Raoul, da Verona a New York, solo andata
Raoul, fotografo e imprenditore veronese, non vuole tornare. L'America lo ha conquistato nonostante le difficoltà. Ci racconta come nella storia raccolta da Tiziana Cavallo.
Raoul, fotografo e imprenditore veronese, non vuole tornare. L'America lo ha conquistato nonostante le difficoltà. Ci racconta come nella storia raccolta da Tiziana Cavallo.
Raoul è cresciuto a Verona, anche se nato in Francia, ma ora vive felicemente a New York, dove ha una sua agenzia di comunicazione e video. Prosegue la collaborazione con Veronesi nel Mondo e con la storia di Raoul Beltrame entriamo nel mondo delle opportunità che gli USA offrono e della “terra promessa”.
Se ti chiedo chi sei, cosa ci racconti? (Dove sei nato esattamente, dove sei cresciuto a Verona quale quartiere e che vita facevi qui, gli studi, gli hobby e le passioni e altro che racconti di te.
«Sono nato ad Annemasse (Francia) il 30 Luglio del 1980, confine con la Svizzera Ginevra da madre franco/italiana (padre era italiano di Padova e nonna di Ascona, Canton Ticino) e padre italiano di Verona. Sono nato in Francia solo perché mia mamma voleva farmi avere la doppia nazionalità, infatti adesso ho due passaporti (francese e italiano). Dopo la mia nascita sono tornato subito a Verona e ci ho passato 32 anni della mia vita.
Sono cresciuto in Borgo Venezia, o meglio Borgo Trieste, dove ho fatto tutti i miei studi, asilo ed elementari, poi mi sono diplomato all’ITIS Galileo Ferraris in centro come Liceo Scientifico Tecnologico. Dopo di che’ mi sono iscritto all’Università di Verona – Facoltà di Economia e Commercio, ma ho dovuto lasciarla dopo 2 anni, con tutti gli esami richiesti fino al 2 anno e una media del 27, in quanto mio padre si era ammalato di cuore e ho dovuto entrare nell’azienda di famiglia e prendere in mano la situazione insieme a mio fratello – più grande di me di due anni – che era già da tempo inserito nell’azienda di famiglia, in quanto aveva deciso che non voleva diplomarsi.
Ho sempre amato le attività esterne, sport in generale (penso di averli provati tutti), sono sempre stato un tifoso dell’Hellas, ma sono anche sempre stato una zappa a calcio.»
Cosa volevi fare da grande?
«Non ho mai avuto un desiderio specifico da bambino. L’unica cosa che posso dire è che volevo fare qualcosa di grande, di importante… e in parte, agli occhi di qualcuno forse ci sono anche riuscito, ma io penso che ci sto ancora lavorando. Non sono mai contento, voglio sempre di più.
Mi sono sposato giovane a 25 anni con una ragazza di Verona, e mi sono separato dopo 3 anni. Per il viaggio di nozze avevo comprato una videocamera per fare il classico filmino della vacanza, e al rientro mi sono divertito a montarlo, ed è stato lì che ho scoperto cosa realmente mi piaceva fare. Nel frattempo lavoravo nell’azienda di famiglia, che lavorava materiale plastico, e quando mi sono lasciato con la mia prima moglie ho deciso di iscrivermi a un corso di Operatore di ripresa e montaggio presso l’Accademia del Cinema di Bologna . Durante quei corsi mi sono appassionato anche alla fotografia anche se la mia ex moglie diceva che ero negato a fare foto.
Ho seguito il corso completo dell’Accademia e diplomato dopo 1 anno e nel frattempo mi ero iscritto a vari corsi di fotografia digitale e analogica e durante vari viaggi a New York come turista mi ero comprato la mia prima macchina fotografica.»
Da Verona a New York, perché?
