Nella storia repubblicana del nostro paese, i momenti di crisi hanno sovente portato popolarità e visibilità a Capi di Stato e di Governo, Sindaci e Governatori, più di qualsiasi altro florido periodo di benessere e a prescindere dalla bontà delle scelte attuate. Tra comunicazioni urgenti alla cittadinanza e gestione degli oneri connessi alla crisi, i nostri rappresentanti politici, pur prendendo decisioni spesso impopolari, si ergono a essere di volta in volta buoni padri di famiglia, salvatori della Patria, protettori, divinità, a seconda del misticismo che regola i rapporti tra istituzioni e cittadini in un dato momento storico. Emblemi italiani a supporto di tali valutazioni, si possono citare Sandro Pertini, che nel ruolo di Presidente della Repubblica fu inconfondibile voce e volto del terremoto dell’Irpinia del 1980 o Guido Bertolaso, una delle persone più venerate sul territorio nazionale. Dopo anni come Direttore del Dipartimento della Protezione Civile e poi finito nell’ombra a causa di alcuni procedimenti giudiziari a suo carico, è tornato alla ribalta in questi giorni come consulente personale del Governatore lombardo Attilio Fontana. E ora? Chi sta acquisendo notorietà a causa degli infausti accadimenti di queste settimane?

Sandro Pertini nei territori colpiti dal terremoto del 1980, esperienza che lo portò a denunciare con vigore le mancanze dello Stato

Risulta difficile rispondere a tale interrogativo dal quale conseguono valutazioni estremamente soggettive. Forse, dall’osservatorio veneto, più che guardare al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, viene spontaneo riferirsi a Luca Zaia, giunto ai mesi finali del suo mandato di Governatore della Regione. Zaia è figura controversa quanto popolare tra i suoi concittadini e di grande longevità politica, in un panorama nazionale che tende viceversa a bruciare in pochi attimi larga parte della classe dirigente. Oggi è esposto mediaticamente, forse come non mai e sicuramente proprio negli ultimi giorni si sta accaparrando numerosi consensi. Perché è così esposto, diversamente ad esempio dal neoeletto governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, peraltro costretto a dover gestire un numero ben superiore di casi di Coronavirus? Quali mosse amministrative e politiche sta portando avanti, tali da accreditarlo anche presso la popolazione non residente in Veneto? Facciamo un po’ di ordine e cerchiamo di comprendere meglio.

Ad inizio anno il Coronavirus esplode in Cina, mettendo in ginocchio la popolazione locale, costretta alla chiusura totale per tentare di arginare la propagazione dell’epidemia. La risposta politica italiana, ed europea, è superficiale. La tendenza collettiva è di derubricare il fenomeno a problema locale, ad un’epidemia a chiara responsabilità cinese, tra cattive abitudini leggendarie (mangiare topi vivi, non lavarsi) e un’ipotetica mala sanità che non riesce a gestire una normale influenza. Tale approccio perdura a lungo. Nonostante il dibattito politico si animi occasionalmente tra chi richiede la chiusura delle frontiere e chi guarda avanti senza curarsi molto del problema, dalla politica trapela il messaggio che in fondo non ci sia da preoccuparsi. Tanto, si dice, colpisce solo gli anziani con patologie pregresse. Perdura talmente a lungo l’approccio superficiale (si legga, in questo senso, l’articolo uscito ieri su questa testata a firma di Serena Dei), a volte scanzonato, che fino a fine febbraio nessuna delle principali istituzioni italiane prende troppo sul serio il Coronavirus, nemmeno allo scatenarsi dei focolai di Codogno e di Vo’. In Veneto, quando i contagi in Italia registrano già 374 casi, data 26 febbraio, ci si affretta invece a confermare l’edizione 2020 del Vinitaly. L’Italia non si ferma, è il messaggio che da ogni fronte politico si vuole mandare alla popolazione. Il nostro vivere, il nostro sistema, corre, facciamolo andare ancora più forte; non rallentare è la parola d’ordine.

Una delle immagini iconiche del motto l’Italia va avanti: Il Segretario del Pd Zingaretti brinda incurante del rischio contagio

A tal proposito, prima di seguire il succedersi degli eventi, si impone subito un’importante riflessione. La nostra società in questa circostanza ha generato opinioni politiche, movimenti, partiti, classe dirigente, tutti omogenei. Italia o Veneto, senza alcuna differenza. Nessuno che, per coscienza o anche solo per meno opportunismo, abbia in quest’occasione ritenuto di affermare con forza che occorreva viceversa fermarsi, e subito. Nessuno che abbia avuto una voce fuori coro, quasi fosse scomodo, inopportuno e insolente dichiarare che occorreva rallentare. Chi vagamente affermava che cominciava a temere di essere contagiato, veniva subito tacciato di essere un debole, uno con poca voglia di lavorare. Nessuno ha voluto, e forse potuto, manifestare un’opinione diversa. Ci si chiede che società sia, pur organizzata in forma democratica, quella capace solo di far emergere idee conformi, che non valorizzi la diversità di pensiero, anche quando magari scomoda o scorretta. Mai come in questo catastrofica stagione di pandemia, sarebbe stata necessaria, magari a livello sovranazionale, un’opinione difforme, utile a sollecitare tempestivi provvedimenti e ad anticipare il propagarsi del virus, a limitarlo nelle sue manifestazioni più impattanti sul Sistema Sanitario.

