L’ipocrisia di una legge che punisce ma non tutela
L'undicesima edizione del Libro Bianco sulle Droghe, presentata alla Camera il 25 giugno, descrive un quadro decisamente preoccupante
L'undicesima edizione del Libro Bianco sulle Droghe, presentata alla Camera il 25 giugno, descrive un quadro decisamente preoccupante
«Una guerra che è stata combattuta per mezzo secolo e non è stata vinta, è una guerra persa», ha recentemente dichiarato Juan Manuel Santos, ex Presidente della Colombia e Premio Nobel per la Pace nel 2016, parlando della lotta degli Stati contro la droga e il narcotraffico. Membro della Global Commission on Drug Policy, organizzazione internazionale nata nel 2011 e fondata da ex capi di Stato o di governo e da leader esperti del mondo politico, economico e culturale, Santos è senza dubbio tra i più autorevoli soggetti internazionali a sostenere politiche sulla droga basate su prove scientifiche, diritti umani, salute pubblica e sicurezza: il proibizionismo non funziona, e nessuno ormai può più negarlo.
Ne sappiamo qualcosa in Italia, dove ogni anno lo Stato “rinuncia” a circa 20 miliardi di euro di entrate, la giustizia nei tribunali è pesantemente rallentata da circa 200.000 fascicoli relativi a reati commessi in violazione del Testo Unico sulle Droghe e le carceri sono sovraffollate da detenuti tossicodipendenti che andrebbero curati e non puniti per il consumo di sostanze stupefacenti. Un vero e proprio autosabotaggio di Stato dunque, in un momento storico in cui molte democrazie liberali nel mondo hanno scelto, non senza una certa dose di cinismo e realpolitik, di legalizzare almeno le droghe leggere.
E decisamente preoccupante risulta anche il quadro che emerge dall’undicesima edizione del Libro Bianco sulle Droghe, presentata lo scorso 25 giugno nella sala stampa della Camera dei Deputati nell’ambito della campagna internazionale di mobilitazione dal titolo “Support. Don’t Punish” che quest’anno coinvolge oltre 160 città in 84 Paesi nel mondo. Si tratta dell’unico rapporto indipendente in Italia sui danni collaterali del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli (D.P.R. 309/1990), ed è promosso da realtà come La Società della Ragione insieme a Forum Droghe, Antigone, CGIL, CNCA, Associazione Luca Coscioni, ARCI, LILA, Legacoopsociali e con l’adesione di A Buon Diritto, Comunità di San Benedetto al Porto, Funzione Pubblica CGIL, Gruppo Abele, ITARDD e ITANPUD. Il focus del Libro Bianco nel 2020 è sul rapporto tra droghe e carcere in tempo di Covid-19, questione complessa che non riguarda solo la giustizia secondo il codice penale, ma anche e soprattutto la capacità di uno Stato di garantire a tutti i suoi cittadini il rispetto di diritti fondamentali come quello alla salute.
«In Italia e nel mondo non si vedono segni di contenimento della presenza degli stupefacenti» ha dichiarato l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni, durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto. «Dopo quasi 60 anni di proibizionismo, quel che va riformato radicalmente è l’impianto generale del “controllo.» Il testo smonta, infatti, molte delle mistificazioni spesso utilizzate per generare paura contro riforme anti-proibizioniste e i dati raccolti ci raccontano che in realtà, durante il lockdown, i consumatori di droghe «hanno dimostrato capacità di autoregolazione e il mercato illegale “flessibilità e resilienza”, e soprattutto non si è fermato, mentre i servizi pubblici hanno saputo adattarsi solo a macchia di leopardo alla nuova situazione.»
Niente a che vedere, dunque, con lo stereotipo del tossicodipendente che, pur di procurarsi la droga, diventa un pericolo per sé e per gli altri. Su questo concordano anche i dati ufficiali del Ministero dell’Interno secondo cui “per quanto riguarda i reati relativi agli stupefacenti, anche questi in calo durante il lockdown da Covid-19 del 28% – con produzione e traffico nello specifico diminuiti del 37% – sono emerse però nuove forme di spaccio di droga mascherate, ad esempio, da food delivery (spacciatori-driver con consegna porta a porta e, a volte, uso di app e pagamenti elettronici) o da car sharing”.
