Germania, il coronavirus e la percezione del pericolo
Il coronavirus ha raggiunto anche la Germania, con alcune settimane di ritardo rispetto all’Italia. Come ha reagito il paese di Angela Merkel? Ce lo racconta il veronese Davide Toffali.
Il coronavirus ha raggiunto anche la Germania, con alcune settimane di ritardo rispetto all’Italia. Come ha reagito il paese di Angela Merkel? Ce lo racconta il veronese Davide Toffali.
Gli italiani in Germania – come in realtà la maggior parte dei connazionali che vivono all’estero – stanno affrontando soltanto da pochi giorni l’emergenza nel loro Paese d’adozione. Un’emergenza a cui loro, però, si stavano già preparando da tempo, visto che amici e familiari stavano raccontando già da diverse settimane la crescente crisi nel Belpaese.
«Da italiano trapiantato a Berlino è difficile far capire agli abitanti di questa città cosa sta succedendo nel mio Paese, ma devo dire che per certi aspetti è difficile anche far comprendere agli italiani ciò che sta succedendo qui in Germania» ci racconta il quarantenne veronese Davide Toffali, dalla capitale tedesca. Davide è ormai berlinese a tutti gli effetti – essendosi lì trasferito da circa cinque anni in quella metropoli e avendo lì trovato la propria dimensione lavorativa (si occupa di gestione di immobili e intermediazione immobiliare), ambientale e sentimentale – ma incidentalmente il weekend dell’8 marzo era a Verona per una visita ai parenti e alcuni impegni personali e in quella particolare occasione si è reso conto sulla propria pelle di come in Italia la situazione stesse cambiando rapidamente, soprattutto a livello di percezione del pericolo da parte della popolazione.
«Qua a Berlino stiamo vivendo, ora, quello che si è vissuto in Italia alcune settimane fa» ci racconta Toffali. La Sanità tedesca – che, è notizia di oggi, sta ospitando anche alcuni pazienti italiani – è organizzata diversamente da quella italiana. È molto parcellizzata, granulare, e a fronte della presenza di grandi ospedali, il ruolo che in Italia hanno i medici di base qui in realtà lo svolgono i medici di famiglia, che lavorano in ambulatori ben attrezzati e in grado di effettuare quasi sempre il primo soccorso. «Rispetto all’italiano che, quando sta male, come prima cosa generalmente si presenta al Pronto Soccorso, il tedesco coinvolge come prima cosa il suo medico di famiglia e questo ha permesso di non saturare subito gli ospedali, che hanno potuto occuparsi con calma dei casi acuti che hanno avuto bisogno di terapia intensiva. All’inizio il numero di malati che necessitavano di questo tipo di assistenza erano pochi, ma negli ultimi giorni la curva si sta alzando in maniera preoccupante e di conseguenza si sta correndo ai ripari.»
Da un punto di vista istituzionale in Germania c’è stato fin dall’inizio un solo tipo di messaggio, costante nel tempo. “Tutto tranquillo, è solo un’influenza di stagione, non c’è problema per la popolazione”. All’improvviso, però, circa dieci giorni fa la comunicazione istituzionale è stata completamente rovesciata e di conseguenza è cambiata anche la percezione da parte della popolazione, che fino a quel momento non aveva cambiato le proprie abitudini. Quando un paio di settimane fa in Italia si prendevano già misure importanti per gestire e limitare il più possibile le infezioni, il governo della Merkel e i singoli governatori dei Land non avevano ancora mosso un dito. Si pensava, d’altronde, di poter gestire i pochi focolai fino a quel momento presenti senza troppi problemi. Ad un certo punto, però, nel Paese teutonico hanno cominciato a muoversi le grandi aziende, dove lavorano tanti italiani che ogni weekend si spostano e spesso tornano in Italia per andare trovare i genitori. Quelle aziende hanno cominciato a isolare chi proveniva dalla cosiddetta “zona rossa”, cioè dall’Italia, i quali venivano invitati a non presentarsi in ufficio per almeno un paio di settimane dal loro rientro in Germania. Non volevano che un eventuale infettato andasse a impattare sull’intera produzione, visto che in quel caso sarebbe stata automaticamente bloccata. «Sono state le aziende private le prime a muoversi per tutelarsi nei confronti dell’epidemia – ci spiega ancora Toffali – e questo pian piano ha influenzato un po’ tutto nel tessuto produttivo della città di Berlino e del resto della Germania, smuovendo anche poi il governo dei Land e di conseguenza quello centrale. Si è così deciso di chiudere le scuole a partire da martedì 17, nonostante nei giorni immediatamente precedenti il numero dei contagiati fosse relativamente ancora molto basso (circa tremila in tutta Germania e un centinaio a Berlino, nda). Pochi giorni dopo quel provvedimento, però, i numeri parlano già di oltre diecimila casi in tutta la nazione e diverse centinaia nella sola capitale.
