Partorire non diventi una malattia
Il dramma dei casi di citrobacter apre a una riflessione sulla crescente medicalizzazione della gravidanza. Il ginecologo dell'Aied Francesco Cardini insieme a Il Melograno propone una strada alternativa
Il dramma dei casi di citrobacter apre a una riflessione sulla crescente medicalizzazione della gravidanza. Il ginecologo dell'Aied Francesco Cardini insieme a Il Melograno propone una strada alternativa
Pensavamo fino a pochi giorni fa che i più fragili fossero gli anziani, colpiti pesantemente da un virus molto aggressivo che ha costretto il Paese a fermarsi. Adesso, certo per fortuna con altri numeri, i media parlano di neonati, di prematuri gravemente segnati da un batterio, il citrobacter. L’ospedale della Donna e del Bambino ha dovuto chiudere il punto nascita e la Terapia intensiva neonatale, per il susseguirsi di casi di neonati con gravi disabilità, affetti da encefaliti o in stato vegetativo, se non addirittura deceduti.
L’impatto sulle strutture verso le quali si stanno dirottando i parti già programmati non è secondario: a Borgo Trento, oggi il punto nascite più grande del Veneto con circa 3400 parti all’anno, nasce il 40 per cento dei bambini della provincia, conseguenza anche della chiusura della maternità a Borgo Roma, nel 2016.
E questa realtà fa parte di una serie di scelte di programmazione e di gestione che privilegiano una sanità fatta di alta specializzazione, grande impiego della tecnologia, ma che rischia di trasformarsi in un gigante con i piedi di argilla per l’assenza, o quasi, di un ecositema sanitario territoriale. Uno scenario già visto con il Coronavirus, il cui impatto sulle strutture sanitarie è stato pesantissimo e ha messo a dura prova la tenuta stessa dell’intero sistema, reso negli anni più fragile sul piano della medicina di territorio.
Forse c’è una lezione da apprendere alla luce di questi due fenomeni, purtroppo sovrapposti e gravi. Nel comunicato stampa del consultorio Aied Verona, scritto insieme a Il Melograno, Centro informazione maternità e nascita, si avanzano osservazioni e proposte, perché non basta che la magistratura faccia chiarezza. Occorre ripensare l’organizzazione attuale, considerando le conseguenze di quanto accaduto.
«Come gruppo di lavoro Aied-Melograno per la qualità dell’assistenza ostetrica abbiamo espresso la nostra solidarietà non solo alle donne ma anche agli operatori, che sono convinto ci abbiano perso il sonno per liberare la struttura dal citrobacter, – afferma Francesco Cardini, ginecologo dell’Aied e coordinatore del progetto “Ad ogni donna il suo parto”, elaborato insieme a Il Melograno -. È un incubo anche per chi ci lavora e purtroppo può capitare ovunque, ma più facilmente nelle strutture ad alta intensità di cure, dove verosimilmente si concentrano i casi a maggior rischio.»
Sarebbe errato secondo Cardini ridurre il problema alla presenza di un batterio aggressivo sui neonati. «Non è un dato nuovo che germi rari e antibioticoresistenti si concentrino nelle terapie intensive dei grandi ospedali, per cui chiediamoci se sia opportuno concentrare in un unico grande punto nascita le donne con gravidanze patologiche e quelle senza problemi. Eppure, visti gli spazi disponibili, ci sarebbe modo di distinguere i percorsi. Sarebbe anche un modo appropriato per invertire la tendenza alla crescente medicalizzazione di persone che accedono all’ospedale pur essendo sane, come è il caso della maggior parte delle donne che devono partorire.»
La tendenza alla concentrazione in un solo luogo ad alto investimento tecnologico è comunque un problema contemporaneo in tutte le sanità avanzate. «Riguardo al parto, ci sono modelli alternativi. Nel Regno Unito, per esempio, coesistono tre tipi di strutture ostetriche e non tutte le gravidanze sono ospedalizzate. Esistono case di maternità, che sono addirittura separate dagli ospedali, sebbene fornite di ambulanza nel caso occorra il trasferimento – continua Cardini -. Ma la demedicalizzazione delle gravide sane dovrebbe iniziare ben prima del parto: il modello dell’Emilia Romagna prevede che la protagonista dell’assistenza alla gravidanza normale sia l’ostetrica, con il medico a supporto. Anche in Veneto esiste un progetto pilota regionale che valorizza l’autonomia dell’ostetrica.»
Ridurre gli accessi all’ospedale e partorire in sicurezza sarebbe un obiettivo che agevolerebbe quindi la stessa organizzazione dei servizi, senza voler chiudere alcuna struttura di terzo livello, piuttosto alleggerendo l’impatto sull’intera organizzazione da parte delle nascite che non necessitano di un supporto specialistico supplementare.
«Da molto tempo l’ostetricia è sulla strada della medicalizzazione delle donne sane, ma è una tendenza che va cambiata. Con Aied e Il Melograno abbiamo dei progetti attivi, un ambulatorio per la gravidanza fisiologica gestito da ostetriche, cui il medico dà un supporto iniziale per valutare se la futura mamma possa essere seguita in questo modo o presenti dei rischi e quindi necessiti di un altro tipo di accompagnamento», chiarisce Cardini.
I progetti ci sono, i modelli cui riferirsi pure, però sembra che il dialogo con le istituzioni stenti a dare frutti sostanziali e così è difficile cambiare rotta. La programmazione sanitaria regionale, che ha puntato alla chiusura delle strutture ospedaliere considerate onerose per il sistema, ma che ha pure reso difficile l’accesso ai cittadini e alle cittadine a servizi fondamentali, è stata perseguita anche come soluzione per il contenimento della spesa. A questo però non è seguito un adeguato investimento nella medicina di territorio, che già durante lo tsunami Coronavirus si è dimostrato essere il perno di una gestione più efficace dell’emergenza. E ora tanto necessaria nell’abbassare l’accesso alle strutture di alta specializzazione, qualora non ce ne sia un reale bisogno.
Anche perché il risparmio della spesa sanitaria si sta facendo in gran parte sulle spalle degli operatori, riducendo all’osso il personale. «Il rapporto indicativo di assistenza per la provincia di Verona prevede una ostetrica ogni 45 parti. A Borgo Trento siamo a una per 95. La realtà è fatta di ostetriche e medici che galoppano come disperati, e la famosa assistenza uno a uno è impossibile», conclude Cardini.
Una tendenza comunque nazionale, come segnalano i dati Eurostat relativi al 2019, in cui si legge che a fronte di un aumento di 15mila professionisti tra infermieri e ostetriche rispetto al 2011, quest’ultima categoria non rappresenta nemmeno il 5 per cento, come denuncia la Fnopo, la Federazione nazionale degli ordini della professione di ostetrica.