Insomma, durante il lockdown sarebbe sì esplosa la fantasia di consumatori e spacciatori, ma non i reati connessi all’uso di droghe, che rispetto al totale dei reati commessi nel Paese nel periodo interessato dalla statistica (1 marzo-10 maggio 2020) rappresentano infatti solo il 2,85%. Nello stesso periodo, i reati contro il patrimonio hanno raggiunto il 44,89 % del totale. Questo dato è fondamentale, nel momento in cui in Italia la legge sulle droghe continua a essere il principale veicolo di ingresso nel sistema della giustizia e nelle carceri: il 34,80% del totale della popolazione carceraria in Italia si trova infatti in carcere per violazioni del Testo Unico sulle Droghe.
Secondo gli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati al 31 dicembre 2019, nelle carceri italiane ci sono 60.769 detenuti contro una capienza regolamentare degli istituti di pena di 50.688 posti. Sugli oltre 60.000 detenuti, ben 14.475 (il 23,82% del totale) lo sono a causa del solo articolo 73 del Testo unico (sostanzialmente per detenzione a fini di spaccio). Altri 5.709 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero il 9,39%) e solo 963 esclusivamente per l’art. 74 (1,58%).
Ma la vera emergenza sociale è che – secondo alcune stime – il 37% di chi entra in carcere usa droghe, ovvero l’equivalente dei massimi storici raggiunti all’epoca della Fini-Giovanardi nel 2007: 16.934 persone, il 27,87% del totale dei detenuti in Italia, che non dovrebbero stare in carcere, ma essere curate in strutture socio-sanitarie che ne garantiscano il diritto alla salute. Lo dice chiaramente Massimo Oldrini, presidente della Lega Italiana per la Lotta all’Aids: «Le politiche sulle droghe nel nostro paese vanno radicalmente riformate, perché le evidenze dei danni prodotti dall’approccio proibizionista sono sotto gli occhi di tutti. La criminalizzazione dei consumatori con conseguenze penali e amministrative, la negazione del diritto alla salute e l’inadeguatezza dei servizi formali producono dolore e costi socio-sanitari inaccettabili. A pagare le conseguenze di questa guerra assurda e ideologica sono anche i malati di patologie curabili con la cannabis terapeutica, che a causa dell’ostracismo istituzionale, non trovano in farmacia quanto prescritto sulla base di evidenze scientifiche.»
Sappiamo, infatti, che la repressione colpisce principalmente i consumatori di cannabis, quindi di droghe leggere (il 77,95%), mentre seguono a notevole distanza i consumatori di droghe ben più devastanti come la cocaina (15,63%) e l’eroina (4,62%) e infine, in maniera irrilevante, le altre sostanze. Dal 1990 1.312.180 persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale e di queste quasi un milione (73,28%) per derivati della cannabis.
Ma proibire e comminare pene pesanti per il consumo e lo spaccio non ha sortito l’effetto sperato sui veri responsabili del dramma della droga, come ha evidenziato anche Louise Arbour, già Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU: «Nonostante il suo obiettivo, questa guerra, per come è stata concepita e attuata, è stata essenzialmente una guerra alla popolazione civile. Le grandi organizzazioni criminali non sono nemmeno state scalfite.» Ma cosa chiedono esattamente i promotori del Libro Bianco sulle Droghe per superare l’inadeguatezza delle attuali leggi sul consumo e il possesso di sostanze?
Stefano Vecchio, Presidente del Forum Droghe, associazione che si occupa di politiche sulle droghe in Italia e nel mondo dal 1995, ha le idee chiare in proposito: «La discontinuità richiede un cambio di rotta che preveda l’attivazione di un circuito virtuoso che si snodi su 6 tappe. Queste riguardano l’immediata organizzazione della Conferenza Nazionale sulle Droghe che manca da troppi anni, la riforma del Testo Unico sulle Droghe che compie in questi mesi 30 anni, l’esecutività dei Livelli Essenziale di Assistenza (LEA) per quanto riguarda la Riduzione del Danno, la ridiscussione del senso e delle funzioni del Dipartimento Antidroga, una posizione italiana nelle sedi internazionali che mantenga la linea europea di “approccio bilanciato” e che si apra alle sperimentazioni in corso in giro per il mondo ed infine la riapertura in Parlamento della discussione delle proposte per la regolamentazione legale della cannabis.»
La Storia ci suggerisce a gran voce che nel nostro Paese è arrivato il momento di avviare in Parlamento una riforma coraggiosa sul tema delle droghe. Dobbiamo scegliere tra la comoda ipocrisia di una legge che punisce ma non tutela, e la difficile strada che porta ad una crescita sociale inclusiva dei soggetti più vulnerabili. Tertium non datur.