico e passata anche lei nel nuovo schieramento parlamentare dell’ex presidente del Consiglio.
Sbrollini è anche la candidata di Italia Viva che dovrà affrontare la sfida contro Luca Zaia alle Regionali di settembre: in pratica Davide contro Golia, cosa che Renzi non può ovviamente non sapere.
Infatti la presentazione del libro è l’occasione perfetta per dare il via alla campagna elettorale in una regione cruciale per il Paese e Renzi si conferma, nel bene e nel male, un cavallo di razza nella corsa a ostacoli della politica. Sa perfettamente che in questa fase non può permettersi di lasciare solo nessuno dei suoi nelle singole regioni, è maestro di giochi retorici di luci e ombre per illuminare sì i candidati, ma facendo la massima attenzione a che il faro principale sia sempre puntato su di lui, ammalia e seduce la platea con quel suo accattivante savoir faire da toscano DOC capace di battute da bar per rilassare e preparare il pubblico al virtuoso comizio politico che di lì a poco seguirà.
Sollecitato da Bendinelli, parla del suo sogno degli Stati Uniti d’Europa definendo il sovranismo di Salvini e Meloni un boomerang economico micidiale, soprattutto per aree produttive come la nostra. Parla della necessità di avere turisti e lavoratori stranieri per un territorio che basa la sua ricchezza sull’export e sul manifatturiero. La globalizzazione serve, l’Europa serve secondo Renzi, sotto il profilo della ricchezza materiale e dello sviluppo economico del territorio: insomma, l’ex presidente del Consiglio sa bene quali corde toccare nel ricco Veneto.
E alla domanda di Bendinelli sulla sua idea di riformismo, si scaglia furente contro l’assistenzialismo dello Stato: «Non devi fare il reddito di cittadinanza, è sbagliato e diseducativo, devi fare l’industria 4.0. Devi fare il Job Act, non devi fare il Decreto Dignità. Devi realizzare le infrastrutture, che anche qui in Veneto sono insufficienti, perché non è giusto che una regione che corre così tanto dal punto di vista economico, debba poi soffrire dal punto di vista infrastrutturale. E poi l’economia oggi cambia a velocità mai vista prima: innovazione tecnologica, robot, digitale, 5G, medicina personalizzata. Oggi l’economia si basa sui big data. E questa rivoluzione in corso deve vederci protagonisti, non spettatori passivi. È il mondo che sta arrivando: vogliamo anticiparlo o vogliamo rincorrerlo? Io credo nell’Italia, noi siamo i patrioti della bellezza e dell’ingegno. Patria è una parola bella, della quale la sinistra deve riappropriarsi. È di questo che parlo nel mio libro.»
Riformismo, tecnologia e liberismo economico le parole chiave, dunque. Ed è una ricetta che tutto sommato potrebbe adattarsi al modello economico del Veneto. Renzi però non chiarisce quale debba essere il peso dei singoli ingredienti nella torta che dovrebbe uscirne, e non è questione da poco conto.
Dopodiché assesta uno dei suoi colpi da virtuoso del pragmatismo politico strizzando l’occhio agli imprescindibili cattolici di sinistra e ricordando come il Veneto, oltreché la locomotiva economica del Paese, sia anche una delle regioni in cui l’associazionismo e il volontariato sono più diffusi: «Io trovo che farsi carico degli altri e averne cura sia una cosa bellissima».
A questo punto il leader di Italia Viva ha decisamente scaldato i motori, e alla domanda di Bendinelli sulla giustizia è pronto per partire sul serio: «L’altro giorno ero in montagna con mia figlia, che ha 14 anni, e cercavo di spiegarle la differenza tra garantismo e giustizialismo. Cercavo soprattutto di farle capire come condannare qualcuno a priori, senza un giusto processo, sia immorale, ingiusto, indecente. Noi siamo la terra del Beccaria, la terra dei diritti, delle guarentigie. E invece ci ritroviamo con un intero partito di giustizialisti, i 5Stelle, e una parte della Sinistra che gli va dietro. Il garantismo sta al giustizialismo come la democrazia sta alla dittatura, e questo è anche il motivo per il quale, sbagliando forse, abbiamo deciso di salvare il ministro Alfonso Bonafede dalla mozione di sfiducia dopo la scarcerazione di alcuni boss mafiosi: il garantismo suggerisce che bisogna aspettare le sentenze, e tu sei un cittadino innocente finché una sentenza passata in giudicato non attesta il contrario. Il giustizialismo invece vuole che io ti condanni a priori perché i social dicono che sei colpevole. Ma scherziamo?».
E qui risulta difficile non andare con la memoria alle recenti vicende giudiziarie che hanno visto coinvolta la famiglia Renzi e al linciaggio mediatico che ne seguì. Effettivamente però il 7 ottobre 2019 il Tribunale di Firenze ha poi condannato in primo grado Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli a un anno e 9 mesi (pena sospesa) per false fatturazioni.
La vicenda di Bonafede poi costituì in realtà per Renzi un’eccellente merce di scambio per l’elezione a sottosegretario alla Giustizia di Gennaro Migliore, che avrebbe rappresentato un riequilibrio garantista rispetto alla cultura grillina di cui Bonafede era il tipico esponente.
Quel che non convince di Matteo Renzi è il suo narcisismo, che spesso sfocia in un trasformismo etico e morale che a tratti sembra sfuggire anche al suo stesso controllo. La labirintica capacità di essere populista parlando male dei populisti. La spiazzante tendenza a forgiare la realtà sulla base delle sue esperienze personali. E non si smentisce ricordando alla platea come di fatto sia stato lui a salvare il Paese dai pieni poteri a Salvini nell’estate del Papeete: «Bloccare Salvini è stata la mossa del cavallo che ha salvato il paese dal sovranismo.»
Parla di qualunque cosa Renzi: della necessità di sviluppare rapporti economici virtuosi con i colossi del presente e del futuro Cina e India. Parla di cyber sicurezza e di come secondo lui la prossima guerra sarà basata su attacchi degli hacker alla sicurezza di imprese e governi.
Parla dell’urgenza di liberarci della dipendenza dal petrolio che ci vendono paesi canaglia. Della deburocratizzazione dello Stato, che non può più aspettare. Critica i Benetton e dichiara sbagliata la concessione di Autostrade Spa che votarono all’epoca anche Salvini e Meloni, ma ne rispetta la storia imprenditoriale.
E conclude criticando la scelta del governo di chiudere le scuole durante il lockdown: «La didattica a distanza non funziona. Le ho viste le riunioni di mia moglie, che è insegnante, con i colleghi e gli studenti durante la pandemia. Non funzionava, e il 28 marzo feci una proposta per la quale mi criticarono tutti i miei colleghi: prendiamo le dovute precauzioni e facciamo tornare a scuola almeno le terze medie e le quinte superiori. Diluvio di insulti e risate beffarde. Ebbene, quella proposta nel giro di qualche giorno è diventata la proposta di Macron in Francia, che ha riaperto l’11 maggio, della Merkel in Germania che ha riaperto il 15 aprile, e di molti altri Paesi. Perchè si capiva che ripartire dalla scuola era giusto e doveroso. Questo cosa ci dice? Che se sei un leader politico devi indicare una via. Altrimenti sei un follower. Non arrendiamoci al sondaggismo e al populismo.»
E Renzi a fare il follower non ci sta di sicuro.