Next Generation Europe
Von der Leyen smuove coscienze europee da tempo sopite e propone un vero patto generazionale senza precedenti, con aiuti ai più deboli e un piano di rilancio che riduca le differenze.
Von der Leyen smuove coscienze europee da tempo sopite e propone un vero patto generazionale senza precedenti, con aiuti ai più deboli e un piano di rilancio che riduca le differenze.
Non ci lasciamo ingannare dal nome alla Star Trek. La fantascienza non c’entra, qui si sta facendo la Storia. Il discorso della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen al Parlamento Europeo per presentare il piano di rilancio del Continente, è un continuo richiamo al passato, ma con il piede infilato saldamente nella porta del futuro: «le decisioni che prendiamo oggi, definiscono il futuro della prossima generazione». Lo slogan suona un po’ da balsamo per capelli, quel “Repair and Prepare” che sembra pescato dalla pubblicità. Resta il fatto però che la presidente sta veramente forzando un cambiamento che da tempo gli europeisti invocavano; con la volata lanciata dalla collega Angela Merkel (ricorderete il piano iniziale franco-tedesco da € 500 mld), la von der Leyen taglia il traguardo raggiante, pronta ad affilare ulteriormente le unghie. In nessun momento del suo discorso è apparsa attaccabile, ha sciorinato una serie di fatti, numeri e tristi verità come non se ne sentivano da troppi anni. Ha detto – e scritto nel documento ufficiale – che «questa crisi non è paragonabile alle altre, si sviluppa in modo imprevedibile e avrà ripercussioni per un periodo indefinito, dopo che l’emergenza finanziaria sarà risolta», aggiungendo poi una frase storica, sul fatto che «questo virus è uguale per tutti gli Stati Membri, ma il suo impatto e le modalità di ripresa appaiono molto diverse tra i paesi colpiti; gli Stati hanno agito tutti a tutela del popolo e dei lavoratori, ma non tutti nella stessa misura, creando il terreno per una crescente disparità.»
Von der Leyen dichiara che il piano, considerati anche gli strumenti già approvati nei mesi scorsi, mobiliterà nei prossimi 7 anni circa 2.400 miliardi, importo che – per dare un’idea della potenza – è più del doppio di un bilancio UE tradizionale. Per farlo, la UE dovrà fissare a 1.100 mld il tetto di spesa del bilancio pluriennale e alzare al 2% sul prodotto nazionale lordo il contributo dei singoli stati. La differenza tra entrate e uscite verrà messa a garanzia di un debito comune, i famosi Coronabond (per i quali auspichiamo un nome meno triste) da rimborsare non prima del 2028 ma entro il 2058. Altre risorse verranno da nuove tasse sulla plastica, sulle emissioni e, finalmente, da una più equa imposizione fiscale sui giganti del web. La proposta dovrà trovare consenso unanime e, viste le posizioni molto distanti di certi paesi (quei “frugali” che in effetti sembrano più “rompini” in questa fase…), non sarà certo facile. Impossibile attendersi la rivoluzione già nel prossimo summit europeo a metà giugno; ci sono voluti vent’anni, uno sfacelo economico e una crisi sanitaria per arrivare ai titoli europei, possiamo aspettare ancora un paio di mesi, magari l’estate riscalderà il cuore dei governi nordici, chissà.
Due terzi della cifra del “NextGenEU” saranno grants, ovvero concessioni a fondo perduto, mentre 250 mld avranno la forma tecnica del prestito a lungo termine. L’Italia, che per una volta si è presentata a Bruxelles con numeri invece di piagnistei, assertiva e disponibile al dialogo anziché sbattendo le porte, avrebbe ottenuto (fonti Ansa, riprese anche dal commissario Gentiloni) € 172,7 mld, di cui circa 81,8 a fondo perduto e quasi 91 come finanziamento. Questo 23%, la quota più rilevante, dovrebbe mettere tranquilli per un po’ i sovran-populisti, con le noiose recriminazioni sull’Italia bastonata, che paga per tutti e altre giocose facezie. Anche perché questi aiuti non andranno nel già pesante debito pubblico, quei «2.430 miliardi, pari al 134% del Pil, che minaccia di esplodere trascinando con sé l’intera area euro», come riportato da Samuelson sul “Washington Post” qualche giorno fa. Il premier Conte ha espresso grande soddisfazione perché l’UE sta andando nella direzione indicata dall’Italia, dopo che molti «ci avevano preso per visionari, solo per averci creduto».
Suonano davvero tristi, quasi invidiosi, in questo momento i commenti a caldo dell’opposizione, con Matteo Salvini a pretendere «soldi veri, non promesse» e Giorgia Meloni a reputare «la proposta non soddisfacente». Con loro al governo, sembrano pensare, si sarebbe ottenuto molto di più, ma forse dimenticano che proprio i loro alleati europei hanno tentano – per fortuna invano – di sabotare questa iniziativa. L’amor patrio che sfoggiano ai comizi dovrebbe riverberare ancor più forte, adesso che siamo sulla strada per salvare l’Italia.
Sempre che il nostro Paese abbia voglia di farsi aiutare, stavolta; che non vengano commessi ancora e sempre gli stessi errori. Per accedere al Fondo, il Governo dovrà presentarsi con un budget dettagliato e credibile di spesa, tenendo conto ovviamente dei settori annientati dalla crisi (pensiamo al turismo, ristorazione, spettacoli) ma anche alle priorità UE, definite da von der Leyen nella “twin transition”, cioè la trasformazione combinata dell’Europa in senso digitale ed ecologista. Investimenti per “riparare” le falle di una crisi senza precedenti, con aiuti alle imprese, che puntano su digitalizzazione e lotta al cambiamento climatico; le imprese dovranno rispondere all’unico requisito “do not harm”, cioè non danneggiare l’ambiente. La Commissione ritiene che il maggior ricorso alle economie circolari sarà in grado di far tornare a crescere il PIL europeo, creando molti posti di lavoro per i giovani, nell’ambito di un vero patto generazionale tra l’Europa di oggi e quella di domani. Ingenti investimenti sono dedicati anche al “preparare”, con il potenziamento di strumenti già esistenti e la creazione di nuove strutture che, imparata la lezione da un piccolo virus, possa lavorare sulla prevenzione e creare i presupposti per una migliore e più tempestiva gestione di un’emergenza analoga in futuro.
«Abbiamo solo due scelte: o andiamo da soli, lasciando indietro paesi e intere regioni, oppure prendiamo una strada comune. Per me la scelta è semplice, io voglio che prendiamo la strada tutti insieme.» Con queste parole, la presidente si è rivolta all’Europarlamento e, anche se la via è ancora lunga e in salita, ha già dimostrato di poter contare su una squadra compatta, che include la cancelliera Merkel come gregario d’eccezione, pronta a intervenire per neutralizzare gli outsider. La sua vittoria sarà la vittoria di tutti, ma soprattutto della Next Generation.