In una sentenza tratta dal suo tanto citato quanto poco letto Lo scontro delle civiltà e il Nuovo ordine mondiale Samuel Huntington scriveva «I confini dell’Islam grondano sangue perché sanguinari sono coloro che vi sono contenuti». Huntington è stato un politologo assai controverso, il cui nome rimane legato al titolo della sua opera più nota, la quale sebbene colse in pieno la previsione di come sarebbe stata l’evoluzione dei rapporti internazionali della fine del XX secolo (e possiamo dire pure dell’inizio di questo XXI), rimane guardata con sospetto da vasta parte dell’intellighenzia progressista occidentale, ed europea in particolare, che l’ha sempre interpretata come un’apologia dello scontro di civiltà, quando in realtà il fine di Huntington era esattamente l’opposto, ovvero quello di evitare tale possibilità.

Mappa di “Caoslandia” tratta dalla rivista “Limes”

Basta sovrapporre l’ormai celebre mappa di “Caoslandia” della rivista “Limes” – che riporta i principali conflitti nel globo – con una cartina dove si veda la diffusione della religione islamica nel blocco continentale composto da Europa, Asia e Africa per rendersi conto che esse sono perfettamente sovrapponibili. Il 50% delle guerre che hanno coinvolto stati di religione diversa tra il 1820 e il 1929 ha avuto come protagonisti cristiani e musulmani. Islam e Cristianità hanno avuto differenti livelli di conflittualità nella loro storia, ma a cavallo tra il XX e il XXI secolo l’unico network terrorista ramificato in tutto il mondo mirante a imporre con la violenza l’egemonia di una fede si può definire fondamentalista islamico.

La liberazione della cooperante Silvia Romano, rapita in Kenya da un gruppo integralista somalo Al-Shabaab e tenuta prigioniera per 18 mesi, ha riportato brutalmente il tema del rapporto tra fondamentalismo islamico e Occidente nel dibattito pubblico, con molta veemenza polemica e poca razionalità, soprattutto a causa del fatto che durante la prigionia la ragazza si è convertita all’Islam. Non è intenzione disquisire su di un dramma personale come quello vissuto dalla giovane, non se ne possiedono gli strumenti e non è essenziale. Possiamo però ragionare sugli effetti che la vicenda ha avuto sull’opinione pubblica. Ogni fatto esiste indipendentemente da se stesso, per gli effetti che crea. Apparentemente ciò che ha fatto più scalpore della vicenda della cooperante è stata la sua conversione all’Islam, avvenuta durante la prigionia e la maniera assai edulcorata con la quale nelle sue dichiarazioni ha descritto i suoi sequestratori, appartenenti a un sanguinario gruppo terrorista affilato ad Al-Quaeda, che si è reso responsabile di numerosi attacchi ai danni dei cristiani in Somalia e in Kenya, tra i quali il massacro di 150 studenti di religione cristiana avvenuto nel 2015 in Kenya. Ora, possiamo evitare di disquisire sui motivi per i quali si è lanciato un sasso nell’acqua, ma non possiamo dire che non faccia le onde, e tra le onde causate dalla vicenda di Silvia ci sono state le controverse dichiarazioni di un esponente della comunità islamica di Roma, secondo il quale la ragazza è stata trattata dai suoi carcerieri «come una signora» e che durante la prigionia è stata «educata ed è felice» . Dichiarazioni, va detto senza alcun fine polemico, che non sono poi così choccanti se le si leggono assieme a quelle fatte dalla cooperante stessa. Qui sta, a parere di chi scrive, la principale debolezza occidentale nel rapporto con l’Islam. Silvia Romano nella sua scelta di convertirsi all’Islam, che in questo momento non possiamo sapere se libera o coatta, è stata difesa da vasta parte dell’opinione pubblica nazionale nel nome di un indifferentismo religioso (relativismo?) che dietro all’idea “laica” che le scelte di fede siano un fatto personale cela una sostanziale ostilità nei confronti non solo della religione e in particolar modo di quella cattolica, ma anche nei confronti di qualsiasi sistema di valori “forti”.

L’indifferentismo religioso dell’Occidente in realtà è una battaglia di retroguardia prettamente Europea. La nostra opinione pubblica, distratta da un’opera di disinformazione di massa portata avanti dalle élite culturali laiche e progressiste e incentrata sulla abusata (e di incerta definizione) narrazione della “secolarizzazione”, è convinta di vivere in un mondo dove “Dio è morto”. Peccato che in questo senso l’Europa sia l’eccezione piuttosto che la regola e in tutto il resto del mondo Dio sia vivo e lotti… con tutti.

God is Back è intitolato uno studio apparso qualche anno fa e firmato da John Micklethwait e Alan Wooldridge (già autori del celeberrimo The right nation) avente come oggetto l’analisi della “rivincita di Dio” e del suo ritorno da protagonista sulla scena politica mondiale, molto significativamente mai tradotto in italiano. Il libro ci spiega che ovunque, dal Sudamerica con il “risveglio” evangelico, all’Asia con le aggressive mire egemoniche Islamiste ma pure induiste e in alcuni casi Buddiste, alla Cina dove la cupola del partito comunista incoraggia apertamente l’affiliazione alle chiese consentite dal regime, alla Russia del revival ortodosso putiniano, fino agli USA dove l’indifferentismo religioso di Trump pare essere l’eccezione piuttosto che la regola, Dio è il protagonista della scena. Se il termine “Dio” può urtare qualche coscienza, possiamo sostituirlo con quello di “Valori”, e allora magari ci spiegheremo ad esempio un fenomeno peculiare della cultura europea: la fascinazione che il l’Islam ha sempre esercitato sulla “cultura di destra”, che ha portato diversi suoi esponenti a fare il percorso di Silvia Romano in perfetta autonomia, in cerca di un sistema di valori “forti”. Bastino due nomi, per quanto diversissimi culturalmente e separati nel tempo: Guenon e Buttafuoco.

L’Europa, drogata dall’ultima vestigia della sua passata grandezza, ovvero la convinzione della sua preminenza culturale, in realtà si trova a combattere una battaglia di retroguardia che sta perdendo su tutta la linea. In nome di un laicismo che di fatto è un relativismo etico, ha buttato il “bambino” (Dio) con “l’acqua sporca” (l’idea Teocratica), ma al sistema di valori garantito dalla Fede Ultraterrena non è riuscita a sostituire un equivalente sistema di valori seppur “laico” (non esattamente una sorpresa dal punto di vista epistemologico). Il risultato è che per l’Europa vale tutto e tutto è indifferente perché non si può dire una parola di Verità su nulla. 

Silvia Romano

La domanda che ci dobbiamo porre e che è essenziale per la sopravvivenza della nostra cultura è questa: possiamo essere felici per la liberazione di Silvia Romano e allo stesso tempo dire senza compromessi che gli abiti che indossa sono il simbolo della sopraffazione della donna da parte dell’uomo in quei Paesi in cui l’Islam viene declinato nelle sue forme più integraliste? Con quale forza, perché al di là di tutto la Politica è fatta di rapporti di forza, l’Europa può parlare di “valori” se non riesce a nemmeno a “nominare” esattamente quali essi siano?