In questo periodo di emergenza sanitaria i comportamenti adottati in ordine sparso dal mondo sportivo e dalla sua classe dirigente, hanno sollevato più di qualche critica e diverse perplessità. Il calcio, forse anche per la smodata quantità di denaro e interessi economici in ballo, l’ha fatta da padrone, alla disperata ricerca di una quadratura sui protocolli da adottare, con l’obiettivo di portare a termine la stagione in corso. La trattativa vede coinvolti da diverse settimane Governo – rappresentato dal Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora – Figc e Lega serie A, ma l’eventuale complicato buon esito, difficilmente potrà essere integralmente esteso anche ad altre discipline, con meno interessi economici in gioco ma altrettanto importanti.

Le preoccupazioni, infatti, riguardano tutte le restanti categorie e sport di squadra, incapaci di muovere business equivalenti. Per quest’ultimi, in particolare, la sensazione è che l’interruzione della pratica agonistica possa essere molto più lunga del previsto. I nodi principali da sciogliere riguardano, in particolare, la responsabilità di chi deve gestire gli impianti sportivi, i costi di sanificazione per la messa in sicurezza degli stessi, la rigidità dei protocolli da seguire e l’incertezza riguardo all’eventuale supporto statale o europeo. Ad oggi, comunque, non v’è alcuna certezza per nessuno degli interrogativi elencati. L’unico aspetto certo, a questo punto, riguarda l’attuale impossibilità di far ripartire le attività senza aver prima definitivo responsabilità, protocolli, misure e regole.

In questi casi di profonda e diffusa incertezza, come spesso accade, ogni realtà si muove per conto proprio. Le singole Federazioni presentano le proprie personali richieste d’aiuto a Roma, cercando di mantenere sempre viva la base dei propri praticanti. Il Governo, pur consapevole – con torto o ragione – dell’importanza del tema calcio, ha ben chiaro come la necessità principale di aiuto risieda proprio nella base. L’impossibilità per praticanti, simpatizzanti, assidui amatori e dilettanti di svolgere per lungo tempo l’attività sportiva e la concomitante riduzione attesa di sponsorizzazioni possono significare un’unica prospettiva: la morte di molte società sportive già dall’avvio della prossima stagione e l’abbandono di un’intera generazione di giovani. Uno scenario catastrofico, ma tremendamente realistico, che nessuno vuole rischiare che si verifichi.

E così, come già accennato e come suggerisce di fare l’attuale sistema organizzativo dello sport, ogni Federazione ha cominciato a muoversi in completa autonomia, prima attraverso la presentazione di istanze alle competenti autorità governative, poi attraverso lo stanziamento di fondi a sostegno delle singole società affiliate, a seconda delle risorse effettivamente disponibili. Una di quelle più attive è stata senza dubbio la Fipav, in prima battuta sostenendo con determinazione la richiesta di una defiscalizzazione delle sponsorizzazioni e, in secondo luogo, richiedendo importanti interventi di edilizia scolastica, volti a sanare la criticità degli impianti sportivi. Se è difficile dissentire da quest’ultimo punto – i fondi peraltro sono già stanziati, occorrerebbe solo sbloccarli – sugli interventi fiscali la sensazione è che la pur legittima richiesta non vada a risolvere alla radice i problemi a cui le società sportive andranno incontro. Basare la ripresa ancora una volta sul tradizionale sistema delle sponsorizzazioni come principale canale di sostentamento, significa non volere nemmeno provare a riformare lo sport secondo un modello diverso, nonostante quello fin qui adottato abbia manifestato profonde criticità. Inoltre, risulta piuttosto singolare andare a richiedere sgravi fiscali sulle elargizioni delle aziende che, per essere incentivate a contribuire allo sport, hanno un assoluto bisogno di liquidità. Il cash flow necessario, in questo contesto particolarmente critico, non si genera certo con interventi di defiscalizzazione. A fronte, poi, del probabile conseguimento di risultati economici non buoni da parte delle imprese, tali interventi correrebbero pure il rischio di non essere nemmeno valorizzati in maniera significativa e tangibile. Ogni giudizio, quindi, deve essere a questo punto forzatamente rimandato. Servirà comprendere, laddove la strada intrapresa fosse questa, quali tecnicismi fiscali il Governo sarà in grado di adottare ma le perplessità in tal senso restano forti.

La Fipav, nella fattispecie, oltre a prevedere interventi di razionalizzazione dei principali campionati, a contenimento dei costi di partecipazione delle singole società, è intervenuta pesantemente attraverso l’utilizzo di fondi propri per un importo senza precedenti. Secondo stime provenienti dagli stessi ambiti federali, si parla di un intervento a supporto delle società per la stagione 2020/2021 pari a 4,67 milioni di euro ripartiti in tre principali capitoli: riduzione a 15 euro della quota di affiliazione (comprensiva di 6 dirigenti) per un investimento di poco superiore a 1 mln 800mila euro; riduzione dei contributi per il tesseramento di allenatori e atleti per circa 968mila euro; annullamento delle quote di iscrizione e delle tasse di gara per l’intera attività giovanile corrispondenti a circa 1mln 900mila euro. Si tratta, come è facile vedere, di un insieme di misure significative che esprime tutta la preoccupazione dei vertici federali rispetto all’effettiva tenuta dell’intero sistema. Tuttavia, un aspetto importante è rappresentato dall’enorme valenza programmatica ed etica dell’annullamento dei costi federali per l’attività giovanile. La linea politica e di governo del mondo della pallavolo ha, quindi, svelato le proprie carte di assoluto valore. Forte di una certa disponibilità finanziaria, ma anche di un’ottica lungimirante, la Fipav, ha, quindi, delineato la rotta per i prossimi mesi, pur nella consapevolezza dell’impossibilità momentanea di risolvere la questione più spinosa, ovvero quella legata a come garantire una pratica sportiva sicura in presenza di contatto fisico e di gestione promiscua di attrezzature e spazi, tema di difficile soluzione in tempi così brevi.

Rimane di fondo l’amara considerazione che, salvo prova contraria, rispetto alla crisi lo sport abbia assunto posizioni disomogenee, che porteranno a politiche e interventi frammentati e profondamente diversi in ogni sport. Vuoi per volontà, vuoi per struttura, le varie discipline sportive rimangono disunite e ancorate a logiche campanilistiche di perenne lotta per garantirsi una sufficiente base di praticanti. Dietro a ogni intervento di ciascuna Federazione a favore delle società di appartenenza, si potrà leggere la volontà di offrire alla propria base una proposta più conveniente rispetto ad altre di sport rivali, con l’obiettivo di riuscire ad accaparrarsi nuovi atleti e nuovi potenziali talenti. Si tratta di un approccio per certi versi comprensibile – lo sport in fondo è competizione – ma che rischia di sminuire il reale valore delle attività proposte sul territorio dalle società sportive. Servirà, comunque, presidiare attentamente la situazione per non consentire il dominio della scena da parte del più ricco o del più forte, capace a proprio uso e consumo, di proporre anche gratuitamente il proprio sport. In questo periodo di emergenza sanitaria l’auspicio era quello dello sviluppo di un fronte unitario dove l’interesse primario collettivo fosse il mantenimento del numero di praticanti nel loro complesso. Assisteremo, viceversa, a un utilizzo dei fondi quasi esclusivamente finalizzato a rendere più appetibile il proprio sport rispetto a quello rivale.