Cabeki è la forma artistica scelta da Andrea Faccioli, compositore, autore, polistrumentista veronese per suonare la sua musica. Da qui i grattacieli erano meravigliosi è il suo quarto lavoro, pubblicato da Lady Blunt Records e uscito il 15 aprile scorso, in piena quarantena. Un album intenso, registrato in presa diretta in stile one-man-band, per cogliere l’immediatezza del suono, che spazia dal folk al blues con melodie coinvolgenti ed evocative.

Cabeki è un artista, un virtuoso della chitarra che collabora stabilmente con alcune delle realtà più interessanti della scena italiana contemporanea, dai Baustelle alle Luci della Centrale Elettrica. Lo abbiamo incontrato per parlare del nuovo album, che sarà presentato dal vivo sabato 27 giugno sulla terrazza dell’Hotel Corte Ongaro, a Verona, proprio su uno di quei grattacieli evocati nel titolo del disco.

Cabeki

Andrea, la scelta di pubblicare il nuovo album in pieno lockdown è quanto meno coraggiosa. Parlaci della genesi del disco, della sua composizione, dell’ispirazione che lo anima e infine della sua uscita, già di per sé un segnale di rottura.
«In generale, far uscire un disco in questi tempi di velocità digitale, in cui tutto diventa “usa e getta”, la considero una scelta coraggiosa. Ogni volta mi dico: “questo è l’ultimo”, ma poi cedo, mio malgrado, all’urgenza di far sentire qualcosa che io reputo essere un nuovo spiraglio creativo ed emotivo. Quindi questo è il mio “ultimo disco”.  L’album ovviamente era già pronto e con l’etichetta Lady Blunt si era deciso di farlo uscire il 15 aprile. E così è stato, non ho voluto posticipare l’uscita, come molti hanno fatto. Se doveva essere figlio di questi tempi, in questo modo a maggior ragione lo è. Messaggio promozionale: per chi volesse la copia in vinile si può acquistare su bandcamp, torniamo alle radici. Il disco è nato da una mia necessità, che covavo da molto tempo: fare un disco suonato live, ma senza loopstation. Come si faceva una volta, senza trucchi, mettendomi anche in difficoltà, ma volevo trovare la soluzione sonora giusta con i mezzi che avevo.
Tengo a precisare che qualche piccola sovraincisione l’ho fatta, ma la base portante è tutta in presa diretta: quella che si sentirà in concerto. Infatti ci sono molte imprecisioni, che ho voluto lasciare, appunto perchè volevo che restasse l’attimo preciso dell’esecuzione. E forse anche questo è un piccolo gesto di rottura nei confronti dei prodotti discografici attuali.»

Da qui i grattacieli erano meravigliosi è il tuo quarto lavoro solista ed è un affascinante percorso di crescita il tuo, che trasforma la realtà in melodia attraverso l’elettronica, ma anche con gli strumenti tradizionali. L’album è stato registrato in presa diretta, suonando tutti gli strumenti contemporaneamente e rendendoti un vero e proprio one-man-band. Ti soddisfa il risultato musicale ottenuto?
«Il risultato non mi soddisfa mai in pieno, per mia natura. Però ci sono dei momenti molto intesi, che non ho mai raggiunto prima. In realtà, anche se sembra complesso l’approccio agli strumenti, la musica è molto semplice. C’è molta melodia, anche armonicamente non ci sono voli pindarici, anzi. Ma questo è voluto. Forse è il disco più emozionale che abbia fatto come Cabeki.»

“Da qui i grattacieli erano meravigliosi”

Sabato 27 presenterai il nuovo lavoro finalmente dal vivo sulla splendida terrazza dell’Hotel Corte Ongaro. Come hai affrontato questo difficile periodo di incertezza della quarantena e come vivi questo parziale ritorno alla normalità e ai concerti?
«Ho fatto qualche live in streaming, e confesso che dopo aver premuto “stop” all’ultimo di questi, mi è venuto da piangere. La consapevolezza di suonare dal vivo, ma non sentire fisicamente la gente attorno a te, è devastante, ti senti inutile. E questo mi ha fatto riflettere molto sulla vita che, sempre più, stiamo vivendo. La pretesa di esistere per gli altri, ma non esserci veramente: viviamo una grande menzogna.»

