Immaginate di tornare ai tempi delle superiori. Bene, ora immaginate che i principali protagonisti della politica e del giornalismo italiano siano i vostri compagni di classe. Io ci ho provato.

Giorgia Meloni – Secondo banco a destra. Di carattere, le piace prendere la parola durante le assemblee e non le importa nemmeno troppo della moda. Non riesce però a capire come mai tutti si filino di più quelle un po’ oche, che ridono per nulla e girano con l’ombelico scoperto. Negli ultimi tempi è sempre più arrabbiata, come si sentisse minacciata da non si sa cosa, e la vedi sempre più spesso assieme a compagnie poco raccomandabili. Come quei tizi rasati che fumano in fondo al cortile durante la ricreazione.

Carlo Calenda – Il secchione. Puro e semplice. Lui sa, perché ha studiato. Siamo certi che ha ragione, però se evitasse di apostrofare come incompetenti compagni e professori (pure al bidello, che tiene il mocho in maniera poco funzionale), forse qualcuno lo amerebbe già un po’ più. Al momento se la gioca con Arturo Román.

Un sempre affabile Carlo “Arturito” Calenda

Luigi Di Maio (ma anche M5S in generale) – Noi lo vediamo che ci prova. Ce la mette davvero tutta per tirare fuori qualcosa di buono quando i prof lo interrogano. Partirebbe anche bene, ma poi la realtà è quella che è. E la profondità è quasi sempre quella della “pace nel mondo” nei sogni dell’appena eletta Miss Radicchio e degli scioperi per le poche fette di salame nei panini delle macchinette.

Matteo Renzi – In seconda, quando ci stavamo in banco assieme, sembrava anche simpatico.

Enrico Mentana – Già allora dirigeva il giornalino d’istituto. Assieme a un altro, un tipo magrolino che prendeva sempre appunti su tutti e si diceva pure che avesse messo su un super archivio. Marco, Travaglio, si chiamava. Aveva denunciato un conflitto d’interesse del preside, che era cognato della sorella del titolare della ditta che forniva le fotocopiatrici. Non so come sia finita.

Mattia Santori (ma anche Sardine in generale) – È quel ragazzo con cui ti eri fidanzata alle medie. Roba da due settimane, o giù di lì. Ora lo ascolti, e ti chiedi dove fossi con la testa quando avevi 13 anni. Ma, d’altronde, a quell’età ti fidavi pure delle rubriche di Cioè.

Lo spessore. I contenuti

Andrea Scanzi – Bello, tenebroso e dannato. Se ne sta sempre in quel banco lì a sinistra, messo di trequarti, una spalla appoggiata al muro e l’altra a osservare l’aula. Lui non si abbassa a farti le dediche sulla Smemoranda, ma cita De André nei compiti in classe di italiano. Lui non ascolta Max Pezzali, ti fa l’esegesi dei testi di Piero Ciampi. È colpa sua se abbiamo iniziato ad ascoltare Le Luci della Centrale Elettrica.

Nicola Zingaretti – Venti anni dopo, pizzata tra ex compagni di classe. Com’è che si chiamava quello là? Dai, quello a cui avevamo nascosto lo zaino in bagno. Ah sì, figata quello scherzo. Sai che non mi ricordo proprio il nome? Ecco… fa lo stesso.

Matteo Salvini – Qui, a prescindere dalle simpatie, va assegnata una nota di merito. Perché riuscire a non rispondere mai (ma davvero mai) nel merito della domanda che ti viene fatta deve essere uno sforzo immane. Trovare sempre il modo di svicolare e spostare l’attenzione è un’arte, e richiede grande preparazione. Ve lo ricordate vero quel compagno di classe che durante le interrogazioni riusciva sempre a buttarla un po’ in caciara? Ogni volta un tango danzato sul filo tra cavolate cosmiche e refrain buoni per tutte le stagioni. Tipo coste frastagliate, clima caldo umido, patate e barbabietola da zucchero. Certo che ce lo ricordiamo quel compagno. Quanto ci faceva incazzare, perché anche se lo vedevi che non aveva studiato una mazza, riusciva sempre a sfangarla.

Lucia Azzolina – Di preciso come ha fatto a diventare rappresentante d’istituto questa?

Mario Giordano – Quello che pur di avere un minuto di attenzione dalla più bella della classe era disposto a umiliarsi pubblicamente. Lui.

Lui

Luca Zaia – «Magna e bei che la vita la xe un lampo». Applausi. La classe apprezza sempre chi sa sdrammatizzare con aneddoti e barzellette. Fino ai topi morti.

Giuseppe Conte – Bello, elegante, impomatato. Ha una parola buona per ogni compagno e sospettiamo che a volte faccia anche i compiti al posto dei meno preparati. Lui, al primo giro di interrogazioni, si offre sempre volontario. E se c’è da portare una circolare in segreteria poi non ne approfitta per farsi una sigaretta in bagno. Dovreste vedere gli occhi della Maciocchi (quella seduta sempre al primo banco) quando Giuseppe parte col suo cum grano salis; pure la prof di latino si scioglie. Solo che qui siamo al liceo scientifico, e i numeri contano. Mi puoi raccontare finché vuoi di coraggio, seni, coseni, potenze di fuoco e rette tangenti, ma poi il problema lo devi saper risolvere. È su questi esercizi che, il nostro, rischia di farsi rimandare a settembre.

Che bella classe eh? A 17 anni avrei pagato per una truppa così, risate assicurate. Oggi invece rido un po’ meno.

BONUS TRACK: Vittorio Feltri – Quel professore ormai schifato dal suo stesso lavoro, che legge il giornale in classe e conta solo i giorni che mancano alla pensione. Disgrazia per se stesso e per i suoi studenti. Una prece.