Domenica 5 Aprile di questo anno bisestile 2020, in Belgio, beffa delle beffe, era una bella giornata con un tiepido sole primaverile. Da queste parti, una giornata così è parente stretta di una classica giornata estiva. Quando, poi, a queste latitudini il sole splende dopo settimane di pioggia e freddo, il cielo si colora di un azzurro terso e intenso, bellissimo, che ti invita a una passeggiata nella campagna verde e umida. Il 5 Aprile era una giornata in cui ogni casa, ogni giardino, ogni garage, sarebbero stati trasformati in un luogo di incontro con gli amici. Tutte insieme, attorno a un barbecue con carne e birra abbondante e sotto la bandiera giallo-nera del Leone delle Fiandre, le persone avrebbero festeggiato aspettando il passaggio dei ciclisti e dell’intera carovana al seguito. La giornata sarebbe stata trascorsa nell’attesa dei pochi secondi del passaggio dei corridori. Sarebbe stato il momento per rispolverare l’orgoglio fiammingo in questo Paese diviso, una giornata in cui le dirette televisive iniziano il mattino presto prima della presentazione dei corridori, e si sarebbe iniziato a parlare di ciclismo già dal momento della prima colazione. Il 5 Aprile 2020 era in programma l’edizione 104 del Giro delle Fiandre, molto più di una semplice gara ciclistica (una delle cinque “classiche monumento” del calendario mondiale), una vera festa nazionalpopolare. Una giornata di solito di polvere e di fango, che questa volta sarebbe stata di povere e sudore sotto il sole. Invece, le regole sul social distancing, imposte a causa del diffondersi del Coronavirus, hanno causato la sua imprevista e inattesa cancellazione, una cosa mai vista, nemmeno in occasione della Seconda Guerra Mondiale. Cancellazione o, forse, semplice rinvio, visto che nelle ultime ore la UCI ha deciso che le principali competizioni ciclistiche si disputeranno entro la fine dell’anno e fra queste è annoverato anche il Giro delle Fiandre, anche se al momento una nuova data non è ancora stata fissata.

Tanto per far capire come il ciclismo sia non solo nella tradizione, ma quasi nel sangue dei belgi, qualche giorno prima dell’inizio del teleworking, quando ci si attendeva che il governo avrebbe dichiarato a breve l’inizio del lockdown, un collega belga mi confessava che per lui l’aspetto più sconvolgente sarebbe stato passare la primavera senza l’oramai tradizionale compagnia, oltre al Giro delle Fiandre, di corse come Freccia Vallone e Liegi Bastogne Liegi, tutte in programma nel paese di Re Filippo.

Nel 2019 mi ero avventurato curioso sulle strade della corsa e, scelto uno dei tanti paesini sul percorso, con la macchina sono andato incontro alla corsa già partita. Lungo il mio percorso notavo che una folla variopinta aveva già invaso la strada: chiunque abitasse sul percorso aveva aperto le porte di casa sua a tutti gli amici e i conoscenti e, sotto l’immancabile Leone delle Fiandre, immersi in un denso fumo del barbecue, la gente chiacchierava e passava una giornata in compagnia. Arrivato alla mia destinazione, che, per non trovare troppa folla avevo appositamente scelto tra i punti meno importanti del percorso, mi resi conto che ogni villaggio attraversato dalla gara organizzava delle attività per festeggiare il passaggio della carovana. In questi luoghi appositamente organizzati per la giornata, cibo e birra a volontà dominavano la scena, con la presenza immancabile un maxi schermo e una serie di gonfiabili per intrattenere i bimbi, mentre i genitori seguivano la diretta della corsa, allenando le mascelle e i molari sulla carne alla brace. Tutti sventolavano bandiere e drappi inneggianti all’eroe locale, ciclista in attività o del passato più o meno recente. All’improvviso, poi, quando il rumore dell’elicottero utilizzato per la diretta delle riprese televisive avvisò l’arrivo della carovana, tutti si alzarono pronti a fornire il proprio sostegno, applaudendo con forza al passaggio dei corridori. Un altro aspetto curioso è legato al percorso della corsa. Le Fiandre sono un territorio relativamente piccolo e la corsa si sviluppa in una zona circoscritta, utilizzando stradine di campagna ed intrecciandosi più volte nella stessa zona. I tifosi più appassionati hanno così la possibilità di osservare una e più volte il passaggio dei corridori, muovendosi lungo l’intero percorso. Di questo “mestiere” esistono dei veri e propri professionisti, che con indubbia fierezza si vantano di riuscire a intercettare la corsa sei, sette e chi, addirittura, otto volte. Questi simpatici soggetti sono immediatamente riconoscibili, così scrupolosamente attenti alle dirette sui propri tablet o debitamente provvisti di una grande antenna installata con dovizia sul tetto della propria autovettura. Una volta transitata dalle loro postazioni la colorita carovana, scattano velocissimi al volante e si lanciano a velocità decisamente proibite su stradine di campagna che in apparenza non conducono a nulla, se non a un nuovo passaggio dell’amata corsa.

Quest’anno, purtroppo, nel cuore di tutti i belgi, le emozioni hanno dovuto lasciare spazio ai ricordi. Uno degli eventi in grado di coinvolgere il popolo di un’intera nazione è rimasto tale solo sulla carta. Tutti – compreso il sottoscritto – sono rimasti giocoforza nelle proprie case a guardare il sole attraverso le finestre, in preda a un terribile stato di noia e delusione. Tutto questo esemplifica, laddove ce ne fosse ancora bisogno, in maniera chiara e assolutamente esaustiva, quanto profondamente le misure sanitarie adottate per limitare il contagio in tutti i Paesi d’Europa e del mondo, abbiano colpito tutto noi, togliendoci la possibilità di esprimerci e di condividere con gli altri tutte le nostre emozioni. Il coronavirus, in fondo, è anche profondamente democratico: colpisce chiunque, indistintamente, in qualunque luogo, minandoci in uno dei nostri sentimenti primordiali: l’esistenzialismo più profondo, ovvero la socialità con ognuno dei nostri consimili.