Agsm, quella fusione indigesta
La Giunta del capoluogo scaligero, in piena emergenza sanitaria, è alle prese con alcuni "scricchiolii" interni: il nodo del contendere si chiama Agsm.
La Giunta del capoluogo scaligero, in piena emergenza sanitaria, è alle prese con alcuni "scricchiolii" interni: il nodo del contendere si chiama Agsm.
La quiete imposta alla città dal Coronavirus è cessata nei giorni scorsi quando il consiglio d’amministrazione di Agsm – con all’ordine del giorno la discussione di alcuni documenti importantissimi per la programmata fusione con il colosso lombardo A2A e la vicentina Aim – è stato bruscamente interrotto dalla fronda dei consiglieri di maggioranza in quota Lega e Verona Domani, che hanno frenato il processo di aggregazione della multiutility veronese. Casus belli: il poco tempo avuto a disposizione per analizzare la mole di documenti complessi che si dovevano approvare nello stesso cda – non più di due giorni da quanto risulta –. Mancanza di comunicazione, quindi. I consiglieri si sono visti messi davanti al fatto compiuto e con una prova d’orgoglio hanno, come si suol dire, rovesciato il tavolo.
Quando le decisioni sono politicamente condivise, vicende come queste sono semplicemente inconcepibili. I partiti/movimenti si accordano in conclave e le disposizioni vengono ratificate nelle sedi deputate. La fronda di Lega e Verona Domani politicamente dimostra che questi due movimenti, facenti parte della maggioranza che sostiene Sboarina, dissentono sul percorso di aggregazione della multiutility veronese fatto fin qua. Osservazione politicamente banale ma per nulla scontata con i tempi che corrono. Ma i grattacapi per il sindaco non erano finiti, e a pochi giorni dal cda della discordia ha dovuto incassare pure – come anche denunciato dalla forza di minoranza “Traguardi” – la dura presa di distanza di Fratelli d’Italia, altra componente della sua maggioranza, riguardo al percorso fin qui seguito per l’aggregazione di Agsm. Circostanza resa politicamente ancor più rilevante perché uno degli acquisti più recenti tra le fila del partito di Giorgia Meloni è l’assessore Daniele Polato, amico e braccio destro del sindaco Federico Sboarina. Rimbombante il suo silenzio in merito alla vicenda.
A voler leggere le circostanze con le lenti della politica, questa situazione potrebbe essere rivelatrice del fatto che l’assessore alla Sicurezza del Comune di Verona considera politicamente esaurita la parabola del sindaco e ne prende le distanze, scegliendo l’exit strategy di una candidatura regionale. Del resto, che il sindaco, privo com’è di un movimento nazionale di riferimento, sia politicamente molto debole non è una novità. La lista civica che lo sosteneva alle amministrative si sta dissolvendo e chi non l’ha ancora abbandonato è perché fino a ora ha trovato sbarrate le altre porte a cui ha bussato. La Lega stessa, l’azionista di maggioranza della Giunta Sboarina, non nega che le tensioni esistano, ma per ora non stacca la spina, prima di tutto perché presentarsi alle elezioni dopo aver sfiduciato la propria stessa maggioranza non è mai produttivo, poi perché non ha ancora individuato un candidato della caratura tale da poter competere con Tosi, vero convitato di pietra di ogni ragionamento sul futuro politico della città.
La governance di Agsm durante l’amministrazione in carica è stata particolarmente travagliata. All’inizio del mandato alla sua presidenza fu collocato l’avvocato Michele Croce, che esordì con proclami di “massima trasparenza” e finì esautorato dallo stesso sindaco dopo nemmeno due anni dalla sua nomina. Evidentemente il motivo erano le divergenze sul futuro dell’azienda, al di là delle affermazioni di circostanza sulla cessata fiducia da parte del Primo cittadino nei confronti dell’allora presidente. Durante il suo mandato Croce aveva prima indetto in pompa magna una selezione per il ruolo di direttore generale, sbandierando che finalmente la nomina per una carica così importante sarebbe stata fatta con criteri meritocratici con tanto di “consulenza” da parte di una società di cacciatori di cervelli. Dopo colloqui e selezioni, la montagna ha partorito il topolino e l’incarico è stato affidato a un dirigente interno, un avvocato che ha interrotto la tradizione che voleva la poltrona del direttore generale dell’azienda affidata a professionisti di formazione tecnica. La figura “meritocratica” l’avevano sotto il naso insomma: bastava cercare bene. Defenestrato Croce, sullo scranno più alto del cda di Agsm è arrivato il dottor Daniele Finocchiaro, nomina fiduciaria di Federico Sboarina.
Con queste premesse, era difficile pensare che il processo di fusione di Agsm viaggiasse senza fatica. Gli scricchiolii della maggioranza segnalano l’insofferenza per un processo che, fin qua, è stato dai più percepito come gestito in maniera fin troppo “personalistica” da parte del sindaco. Ad oggi, lo ricordiamo, non esiste una sola votazione in consiglio comunale riguardo alla fusione A2A-Agsm. Il punto è che Verona arriva drammaticamente in ritardo al tema delle aggregazioni tra multiutility e rischia non di governare un processo, quanto di subirlo come anello debole. E senza un chiaro piano industriale.
Prendiamo la controllata Amia, società che ha un passivo di bilancio importante. Per evitare che il servizio di raccolta rifiuti venisse affidato con gara di appalto si è deciso di assegnarlo in house. Ma allora che ne sarà delle controllate Serit e Amia Albania? La raccolta in house non consente di detenere aziende che operano fuori dagli ambiti locali e potrebbe riproporsi la medesima situazione che portò a suo tempo la provincia di Verona a dover cedere le sue quote di Atv. Relativamente, poi, alla programmata fusione fra Agsm-Aim-A2A, la sensazione è quella di un processo decisionale non condiviso. Per giustificare la scelta di un operatore fatta senza aver indetto alcuna gara, fatto che ha mosso le perplessità di altri operatori che erano interessati a sinergie con Verona, è stato chiamato in campo un inceneritore che A2A possiede in Lombardia e che sarebbe vitale per eliminare i rifiuti prodotti a Verona, quando nel 2016 membri di questa maggioranza erano tra i pasdaran che si opponevano alla scelta dell’allora sindaco Tosi di riavviare l’impianto di Ca’ del Bue adducendo la motivazione che non serviva.
Rimase storica la conversione dell’ex presidente Agsm Paolo Paternoster che con somma disinvoltura passò dalle file “pro” alle file “contro” nel giro di una rimozione dalla presidenza. Ma allora questo impianto serve o no a Verona? Possiamo avere un dibattito chiaro su un’operazione così importante per la città, che ha tutta l’aria di essere calata dall’alto, o dobbiamo rassegnarsi a vedere l’ennesimo “gioiello” veronese trapiantare la sua governance al di là del Mincio, come già successe a Cassa di Risparmio e Banco Popolare?