«Il lavoro presso l’azienda di famiglia mi ha permesso di investire molto in attrezzatura fotografica e mi ha permesso anche di seguire, nel tempo libero, vari corsi. Purtroppo però la relazione con mio fratello non è mai stata delle migliori e avevamo due modi diversi di vedere le cose in azienda. Prendevamo due direzioni diverse e rischiavamo di rovinare tutto quello per cui mio padre aveva lavorato sodo. Sono cresciuto, forse un po’in modo narcisista, credendo molto nelle mie possibilità. Mio padre da niente – eravamo pieni di debiti quando avevo 6 anni – era riuscito a costruire un azienda di successo con più di 50 dipendenti, mio nonno materno anche lui partito come immigrante in Svizzera, e cominciando come sarto era riuscito ad aprire il negozio più grande di abbigliamento ad Annemase e comprato molti immobili. Il mio primo pensiero è stato: avrò preso qualcosa da loro?
E quindi nel novembre del 2011 durante un consiglio di amministrazione ho proposto a mio fratello di lasciargli l’azienda, liquidarmi la mia parte e salvare cosi l’azienda dai nostri litigi. Non avevo ancora deciso di venire a New York. In quel momento la fotografia era la mia passione più grande. Il mio insegnante di fotografia a Veron, il fotografo Mauro Magagna, mi spinse a prendere dei corsi costosissimi, circa 5.000 dollari a settimana, con un fotografo di Hollywood molto famoso, Greg Gorman, che teneva dei corsi ogni anno nella sua residenza estiva a Mendocino (North California).
Quello forse è stato il primo pensiero che ho fatto verso gli Stati Uniti. Ho lasciato ufficialmente l’azienda il 1 aprile del 2012 e sono partito per New York dove avevo degli amici. Ero partito per due settimane e l’idea di venire a vivere qui incominciava a crescere. Dopo una settimana incontrai un compagno di scuola di mio fratello, veronese anche lui, che mi fece conoscere a suo volta un fotografo italiano Maurizio Bacci, la sua assistente se ne era appena andata via e aveva bisogno di una mano, e ho accettato subito l’offerta, dopo un mese mi ero già trasferito, e poi piano piano sono riuscito a rimanere ottenendo un visto lavorativo.»
Cosa ti ha colpito appena arrivato e cosa ora ami di più?
«Ho amato quello che ancora mi colpisce ogni giorno dopo 8 anni: l’energia. L’energia della città, delle persone, di ogni piccolo movimento. Tutto è energia a New York, frenetico, pieno di opportunità, di culture diverse, di lezioni di vita. Ogni tanto l’energia te la toglie, più che dartela, ma riesce comunque a regalarti emozioni e stimoli continui.»
Cosa fai, di cosa ti occupi lavorativamente lì?
«Ho cominciato appunto come assistente in uno studio di un fotografo di moda italiano Maurizio Bacci. È stata un’esperienza unica, che mi ha permesso di imparare tantissimo. Insieme alla pratica, ho anche cominciato a seguire i corsi e workshop in giro per l’America con Gorman e con lui sono rimasto quasi 5 mesi lavorando al suo fianco. Siamo tuttora amici e ogni tanto ci sentiamo. Lui è stato quello che mi ha realmente cambiato il modo di vedere e fare fotografia. Dopo 2 anni come assistente ho cominciato a prendere i miei primi lavori di fotografia e video. Dopo 4 anni avevo già scattato per brand importanti come Missoni, Tag-Heur, Sarah Jessica Parker (linea di scarpe), Lardini, Frederique Constant, Jean Richard, Bulova, Gerard Peregaux, Harry Winston e ho scattato la prima campagna di gioielli per Karl Lagerfield.
Ho pubblicato su vari magazine come “Vogue”, “GQ”, “Vanity fair”, “Marie Claire” e tante altre riviste online e stampate. Dopo 5 anni però il mio spirito imprenditoriale ha prevalso e ho deciso di aprire un’agenzia di marketing e comunicazione e produzione televisive. Poi mi sono risposato nel 2017 con una ragazza italiana, milanese, Virginia, che ho conosciuto qui e siamo ancora felicemente sposati.»
Il virus ha cambiato le nostre vite, come state ora a New York?