Avete presente quei piccoli partitini tipici degli anni Ottanta che strillavano qualche slogan controcorrente giusto per accaparrarsi qualche migliaio di voti? Ecco, nemmeno quelli sono emersi. Invece, senza particolare originalità e desiderio di assumersi responsabilità, tutti i nostri politici hanno reputato di fare i “pecoroni”. Uno prendeva una direzione? Tutti dietro. Così, occorre dirlo, si sono fatti trovare tutti gravemente impreparati. La cronaca di questi giorni lo sta dimostrando sempre più. Ed è quasi offensivo in tal senso dichiarare, come ha asserito pochi giorni fa lo stesso Governatore Zaia, che la comunità scientifica non avesse avvisato a sufficienza dei rischi. Il pericolo era chiaro e palesato, vedasi gli interventi di numerosi virologi che avevano predetto l’epidemia in assenza di misure contenitive, su tutti Roberto Burioni, già il 22 gennaio durante la trasmissione Che tempo che fa. I nostri governanti, maggioranza e opposizione insieme, hanno viceversa preferito badare al PIL, organizzare comizi, partecipare a cene, tenere alto il morale a favore dello sviluppo economico. Avevano la consapevolezza, senza dubbio giustificabile, che anche solo un granello di sabbia inserito nell’ingranaggio del sistema ci avrebbe fatto vacillare economicamente. D’altra parte, nessuno voleva essere additato come profeta di sventure, il Burioni o Cassandra dei giorni nostri. Il cittadino vuole sempre belle notizie, salvo quando finalmente comprende di essere stato preso per il fondoschiena. Insomma, i politici erano convinti di essere nel giusto e perfettamente allineati ad un comportamento utile a non disperdere voti.

Una rappresentazione di un famoso passo dei Promessi Sposi, la madre di Cecilia, straziante affresco letterario della peste a Milano nel Seicento

Da quel periodo di dissoluta incoscienza, terminato a fine febbraio, se ne sono lette e ascoltate tante di dichiarazioni della nostra classe dirigente. A loro scusante va la straordinarietà del momento, la difficoltà di vivere da Governatori e da Ministri un’emergenza senza analoghe esperienze pregresse, la consapevolezza che la chiusura delle aziende, se può salvar vite ora, crea inevitabilmente dei drammi economici poi. Quel che, però, va analizzato è che alla prima fase di uniformità di pensiero e azione (“l’Italia deve andare avanti”), è seguita una grande confusione. Ognuno ha cominciato a dire la sua e si è creata la corsa all’allerta. Il più bravo sembrava essere quello che per primo chiudeva, avvisava, allarmava, impediva. Logico, si dirà, alla luce del ritardo con cui ci si è mossi e dell’emergenza incalzante. Si, tutto corretto, sono stati comportamenti fisiologici.

Zaia, in questa seconda fase, è stato un maestro di comunicazione: spigliato, determinato, pronto a coinvolgere la popolazione nell’emergenza e ad ergersi a comandante in capo per affrontare l’epidemia. Pronto anche ad affermare con decisione tutto e il contrario di tutto. Dal volere riaprire le scuole dopo pochi giorni dalla loro chiusura al voler chiudere tutto senza eccezioni, dal volere una “zona rossa” economica per il Veneto al contestare immediatamente i provvedimenti restrittivi adottati per analogo territorio, quando poi sono (giustamente) arrivati. Comunque sia, Zaia in queste settimane ha mostrato il suo volto e guadagnato visibilità e consenso. Dopo gli inciampi sui topi vivi e alcune palesi contraddizioni, ha preso in mano il timone della Regione e attualmente si sta decisamente ergendo come figura di riferimento del “suo” popolo, con pure mal celate aspirazioni di leadership nazionale. Sempre in tv, sempre pronto a dichiarare, a manifestare un’azione o a prometterne un’altra. Mascherine, tracciamenti delle celle telefoniche, tamponi, dati: non è facile seguire e intercettare il vero pensiero di Zaia.

Cominciano i giorni dell’allerta e del #rimaniacasa, Venezia e le altre città si svuotano.

La sintesi forse più veritiera della sua idea di gestione della crisi è probabilmente la seguente: il Veneto affronterà il Coronavirus a testa alta, con rigore, mettendo sul campo tutte la propria organizzazione medica e sanitaria, senza lesinare risorse, vedasi ad esempio l’annuncio in pompa magna “Andremo coi camper a fare il tampone a tutti”. Insieme alle altre Regioni, in accordo con il Governo o anche da solo. Chiarezza e risolutezza nelle parole che i cittadini si augurano sfoci in azioni di medesima direzione. Alla gente piace che ci sia al potere una persona che si manifesti sicura del proprio credo, interventista, decisionista, presente, forse anche troppo, se trattasi di presenza televisiva. Piace specie ora, se promette alla popolazione veneta, a torto o a ragione, di effettuare uno screening di massa. A chi non piacerebbe effettuare il tampone verificando la propria eventuale negatività? Chi non vorrebbe che i positivi venissero isolati in modo da permettere agli altri di tornare alla vita precedente? Non è facile discutere per chi non è medico dell’opportunità di effettuare tamponi a tutti i cittadini o di avviare strategie diverse. Quel che, però, si sta verificando è che il Veneto, attraverso l’opera e la comunicazione del suo Governatore Zaia, è sotto osservazione, forse più della Lombardia, che al momento purtroppo può solo provare vagamente a gestire un’emergenza senza fine. Pensiamoci: e se il laboratorio Veneto riuscisse ad arginare il virus meglio di altri, avvalendosi di un ragionevole anticipo sulla Lombardia nella diffusione dei contagi, di risorse consone all’emergenza e di un Sistema Sanitario all’avanguardia, agendo in autonomia e senza la condivisione operativa delle altre Regioni? Sarebbe un successo per i cittadini veneti, da emulare prontamente, ma soprattutto sarebbe una grande vittoria di Zaia. La sfida, non solo al Coronavirus, ma anche alla leadership della Lega e dell’Italia si sta già giocando, a vantaggio – o sulla pelle – dei cittadini.