Il mondo (dei Benetton) alla fine del mondo
In un libro-inchiesta si racconta una storia lontana nello spazio, ma con alcuni dei suoi protagonisti vicinissimi a noi. La nostra intervista all'autrice Monica Zornetta
In un libro-inchiesta si racconta una storia lontana nello spazio, ma con alcuni dei suoi protagonisti vicinissimi a noi. La nostra intervista all'autrice Monica Zornetta
Il primo marzo scorso è uscito in versione digitale e gratuita, il libro Alla fine del mondo. La vera storia dei Benetton in Patagonia”, un’importante inchiesta giornalistica che porta alla luce il ruolo e le responsabilità avute fino ad oggi sul destino di un popolo martoriato come quello dei Mapuche, in Argentina, della venetissima famiglia dei Benetton. Latifondisti nella regione della Patagonia e proprietari di terre che dovrebbero essere in realtà in possesso degli indigeni argentini, i Benetton sono al centro della storia raccontata nel libro, scritto a quattro mani da Monica Zornetta e Pericle Camuffo, che, con un lavoro a dir poco certosino, sono riusciti a ricostruire la storia di quelle terre lontane, pur fra mille difficoltà ambientali, storiche, economiche e persino potenzialmente giudiziarie. Di quel libro, un vero e proprio gioiello di giornalismo, nelle prossime settimane uscirà anche la versione cartacea, sempre edita dalla coraggiosa Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, con una nuova prefazione e l’aggiunta di un capitolo che fornisce ulteriori dettagli e approfondisce ancor più la vicenda.
Ne parliamo con la giornalista professionista Zornetta, già autrice di numerosi saggi e inchieste giornalistiche nelle quali ha, fra le altre cose, approfondito e raccontato la presenza della mafia in Veneto (anche a Verona), ma anche gli anni del “Plan Condor” della Cia – quello che negli anni Settanta portò all’insediamento di governi dittatoriali militari in tutto il Sudamerica e che in Argentina cominciò con il governo guidato dal generale Jorge Videla –, collaborando nel 2011 con l’Università di Padova alla realizzazione dell’iniziativa “Voci da una repressione. Colloqui sui diritti umani, verità, memoria giustizia” e facendo successivamente parte del progetto “Una generazione scomparsa. I mondiali in Argentina del 1978” ideata nel 2017 dal giornalista di Radio 24 Daniele Biacchessi.
Zornetta, il vostro libro esce, dopo la versione online, ancora una volta grazie al coraggio di Stampa Alternativa.
«È l’unica casa editrice che ha dimostrato di voler diffondere questa notizia, che altrimenti sarebbe rimasta sepolta o poco conosciuta, almeno in Italia. Ci rendiamo conto che il nostro è un libro scomodo. Però va anche detto che sono sempre tutti là a dire “attacchiamo il potere” e poi pochi lo fanno. I Benetton sono una potenza economica e politica non indifferente e possono spaventare. Probabilmente è stato a causa della grande preoccupazione di evitare guai che il nostro libro è stato rifiutato. Una sorta di autocensura da parte degli editori. Parliamo, d’altronde, di una delle dinastie più importanti d’Italia.»
La sua inchiesta si occupa della vicenda dei Mapuche, una popolazione vittima della storia e dell’economia…
«La vicenda ruota intorno a un conflitto per il possesso di un territorio. I Mapuche della Patagonia hanno un rapporto anche spirituale, di dialogo con la loro terra, che rappresenta la loro vita: il loro passato, il loro presente e il loro futuro. La terra è ciò che crea la loro identità di popolo: d’altro canto lo si evince dal nome stesso. Mapuche significa infatti “popolo della terra”. E il cosmo, per loro, è nato da uno scontro naturale: quello tra l’acqua e il mare, come ricordiamo anche nel nostro libro. La loro concezione della natura è simile a quella che hanno, ad esempio, anche altri popoli originari come i Nativi nel nord-America, gli Aborigeni australiani o i Maori, in Nuova Zelanda. Non sfruttano né violentano la terra, ma vi costruiscono un rapporto simbiotico di cura e rispetto per trarne poi sostentamento.»
