Trapananda, la città incantata della Patagonia
Il viaggio attraverso i luoghi immaginifici degli scrittori del nostro tempo è un omaggio al grande Luis Sepúlveda mancato ieri.
Il viaggio attraverso i luoghi immaginifici degli scrittori del nostro tempo è un omaggio al grande Luis Sepúlveda mancato ieri.
Navighiamo verso sud. Con un po' di fortuna potremo
attraccare in un posto chiamato Trapananda.
«Come si arriva a Trapananda?»
domando ad uno di quelli che si sta facendo la barba.
«Non ne ho la minima idea. Forse il capitano lo sa» risponde.
No. Questo non è un patagone.
«Come si arriva a Trapananda?»
insisto ora con uno dei bevitori di mate.
«Con pazienza, amico. Con molta pazienza» ribatte,
e mi osserva con espressione complice.
Sì. Questo è senza dubbio un patagone.
Nella Patagonia cilena, lungo la cordigliera delle Ande, da secoli si tramanda la leggenda di una mitica città d’oro in grado di rendere immortale qualsiasi avventuriero che riuscisse a mettervi piede.
Trapananda è collocata in luoghi sempre diversi a seconda di chi racconta la sua storia: al centro di una valle fertile e dal clima mite, oppure nascosta tra montagne inospitali o, ancora, su di un’isola in mezzo a un lago. In ogni caso da qualche parte sulle Ande, non troppo lontano dalle sponde settentrionali dello Stretto di Magellano.
Luis Sepúlveda la cita nel diario «Patagonia Express», pubblicato nel 1995 dopo un viaggio nel sud del mondo, fino alla Terra del Fuoco. Il titolo originale, “Al andar se hace el camino se hace el camino al andar“, riprende i versi di Antonio Machado: si fa il cammino camminando, camminando si fa il cammino. Una delle passioni di Sepúlveda era la letteratura da viaggio. Il suo editore, Tusquets, nel messaggio di cordoglio per la sua morte ha scritto: «Ha viaggiato sin dalla più giovane età in quasi tutti i possibili territori della geografia e delle utopie, e da quella vita inquieta ha saputo raccontare, come un narratore di talento, storie e romanzi emozionanti».
Sepúlveda doveva essere affascinato dal mito di Trapananda, vero e proprio territorio dell’utopia, anche conosciuto come la Città dei Cesari.
Per più di tre secoli questo luogo perduto e leggendario è stato al centro di esplorazioni e spedizioni armate che hanno provocato naufragi e inghiottito drappelli di soldati. Si dice che la costruirono dei fuggiaschi dal disastro di Curalaba, ma alcune versioni affermano che sia stata edificata da naufraghi spagnoli o dagli Incas Mitimaes.
Alla sua “nascita” hanno contribuito anche elementi storici: su tutti il viaggio di Sebastiano Caboto, che nel 1526 era partito dalla Spagna per cercare una rotta verso le Molucche (in Indonesia) attraverso lo stretto di Magellano, ma rimanendo colpito dal racconto dei reduci di un’altra spedizione su luoghi traboccanti d’oro e d’argento, aveva incaricato uno dei suoi uomini più fidati di condurre una pattuglia in esplorazione verso ovest. Dal capitano Francisco César prende nome la città, incontrata, si dice, nel corso di un cammino che lo aveva portato fino alle sierras di Cordoba, dove avrebbe visto una città piena di tesori abitata da indios accoglienti.