Il calcio è un’azienda, lo spettacolo può aspettare
Il calcio italiano è un'azienda è come tale alla fine ha scelto di ripartire. Senza pubblico, tuttavia, lo spettacolo secondo molti cessa di essere tale.
Il calcio italiano è un'azienda è come tale alla fine ha scelto di ripartire. Senza pubblico, tuttavia, lo spettacolo secondo molti cessa di essere tale.
Dopo diverse settimane di attesa è arrivata la fumata bianca. Il calcio italiano ha, infatti, deciso di ripartire. A partire dal prossimo 20 giugno Serie A, Serie B e Lega Pro torneranno a incrociare le armi con l’obiettivo – decisamente sfidante – di terminare la stagione entro i primi giorni di agosto. Rimangono da limare ancora alcuni dettagli ma il grosso è fatto. Molti spingevano per la ripresa, altri mordevano il freno, alla fine la voglia di andare avanti ha prevalso. Il virus che ha costretto a stoppare tutto non è ancora definitivamente sconfitto, ma la curva epidemiologica e un altro insieme di segnali positivi hanno consentito di tentare il tutto per tutto. Diversamente da altri sport- citiamo ad esempio basket, pallavolo e rugby – che hanno deciso già da tempo di chiudere i battenti, il calcio ha scelto, più o meno consapevolmente, di andare avanti.
La scelta maturata non è comunque riuscita a eliminare alcune criticità. La più importante riguarda il tema della quarantena. Il Comitato Tecnico Scientifico, infatti, non ha mollato un centimetro rispetto alle sue richieste iniziali. In caso di positività anche di un solo giocatore o membro dello staff, l’intero gruppo sarà posto in isolamento e non potrà più partecipare al campionato. Dovesse succedere ci troveremmo davanti ad uno nuovo stop, questa volta ancora più complicato del primo. Secondo quanto trapelato, in caso di nuova sospensione ci sarebbero un piano B, rappresentato da una fase di play-off e play-out, e anche un piano C che prevede, addirittura, la cristallizzazione della classifica. Quest’ultima, tuttavia, rappresenta la classica ultima spiaggia che nessuno, in cuor proprio, si augura mai di dover prendere in considerazione. Altre criticità riguardano gli orari – l’Assocalciatori per bocca del suo presidente Damiano Tommasi non vuole giocare alle 17.15 – o il calendario che, al momento della ripartenza, tra semifinali di Coppa Italia e campionato, obbligherebbe subito alcune compagini a un vero e proprio tour de force. In buona sostanza, intanto si parte poi si vedrà. Solamente nelle prossime settimane, con un pizzico di fortuna, capiremo se la scelta fatta risulterà quella giusta.
Secondo l’opinione di molti il vero motivo che ha spinto l’intero mondo del pallone a sfidare il virus pur di proseguire è rappresentato dai diritti televisivi. Gli introiti derivanti dalle trasmissioni sulle diverse emittenti a pagamento, infatti, rappresentano quasi il 60% dei ricavi complessivi. Rinunciare anche solo a una fetta di questa importante torta rappresenta per molti club qualcosa da evitare per non correre il rischio di mandare gambe all’aria più di un bilancio. Il fatto che la Lega abbia inviato addirittura un decreto ingiuntivo a Sky che chiedeva uno sconto, la dice lunga sull’importanza per molte società di questa voce quasi irrinuniciabile di ricavo.
La conclusione finale è quasi scolastica. ll calcio è un’azienda e come tale ha ragionato e tratto le sue conclusioni. In tutto questo, però, a finire in disparte sono stati ahimè i tifosi. Giocare senza pubblico è diventata una scelta obbligata per non correre il rischio di “risvegliare” il virus ma non bisogna dimenticare che il pubblico rappresenta un ingrediente fondamentale di qualsiasi spettacolo. E il calcio, fino a prova contraria, è sempre stato e rimane prima di tutto uno spettacolo, inteso nel pieno del suo significato. I Queen, con l’ineguagliabile voce del compianto Freddie Mercury, cantavano “The show must go on” ma il calcio a porte chiuse, lasciatecelo dire, non ha nulla a che vedere con lo spettacolo. Questo, però, è tutto un altro discorso…