Come cambia la nostra spesa
Altro segno dei tempi: sono cambiate le nostre abitudini nel fare la spesa. Vediamo quanto, come e perfino dove...
Altro segno dei tempi: sono cambiate le nostre abitudini nel fare la spesa. Vediamo quanto, come e perfino dove...
Con la quarantena e le restrizioni alla libertà di movimento, tutti abbiamo sperimentato la “sindrome da carrello pieno”; ci dobbiamo piegare ogni volta alla spesa grossa, quella che prima si faceva una volta ogni tanto, per approfittare delle offerte e fare incetta di detersivi, pasta e prodotti non deperibili e pesanti. Ci toglievamo sto pensiero e poi per un altro mese la nostra vita continuava nella routine del giretto in negozio o supermercato quasi ogni giorno, comprando quello di cui la nostra pancia sembrava aver voglia quella sera stessa.
Qualcosa è profondamente cambiato, come evidenziato da un’analisi Nielsen, la famosa società di rilevazione commerciale. Una piccola premessa, che ci aiuta a contestualizzare: la filiera agroalimentare completa, dal produttore al consumatore, vale in Italia circa il 25% del PIL (oltre 500 miliardi di euro) e offre lavoro a 4 milioni di persone, attraverso 740mila aziende agricole, 70mila industrie di trasformazione alimentare e 230mila punti vendita. È insomma una cosa grossa. Il confronto tra i dati della grande distribuzione (o GDO) per quest’ultimo mese e lo stesso periodo 2019, mostra una tendenza in continua crescita, più accentuata all’inizio (per un timore irrazionale e ingiustificato di restare senza cibo) e più lenta ora, ma l’ultima settimana di marzo segna ancora un +2,7% a parità di negozi, con picchi nel Nordest (+7%) e al Sud (+6,3%). La filiera sta bene, molto bene.
È cambiata la fruizione della spesa, come evidente dall’analisi dei ricavi per tipologia di punto vendita: crollano (-50%) ipermercati, spesso off-limits perché fuori dal proprio comune, e C+C, che risentono della chiusura delle attività. Compensano i negozi liberi, con un +42%, e i supermercati medio-piccoli (+15%), oltre ovviamente all’e-commerce che continua il suo ritmo esponenziale (+162% rispetto allo stesso periodo 2019, +20 punti rispetto alla settimana precedente). Si consolidano le nuove abitudini di consumo legate alla contingenza, per la quale Nielsen individua tre spinte verso certi acquisti, che segnano un aumento in doppia cifra, e che qui tradurremo alla veronese per divertirci un po’.
“Mi ho fato la guera” ci porta ad accumulare prodotti alimentari da dispensa (caffè, pasta, conserve, biscotti; carta igienica); “ghe virus dapartuto” attrae verso le corsie igiene e salute (guanti, detergenti e sapone, alcol, candeggina); e infine, “sa impastemo ancò” fa sparire dagli scaffali tonnellate di farina, uova, zucchero e la vera ragione di vita di tutti noi: alcolici e comfort food.
Va tutto benissimo, insomma; consumi alle stelle, ricchezza per tutti. O quasi, visto che in Veneto, e non solo, cresce la richiesta ma calano i ricavi per le aziende e cooperative agricole. Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, ritiene serva un nuovo modello economico basato sulla valorizzazione del nostro patrimonio agroalimentare e lancia un’iniziativa congiunta con Filiera Italia e la GDO tutta, una sorta di triplice alleanza in favore del made in Italy e contro tutte le forme di speculazione.
«L’idea – spiega Prandini – è avere agricoltori, industrie alimentari e distribuzione tutti dalla stessa parte e coinvolgere anche i consumatori. Se nell’emergenza la nostra filiera è riuscita a garantire i beni necessari a tutti, ora chiediamo alle famiglie di “contraccambiare”, comprando prodotti italiani.» Prandini promette di vigilare attivamente perché sia premiato chi adotta pratiche commerciali corrette e trasparenti, denunciando chiunque approfitti di situazioni di carenza o di surplus di prodotto per alterare il prezzo.