«Sono stati mesi duri, come per tutti. È in situazioni come questa che ti rendi veramente conto delle piccole cose che dai per scontato: uscire a cena, vedere gli amici per un drink dopo l’ufficio, andare in palestra, anche solo il viaggio in metropolitana da casa all’ufficio finisce per mancarti. È stato difficile, ma siamo stati fortunati. Non siamo stati male e il nostro lavoro è continuato, per fortuna. Anzi, sono stati mesi molto intensi lavorativamente parlando. Stiamo bene, anche se fremiamo dal poter rientrare in Italia per vedere i nostri familiari. Tutte queste incertezze di quando riapriranno i confini, come sarà la situazione da settembre in poi ti destabilizzano. Purtroppo vediamo ancora gente in giro senza mascherina e ci preoccupa come reagiranno le persone ora che entriamo nella Fase 2. C’è da sperare che non si siano dimenticati di quello che è successo e che continuino ad andare in giro con mascherine e precauzione.»
E le proteste contro il razzismo delle forze dell’ordine, come le hai vissute, che ne pensi? Sembra che gli USA stiano esplodendo.
«Ah questo è un discorso più lungo e complicato. Purtroppo il razzismo negli Stati Uniti c’è sempre stato, esattamente come l’abuso di potere da parte dei poliziotti, in alcune zone di più e in altre di meno. Il fatto che a causa del virus fossimo tutti più sui social e davanti alla tv ha, per fortuna, attirato maggiormente l’attenzione sul problema, che va risolto quanto prima. Non solo nelle stazioni di polizia, ma anche a casa delle singole persone.
Ci sono state molte proteste e stanno continuando. I momenti preoccupanti sono stati quando hanno cominciato a essere violente, ma si è capito che lì ci sono istigatori che non aspettavano altro. Tuttavia, devo dire che fare un giro in città e vederla vuota per il virus, con vetrine spaccate e assi di legno per evitare che venissero distrutte…quello ha fatto impressione.»
Come vedi la tua Italia da là ora e torneresti in Italia a vivere, ovviamente dopo questo brutto periodo o comunque tra qualche anno, semmai?
«L’Italia la vedo come il Paese delle vacanze, e non tornerei mai più a vivere in Italia, tante vacanze sicuramente, ma di sicuro non tornerei in Italia per lavorare.
Metto un punto di domanda sul passare la mia vecchiaia, ma non credo, perché voglio dare molto meglio ai miei figli, quando e se ne avrò . L’Italia è un bellissimo Paese, ricco di cultura, ma è un Paese dove l’opportunità di crescere è pari a zero.
Purtroppo dopo essere vissuti in una città come New York, pensare di tornare al rallentatore mi spaventa, impazzirei. Poi soprattutto Verona, amo la mia città con tutto il mio cuore, ma è una città -e mi dispiace dirlo- ancora razzista e la gente è molto chiusa, bigotta.»
Consigli a chi vuole lasciare la città di nascita e provare esperienze fuori dalle mura?
«Di farlo. Un’esperienza all’estero è una cosa che consiglio a tutti. Che sia per pochi mesi o per anni, come per me. Ti apre la mente, ti fa uscire dalla tua comfort zone e ti mette alla prova, conosci persone da ogni parte del mondo e vieni a contatto con culture diverse. A volte è difficile, ma cosa non lo è? È assolutamente utile. Me ne rendo conto ogni volta che torno a casa e vedo le cose con occhio diverso. Dico di non aver paura, di fare questo salto e uscire dalle proprie quattro mura, imparare una o più lingue diverse e conoscere più gente possibile.»
Di Verona, infine, cosa ti manca?
«I miei amici, mia madre, il mio Hellas Verona. Il cibo mangiato nei ristoranti nelle vie della città… non fraintendermi qui si mangia benissimo e si trova tutto e la pizza è quasi più buona qui che non in Italia, però cenare in un ristorante italiano in Italia ha sempre un sapore diverso.»
E cosa non ti manca assolutamente?
«Non saprei… mi piacerebbe dirti il governo, le tasse, qui molto più basse, la burocrazia, le istituzioni ma anche qui non siamo messi bene con il Presidente che ci troviamo.»