La loro, come quella dei popoli da lei citati, è l’ennesima storia di sofferenza causata dall’incontro con il conquistatore bianco.
«I Mapuche alla fine dell’ Ottocento, con la campagna militare chiamata “Conquista del deserto”, sono stati oggetto di un vero e proprio genocidio. Sterminati e rinchiusi in campi di concentramento, la terra che abitavano da migliaia di anni è stata loro strappata e regalata ai soldati per premiarli delle loro conquiste. Poi chi è arrivato dopo ha voluto risarcire in parte questi danni restituendo alcune delle terre, certificando la proprietà dei Mapuche con delle leggi riconosciute a livello nazionale e internazionale. Negli anni Novanta del secolo scorso, però, con il governo in Argentina del Presidente Menem, le loro terre sono state letteralmente svendute – a prezzi ridicoli, come un dollaro a ettaro – con il solo scopo di attirare gli investitori stranieri. Il fatto è che il governo argentino non aveva alcun diritto di farlo, perché non disponeva, letteralmente, di quei possedimenti. Le offerte di terre attirarono molti acquirenti dal Nord America, e dall’Europa. Fra questi anche attori come Silvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, ma anche Soros e Joe Lewis, ricchissimo businessman inglese, proprietario del Tottenham calcio e, tra le altre proprietà argentine, del meraviglioso Lago Escondido, nella provincia di Rio Negro, oltre che delle decine di migliaia di ettari che lo circondano. Terre che, anche in questo caso, le autorità di quel Paese misero in vendita senza averne il diritto e che Lewis ha completamente recintato (collocandovi anche numerose telecamere di sorveglianza) e impedito così il passaggio dei Mapuche e degli altri residenti della zona.»
E cosa successe allora?
«I nuovi proprietari, ripeto illegittimi, delimitarono le terre acquistate ed espulsero i Mapuche, che a quel punto vennero obbligati a spostarsi altrove, in terre più dure, meno fertili, più difficili da coltivare, o scegliere una vita che non sentivano loro, come quella in città. Quando, però, all’inizio degli anni Duemila c’è stata la famosa crisi argentina, alcuni Mapuche – penso per esempio alla storia di Rosa e Atilio Curiñanco, che raccontiamo nel libro – decisero che era arrivato il momento di ritornare alla loro terra e cominciare a lottare per i propri diritti.»
Fra coloro che hanno acquistato quelle terre lontane ci sono anche i Benetton.
«All’inizio degli anni Novanta la famiglia trevigiana rilevò una importante società un tempo di proprietà inglese, la Compañia de Tierras Sud Argentino (CTSA), e con essa gli oltre 900mila ettari di buona terra che la società possedeva, diventando in questo modo uno dei più grandi proprietari terrieri dell’Argentina. Lì allevano pecore e bovini per ricavare lana e carne, coltivano soya e sfruttano le risorse naturali in vario modo. Nessuno mette in dubbio che i Benetton abbiano acquisito quelle terre illegalmente. Hanno fatto il loro business e fin qui ci siamo: è però il comportamento che hanno adottato, soprattutto con il popoli della terra, a destare amarezza. Portano avanti da decenni un conflitto molto pesante: sordi alle loro istanze e alle loro necessità (oltre che alle leggi che tutelano i diritti dei Mapuche), quando i nativi hanno tentato di avviare una forma di recupero delle terre originarie, li hanno più volte portati in tribunale. Nel libro raccontiamo e spieghiamo tutto quello che è successo nel più perfetto silenzio della maggior parte dei media italiani.»
Da parte loro è arrivata qualche forma di reazione al vostro libro?