Il sentiment generale, soprattutto dopo il discorso che la Cancelliera Merkel ha tenuto alla Nazione mercoledì scorso e che per ora non ha ancora deciso per un lockdown totale – è decisamente “virato” dalle esigenze economiche, fino a quel momento preponderanti, ad una maggior attenzione per la salute. «La Merkel, nel suo discorso, si è appellata al senso di responsabilità dei singoli cittadini. E io posso dire con certezza che il tedesco medio si atterrà alle regole. Chi sgarrerà saranno, più che altro, i new berliner. Di circa quattro milioni che abitano la capitale, un milione sono giovani che vengono qui a fare vita da club, lavorano nei bar o semplicemente a studiare. Loro, penso, non seguiranno più di tanto le indicazioni, anche perché rappresentano una grande comunità internazionale, che vive in una sorta di bolla in cui si tende a prestare poca attenzione a ciò che accade intorno e a informarsi poco. Sarà un grosso problema, credo, riuscire a controllare questa fascia di popolazione.»
Il governo e i vari land hanno stanziato una cifra monstre di 650 miliardi per sostenere le attività produttive del Paese, garantendo per il momento a tutti di veder coperto dall’intervento statale almeno il 67% dello stipendio, oltre ai vari contributi previdenziali, con addirittura 15mila euro disponibili per ciascuna partita iva mono-personale. Questi fondi sono a disposizione per aziende e lavoratori fin da ora e possono essere già richiesti, anche per il solo fatto di aver dovuto chiudere la produzione. Questo è stato il passaggio fondamentale per i tedeschi, che da quel momento hanno smesso di preoccuparsi del portafoglio e hanno cominciato a pensare, finalmente, alla salute personale e a quella dei propri cari. «Fino a poco tempo fa il popolo tedesco, dall’uomo della strada alle istituzioni, ha continuato a comportarsi in maniera molto cinica, quasi rivoltante – commenta il quarantenne veronese.- Anche il tedesco di medio-alto livello, non il crucco-crauti-calzetto bianco sui sandali per intenderci, pur mostrando ogni tanto empatia per i sentimenti di angoscia che si vivevano in Italia, era capace di shockarti con frasi che davano più importanza al portafoglio e all’economia del Paese che, a dire loro, “alla vita di qualche anziano”. Il che, forse, spiega molto bene anche le differenze di DNA che esistono fra i tedeschi e gli italiani. Ora, però, la gente ha tirato fuori l’emotività e quindi preoccupazione per sé e per gli altri. In questo senso è stata fondamentale l’informazione che è stata data dai principali media tedeschi che hanno raccontato come gli italiani hanno cominciato a reagire, con i vari flash mob, i tricolori appesi, i cartelloni disegnati dai bambini, i canti, la musica, gli inni nazionali. Questo ha impressionato molto il popolo tedesco che ha cominciato finalmente a provare maggiore empatia per quello italiano. Prima l’idea di fondo era che l’Italia, come al solito, si fosse trovata disorganizzata di fronte a quest’emergenza, mentre ora, anche grazie a questo genere di messaggi costruttivi e positivi, legati anche alle notizie di solidarietà, si è capito che forse non si trattava solo di gestione disastrosa del problema da parte della nostra nazione, come solitamente il tedesco è portato a pensare, ma che effettivamente il problema in sé fosse davvero eccezionale.»
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