Oltre al tuo progetto solista collabori con alcune delle maggiori realtà della scena cantautorale italiana, da Vasco Brondi ai Baustelle. Qual è a tuo parere lo stato di salute della musica in Italia? Il Covid-19 ha fatto emergere alcune evidenti fragilità, ma la situazione era già molto precaria…
«In Italia abbiamo grande genialità in tutto, ma spesso non vediamo oltre il nostro giardino. E in più la musica, l’arte e la cultura non sono piante che vengono seminate e curate volentieri. Basti guardare come sta venendo gestita la scuola. Io ho due figli e sono molto allarmato e dovremmo esserlo tutti. Stiamo facendo vedere ai bambini che la scuola è bypassabile, si può farne a meno: si può tenerla chiusa. Per me questa è la colpa più grave.»  

La tua carriera è iniziata con un progetto molto importante per la nascente scena indie veronese: i Lecrevisse. Sono album che conservano una bellezza senza tempo ed è inspiegabile non abbiano trovato un rilievo nazionale. Cosa ricordi di quegli anni? So che doveva avvenire una reunion prima della quarantena, pensate di riproporla?
«Ho dei bellissimi ricordi. Era un altro mondo: esistevano solo i negozi di dischi, e gli strumenti li compravi, anche quelli, in negozio o facendoti chilometri per trovarne di usati. Per capire che strumenti usasse un musicista andavi ai concerti a sbirciare sul palco, o si interagiva con altri musicisti.  Era tutto più vissuto sulla pelle secondo me. Così come trovarsi le date o cercare un’etichetta che ti producesse il disco. Il mondo discografico era meno inflazionato, anche se i fine Novanta e i primi Duemila ono stati forse l’inizio di una nuova era musicale. La mia sensazione è che all’epoca se volevi ottenere qualcosa dovevi guadagnartela suonando e suonando: non c’erano così tanti plugin, strumenti virtuali o tutorial su youtube. La reunion è attualmente in corso, è solo posticipata la prima data, vedremo quando e come. Questo periodo però lo stiamo sfruttando per scrivere materiale nuovo. Vedremo cosa succederà, intanto ci stiamo divertendo.»

i Lecrevisse

Tu sei un musicista poliedrico: chitarrista e compositore, ma ami anche collaborare con le altre arti, dal teatro al cinema. Verona è una città difficile per un artista contemporaneo, gli spazi sono pochissimi e spesso abbandonati al loro destino. Le scuole di musica in città e in provincia sono tante, ma sembra che tutto questo lavoro di diffusione, di didattica musicale e di sensibilizzazione all’ascolto si perda nel nulla. Cosa è necessario fare secondo te per riportare l’attenzione sul rispetto per l’esibizione live?
«Mi riallaccio alla risposta precedente sulla cultura e la scuola. La mia sensazione è che ci stiamo smarrendo. Non abbiamo più un controllo “manuale” sul futuro. O quantomeno non abbiamo prospettive, sia i musicisti che chi lavora nel mondo dello spettacolo. A volte penso che si sia persa la motivazione: perchè voglio fare un disco? Perchè voglio imparare a suonare uno strumento? Perchè devo produrre un festival o un concerto in un club? Sembriamo alla deriva, ci facciamo portare dalle onde, andiamo avanti per inerzia. Però il virus ha smosso sicuramente gli animi e le coscenze. Speriamo nel futuro, speriamo di arrivarci nel migliore dei modi.»

L’appuntamento con Cabeki e l’ascolto integrale del nuovissimo lavoro Da qui i grattacieli erano meravigliosi  è per sabato 27 giugno sul suggestivo rooftop dell’Hotel Corte Ongaro in Via Scuderlando 40, a Verona, a partire dalle 21. Info: events@corteongaro.it