«Personalmente i Benetton li ho interpellati nel 2017, quando scrissi della vicenda su “Avvenire”, un giornale molto attento e sensibile, che aveva capito l’importanza di questa storia. Avevo in precedenza cercato in varie occasioni di contattare i Benetton attraverso il loro ufficio stampa e alla fine mi fecero avere soltanto un comunicato stampa, peraltro di qualche anno prima e facilmente reperibile su internet, in cui spiegavano di aver offerto 7.500 ettari di terra ai Mapuche, che però avevano rifiutato questa “concessione”. Pur avendo chiesto ulteriori informazioni, oltre che il loro punto di vista in tutta questa vicenda, da parte loro non mi arrivò più alcuna dichiarazione. Il silenzio più assoluto, che poi rappresenta il loro usuale modo di agire. Nel frattempo ho parlato con vari attivisti, avvocati, rappresentanti degli stessi Mapuche, alcuni anche esiliati in Inghilterra e tutti indistintamente mi hanno dato la stessa e identica versione dei fatti. Che non è quella comunque formulata dai Benetton.»
I quali hanno perso anche una causa che ha fatto giurisprudenza.
«Sì, nel 2002 una coppia di Mapuche, quei Rosa e Atilio Curiñanco di cui accennavo prima, ha dovuto affrontare una lunga e difficile causa intentata dai Benetton per usurpazione e danneggiamento. Questi poveri ma dignitosi Mapuche non chiedevano molto. Una po’ di terra (di quella terra che apparteneva ai loro avi prima del saccheggio avvenuto nell’Ottocento da parte dei conquistatori europei), dove costruire una piccola casa in legno, allevare degli animali, il tutto per poter ricominciare a costruire una loro comunità, ma sono stati ostacolati in tutti i modi. In quella vicenda era intervenuto anche il Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel, che in più occasioni, anche per mezzo di una serie di lettere (tutte pubblicate nel nostro libro), ha posto i Benetton di fronte ai veri impegni che dovrebbe perseguire un bravo imprenditore. Il processo, durato anni, si è concluso con l’assoluzione dei Mapuche e con il rigetto da parte del giudice di tutti i reclami dell’azienda. Ricordo infatti che nel 1994 lo Stato argentino ha inserito nella propria Costituzione il riconoscimento della facoltà giuridica delle comunità originarie di possedere le terre che occupavano tradizionalmente.»
E poi cos’è successo?
«Si va al 2015, quando un’altra piccola comunità entra con bambini e anziani in un’altra area dell’immenso territorio dei Benetton. La loro fonte di sostentamento rimane principalmente l’agricoltura e dove vivevano in precedenza, il suolo non rendeva abbastanza, costringendoli ad una vita davvero di stenti. Quando sono entrati nella terra dei Benetton, nella estancia Leleque, con una azione di “recupero territoriale”, più volte la polizia nazionale è intervenuta violentemente con l’obiettivo di scacciarli e distruggere quel che avevano costruito. A coadiuvarli c’erano anche le guardie private dei Benetton. Durante questi blitz si sono verificate violenze di vario tipo, sottrazione di bestiame, incendi, distruzione delle suppellettili dei Mapuche. È certamente probabile che l’ordine arrivato dall’alto fosse quello di dare una “lezione a questi selvaggi”.»
Selvaggi che vengono anche delegittimati attraverso altre forme di comunicazione.
«Dentro i possedimenti argentini della famiglia trevigiana è stato creato un museo, finanziato direttamente dai Benetton e creato dal più giovane dei fratelli, Carlo, oggi scomparso, insieme ad un importante collezionista e ad un discusso antropologo. Il museo Leleque, questo il suo nome, attraverso i reperti e le fotografie e altri documenti racconta però che i Mapuche sarebbero in realtà un popolo di origine cilena, che avrebbe nel corso dei secoli scavalcato le Ande e sopraffatto i pacifici popoli che abitavano i territori prima della nascita della nazione. In questo modo viene tolta ai Mapuche la facoltà di rivendicare i propri diritti in Argentina: se fosse istituzionalizzato questo concetto, le leggi che tuttora esistono a loro favore perderebbero irrimediabilmente di efficacia.»
