Una App per trovarli, una App per dominarli
Immuni non è ancora nata ma già smuove il mondo della politica e dei social media. Un breve fact-checking sul tracciamento a fini sanitari.
Immuni non è ancora nata ma già smuove il mondo della politica e dei social media. Un breve fact-checking sul tracciamento a fini sanitari.
Ancora di fatto non “esiste”, ma Immuni, la piattaforma di tracciamento scelta dallo Stato italiano, ha già scatenato emozioni forti, attacchi bislacchi e centrati; poca chiarezza. A livello politico, con toni diversi, sono stati espressi molti dubbi sulle ripercussioni sulla nostra vita, inizialmente pensando alla privacy, un “tesssòro” a cui abbiamo rinunciato in massa da tempo, per poi accorgerci del pericolo liberticida. Fa specie osservare come le prime grida siano partite dal lato destro del Paese, quello che nel pensiero comune è più amante dei doveri che delle libertà e addirittura accalama un “uomo forte” per togliercene altre. Eppure, i nostalgici dell’epoca delle privazioni sono anche quelli più attenti a rivendicare quegli stessi diritti che, per ironia della Storia, i loro simili violentarono cent’anni fa. Arriva con lieve ritardo, la reazione della platea di sinistra; forse questo termine non si usa più perché di sinistra è rimasta solo la faccia sempre triste dei suoi esponenti, mentre è calata la dedizione a difendere e preservare le grandi vittorie per i diritti civili degli anni passati, che si danno per scontati. Prima e dopo le parole di Giuseppe Conte, l’opinione politica comune è concorde nel subordinare l’adozione alla discussione e voto del Parlamento, non bastando una semplice decisione del commissario che, per quanto straordinario, si dovrà confrontare con la realtà.
Ma andiamo a vedere cosa ne pensa “laggente”, tutti quegli economisti, allenatori e ora anche avvocati per i diritti umani, che in quarantena passano le ore a leggere e scrivere sui loro apparecchi elettronici (abusando della Rete, ma piangendo per gli alberi). Finché il copia-incolla si limita a “Ho scoperto perché non vedevo tanti amici, funziona!” oppure “Condividi e riceverai un buono per il supermercato!” passiamo oltre, sorridendo dell’ingenuità delle persone di fronte a un punto esclamativo; se però gli stessi utenti prendono posizioni nette a favore o contro la App che nessuno ancora ha visto davvero, beh urge un minimo di analisi, almeno per le più comuni.
La App deve essere resa obbligatoria.
NO. Installare Immuni non sarà obbligatorio. Luca Zaia esprime però in questa sua frase un pensiero corretto, in quanto, per funzionare davvero a scopo di controllo di nuovi focolai di virus, l’applicazione deve avere la massima diffusione possibile, come minimo il 60%. Pensiamo a Immuni come a un “vaccino digitale”, in attesa o nella speranza di uno medico; esattamente come l’altro, per fornire una immunità di gregge tecnologica, ha bisogno di una copertura ampia. I dati su un campione minimo perderebbero valore e soprattutto efficacia ai fini desiderati.
L’installazione sarà completamente su base volontaria.
Ehm NO, non ci sentiamo di sottoscrivere pienamente le rassicuranti parole del premier Conte. Prima di tutto, perché si tratta di una forma di controllo remoto dei nostri spostamenti che cozza proprio, a livello concettuale, con il libero arbitrio. E poi perché sentire che ci saranno degli “incentivi” all’utilizzo, senza meglio specificare quali, fa scattare nei liberisti e complottisti un campanello fastidioso, ci morde il dubbio per esempio che la mancata installazione possa precluderci l’accesso a certi servizi pubblici o garantire gradi di libertà inferiore nei viaggi. A pensar male, diceva un grande statista, spesso ci s’azzecca.
Hai messo i tuoi dati in mano Amazon e adesso ti preoccupi di darli allo Stato? Metti le tue foto in ospedale su Facebook, non è la stessa cosa?
Eh NO, non è la stessa cosa, per due ordini di motivi. Da un lato, la privacy – per quanto da tutti noi svenduta – è un diritto, specialmente per i dati definiti “sensibili”, come l’orientamento sessuale, politico e religioso ma anche informazioni sanitarie. NO, mettere in rete una foto e metterci pressione arteriosa, temperatura o chissà cos’altro ci chiederà Immuni, non è la stessa cosa. Secondo poi, se a qualcuno volessimo anche dare questi dati scottanti, forse la nostra scelta ricadrebbe proprio sui giganti sopra citati, che negli anni – a suon di denunce e condanne – si sono dotati di strumenti costosissimi per conservare i dati. Pensarli presso la Bending Spoons spa, Milano, non sembra proprio la stessa cosa, pur trattandosi di una società nata nel 2013 e con al suo attivo 200 milioni di download. Saranno insomma i primi sviluppatori europei e lavorano pure gratis, ma va risolta e subito la questione di come proteggere i dati, utilizzando un server ministeriale, e va garantito ai cittadini che potranno decidere di eliminare la App, come si può fare con gli account di qualsiasi sito, e il diritto all’oblio, alla rimozione totale.
Stai lì a parlare di privacy, quando metti in piazza tutti i tuoi vizi, anche illegali.
VERO, molte delle nostre attività, gusti personali e opinioni vengono sempre più condivise in Rete. È una nostra scelta, possiamo decidere di scrivere se preferiamo Aperol o Campari (o entrambi), così come mettere una foto maialina o nascondere la faccia dei bimbi con un adesivo orrendo. Come riassunto efficacemente dal direttore di “Libero”, Pietro Senaldi, «posso anche farmi penetrare, ma non voglio che il filmino vada in rete». Una iperbole facilmente smontabile ma che contiene un fondo di verità e cioè che esiste una profonda differenza tra decidere ed essere costretti, tra concedere informazioni e vederle trattate per finalità diverse da quelle in premessa.
Ma quale libertà! Non siamo liberi, non decidiamo più niente. Siamo rinchiusi come i carcerati.
Questa terribile esclamazione vale per tanti di noi, succubi del pensiero unico, della condivisione compulsiva, dell’acquisto superfluo. Molti si sentono in gabbia e anelano la fuga, senza pensare che tengono in mano la chiave della serratura. La TV e i giornali, la famiglia e gli amici, così come il pregiudizio, i valori, le certezze inossidabili… tutto questo ci dice continuamente cosa fare ma NO, non siamo schiavi. Abbiamo solo rinunciato a pensare e decidere con la nostra testa, stanchi forse, oppure rassegnati. Molti dicono che viviamo una deriva autoritaria, che le molte privazioni a cui siamo costretti potrebbero “abituarci” all’obbedienza, in vista di limitazioni più invasive. La paranoia vive di incertezza ma va tenuto ben distinto ciò che è necessario per il bene comune (restare vivi, tipo) da quello che ci limita senza ragione.
Non abbiamo niente da nascondere, o forse anche sì, ma non è questo il punto: la nostra libertà di decidere va tutelata in ogni modo possibile e, se decidiamo di rinunciare a un pezzetto per un bene più grande, il vaccino digitale… beh, allora chi riceve questo immenso dono deve averne la massima cura, preservarlo da attacchi hacker e cessioni indebite. La questione va regolamentata alla luce e negli ambiti del GDPR europeo, va discussa in Parlamento, in modo trasparente e onesto. Solo se ci saranno le giuste tutele e garanzie, potrà avere successo una App «per trovarli, una per dominarli e nel buio incatenarli» (cit). Una catena che, in questo caso, potrebbe anche salvarci la vita.