È un tema importante, quello della speculazione sui prezzi, e Federconsumatori non smette di denunciare un “atteggiamento spregiudicato e di rialzi ingiustificati”, chiedendo una maggiore “vigilanza al Mise, alle Forze dell’Ordine e all’Antitrust”. Alle insufficienze del controllo statale, che ha forse altre priorità, si sostituisce proprio la distribuzione commerciale. Se infatti è palese che, in tempi grassi, non sia più necessaria una guerra al ribasso a suon di volantini e superofferte, tutte le principali catene propongono iniziative a tutela delle fasce più deboli della popolazione. Ci sono ad esempio servizi di spesa telefonica per i clienti over 60 o agevolazioni dedicate alla cassa e un accesso prioritario agli anziani in certi orari. Altre novità sono arrivate dai piccoli negozi di quartiere, per anni snobbati da molti e che ora si “vendicano” facendoci innamorare di loro, della qualità e della competenza, con servizi come l’ordine telefonico o la consegna a domicilio gratuita.
La percezione di prezzi maggiorati non è tutta illusione ottica, anche al netto dell’assenza delle grandi offerte sparite, di cui si è detto sopra. Un elemento importante da considerare è la difficoltà di approvvigionamento, di reperire certi prodotti, che si riflette su maggiori costi di acquisto e logistici. Da un lato, molti fornitori, perfino le multinazionali, si sono trovati impreparati alla crescita improvvisa della domanda; dall’altro, i principali poli logistici e depositi di smistamento merci si trovano proprio nella zona dichiarata “rossa” fin dal primo minuto. Ecco quindi che l’industria sostiene maggiori costi e sospende le promozioni verso la GDO, che a sua volta si trova in un periodo con zero competizione in cui non sono necessarie politiche di “sotto costo”. Una serie di fattori che in effetti un rincaro lo producono sul consumatore finale, anche se parlare di speculazione appare tutto sommato fuori luogo.
Un’ultima considerazione riteniamo necessaria, uno sguardo intimista che vogliamo provocare nei lettori, in un mondo sempre votato a trovare le colpe all’esterno e a guardarsi poco dentro. Proviamo a confrontare il carrello da 100 o 200 euro con cui usciamo dal supermercato alla somma delle tante spese frammentate di prima; aggiungiamo poi quanto stiamo “risparmiando” in pranzi e cene fuori casa, che fossero per esigenze di lavoro/scuola o anche solo per amor di socialità. Facciamo il conto degli spritz di un tranquillo weekend al bar e osserviamo quanto ci dura in casa una bottiglia di bitter (pur bevendone altrettanti, eh, che non si perdano le buone, sane abitudini). Proviamo infine a controllare lo scontrino del supermercato, quel mezzo metro di carta, non tanto alla ricerca del “ladrone che tarocca i prezzi” ma di quegli articoli che i tre fattori citati a inizio articolo ci obbligano a comprare compulsivamente, quelli che “ma sì, può sempre servire”.
Facciamoci un esamino di coscienza, ma teniamo gli occhi ben aperti e non vergogniamoci di chiedere conto al negoziante di sbalzi strani nei prezzi. Sono tenuti a rispondere delle loro decisioni e lo faranno volentieri, specie se la richiesta è pacata e motivata. La nostra spesa è cambiata, proviamo a cambiare anche noi.
Ora che tutti si appellano all’aiuto divino e si prodigano in pubblica preghiera, vi prego, in nome di sant’Antonio Abate, protettore dei pizzaioli e panettieri, USCITE quella montagna di lievito che avete accumulato nella credenza e condividetene con chi non è riuscito a trovarlo. Che sia una Pasqua di serenità e pane fresco per tutti.