Non ci sono solo i Benetton, però…
«Molte compagnie, anche minerarie (ricordiamo che anche i Benetton sono azionisti di maggioranza di una attivissima compagnia mineraria, la Minera Sud Argentina), per perforare e raggiungere i giacimenti sotterranei distruggono in qualche caso anche i cimiteri secolari e altri importantissimi manufatti dei Mapuche, nella regione Patagonica e nella Terra del Fuoco. Attraverso la collaborazione di molte società rurali, composte da proprietari terrieri, che di fatto comandano in queste vastissime zone, il governo (specie quello precedente, guidato da Mauricio Macri), gli investitori stranieri e i media hanno creato nell’opinione pubblica la figura del nemico interno: hanno cioè criminalizzato i Mapuche, rappresentandoli come terroristi e sovversivi finanziati da gruppi esteri con l’obiettivo di sovvertire l’ordine nazionale e distruggere lo stato argentino. Insomma, è stata creata una narrazione ad hoc per metterli in cattiva luce e giustificare, in questo modo, le azioni violente perpetrate nei loro confronti. Tantissimi argentini li odiano e non tollerano le loro azioni di recupero e le loro battaglie, condizionati da questa campagna stampa diffamatoria.»
E invece in che modo protestano i Mapuche?
«Nonostante le loro rivendicazioni vengano in genere portate avanti pacificamente, le repressioni dello Stato sono molto violente. Non è infatti infrequente l’uso delle armi da fuoco durante i blitz delle forze di sicurezza. È incredibile che tutta questa violenza di Stato avvenga in un Paese che ha alle spalle la terribile storia legata ai desaparecidos, torturati e poi scomparsi a migliaia, durante il regime di Videla. Me ne sono occupata a lungo anche sul mio sito, in particolare intervistando una delle più dinamiche attiviste per i diritti umani argentine, l’avvocatessa Maria del Carmen Verdù. I Mapuche sono entità scomode non solo per i Benetton, ma anche per lo stesso Governo argentino, perché con la questione della loro terra di fatto non gli lasciano mano libera.»
C’è stata anche una vittima non di etnia Mapuche: Santiago Maldonado.
«La morte di un giovane bianco, che solidarizzava e protestava a fianco delle comunità originarie, ha portato allo scoperto ciò che accade in Patagonia, facendo arrivare il conflitto per la terra tra i Mapuche e i terratenientes stranieri, tra cui i Benetton, anche in Europa e in NordAmerica (anche se prima e dopo il tragico evento accaduto a Santiago sono stati altri i Mapuche ammazzato dallo Stato argentino). Qualche anno fa Maldonado scomparve durante un’operazione di polizia lunga la ruta 40 (i Mapuche avevano bloccato la strada per protestare contro l’ingiusta detenzione preventiva cui era sottoposto il capo spirituale della comunità, Facundo Jones Huala), e per alcuni mesi non se n’è saputo più nulla. Dopo un paio di mesi dalla sua scomparsa il suo corpo venne ritrovato lungo il corso di un fiume che costeggia la proprietà dei Benetton.. vicinissimo, peraltro, a dove era stato visto per l’ultima volta dopo essere stato catturato dalla Gendarmeria. La convinzione di tanti, anche Mapuche, che in quel fiume ci sono passati molte e molte volte dopo la scomparsa di Santiago, è che sia stato collocato lì appositamente, per farlo trovare, al momento giusto anche in vista delle imminenti elezioni che ci sarebbero state da li a poco.»
Visto che è argentino, c’è stato anche un interessamento da parte del Papa alla vicenda?
«Nel 2017, prima del ritrovamento del cadavere di Santiago, il Papa ha ricevuto la madre e il fratello del ragazzo, i quali hanno avuto l’opportunità di spiegare a Bergoglio tutta la vicenda. Erano andati a chiedere aiuto, per ottenere giustizia e verità. Il periodo della scomparsa di Santiago, quando ancora non se ne conosceva il destino, era stato caratterizzato da attacchi mediatici alla sua famiglia e a vergognosi depistaggi. Rimasero molto colpiti dal fatto che il Papa sapesse della scomparsa del loro congiunto. Ecco, oggi mi piacerebbe far avere al Santo Padre questo nostro libro, che attraverso le parole e la ricostruzione dei fatti vuole dare un contributo alla ricerca della verità e della giustizia. Ricordo che io Pericle non abbiamo avuto alcun compenso per questo lavoro durato qualche anno, proprio per non speculare sulle sofferenze che da secoli stanno patendo i Mapuche, in lotta contro giganti per i quali il capitale vale di più delle vite umane e della salute dell’ambiente.»
C’è stato da parte dell’Italia un tentativo di intervenire nella vicenda?
«Nemmeno ai tempi della dittatura, quando moltissimi argentini scapparono in Italia, la nostra nazione si attivò con reale convinzione. D’altronde nel libro Una Generazione Scomparsa ho raccontato anche della presenza della Loggia Massonica P2 nel governo presieduto dal generale dell’Esercito Jorge Videla e i forti interessi economici che anche l’Italia aveva (e ancora ha) in Argentina: nel 1977 per esempio l’Italia era il partner commerciale più forte dello Stato sudamericano, tra i Paesi Cee. Mentre governi italiano e argentino si scambiavano visite di cortesia e commesse importanti, un coraggioso giornalista del Corriere della Sera, Giangiacomo Foà, e un altrettanto coraggioso giovane console, Enrico Calamai, furono gli unici ad attivarsi concretamente, rischiando non sono il lavoro ma anche la propria stessa vita, per cercare di aiutare le persone a fuggire dalla repressione del loro governo. In quel capitolo racconto di diverse interrogazioni parlamentari da parte di diversi partiti e le dichiarazioni di impegno per fare luce sulla sorte dei nostri connazionali desaparecidos, che ottennero risposte molto vaghe. Solo dopo la caduta della dittatura in Italia, e la comunicazione della Junta che tutti cittadini argentini e stranieri (italiani compresi) erano morti, il velo del silenzio cominciò a squarciarsi. E allora ecco che si fanno largo i telegrammi dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini inviati a uno dei generali della Junta, l’ultima, in cui espresse “lo sdegno e la protesta mia e del popolo italiano in nome degli elementari diritti umani, così crudelmente scherniti e calpestati”, parlò di “delitti orrendi consumati contro vittime innocenti” e ricordò l’adesione dell’Argentina alla Carta di San Francisco sui diritti delle persone: un accordo che lo Stato sudamericano stava disattendendo e per il quale i suoi governanti avrebbero dovuto rispondere innanzi al mondo intero.»
Veniamo, per finire, al suo “compagno di viaggio”: Pericle Camuffo
«L’occhio, i miti e i racconti dei Mapuche contenuti nel libro sono tutti di Pericle. Io mi sono occupata maggiormente della raccolta delle testimonianze attraverso interviste, di agganciare dati e informazioni. Pericle, appassionato di storia come me, è studioso di antropologia e quindi ha dato un’impronta più scientifica e “alta” al libro. Peraltro Pericle nel 2008 aveva già scritto un volume sui Benetton, United Business of Benetton (anche questo pubblicato da Stampa Alternativa), in cui raccontava, tra i tanti business della famiglia veneta, anche la vicenda dei Mapuche Rosa e Atilio. Senza Pericle, e senza Marcello Baraghini, Alla fine del mondo non avrebbe mai visto la luce.»