Dopo la prima “puntata” dedicata al mondo della musica, oggi ci occupiamo – nel nostro viaggio all’interno del mondo culturale veronese, fra i più colpiti dall’emergenza sanitaria – di teatro. Anche chi fa teatro, infatti, è rimasto fin dalle prime “battute” costretto a fermarsi. I primissimi decreti del Governo per arginare il problema, infatti, hanno fermato immediatamente la musica live, il cinema (di cui parleremo alla prossima puntata) e i teatri, in un momento dell’anno, fra l’altro, in cui spesso si raccolgono gli incassi più importanti, quelli che di fatto permettono di portare avanti l’attività di tutta la stagione. I conti, naturalmente, si dovranno fare alla fine, ma già si parla – per tutto il comparto – di una perdita che si attesta attorno ad alcune decine di miliardi. Un colpo quasi da ko per chi nella nostra città (ma ovviamente il discorso è assolutamente estendibile a tutti gli operatori del settore in tutta Italia) fa di questa forma d’arte la propria occupazione e quindi la principale fonte di sostentamento.
«Dal punto di vista degli spettacoli della stagione purtroppo abbiamo dovuto sospendere tutto fin dal primo decreto», ci racconta, infatti, Sara Meneghetti, Direttrice artistica di Fucina Machiavelli, «Il che non rappresenta un grosso danno economico, se non per il fatto che attualmente non stiamo avendo flusso di cassa, che in generale ci permette di pagare gli artisti. A gennaio abbiamo realizzato la nostra produzione musicale più grossa della stagione, con un investimento di diverse decine di migliaia di euro avendo rinnovato l’orchestra ora composta da una quarantina di musicisti. Volevamo partire alla grande con uno spettacolo sinfonico e la collaborazione con un famoso direttore coreano Min Chung e così è stato. I cachet degli spettacoli teatrali, per fortuna, sono più facili da coprire. In generale abbiamo dovuto annullare almeno una decina di eventi, che per il momento abbiamo spostato a maggio, in attesa di capire cosa succederà. Il vero danno e, consentitemi di dirlo, la vera disperazione è, però, per gli artisti. Sono tutti professionisti che vivono di questa attività e nessuno di loro sta lavorando. È come se tutta un’intera categoria di persone fosse stata licenziata in tronco, all’improvviso. Con, in cambio, bollette e spese da sostenere, come tutti del resto. Certo, qualcuno, fra i più giovani, vive ancora a casa con i genitori, ma la maggior parte, purtroppo, se la sta passando davvero male.»
Cosa fare dunque? Una domanda che è inevitabile fare in una situazione in cui è bene sfruttare questa pausa forzata almeno per provare a impostare il lavoro in maniera alternativa. Per questa situazione – che potrebbe, ahinoi, durare ancora a lungo – e per eventuali analoghe situazioni che si dovessero riproporre in futuro: «Stiamo ragionando su delle possibilità per lavorare e far lavorare le persone a “porte chiuse”, creando una relazione di altro tipo con gli spettatori – prosegue Meneghetti – A Verona, d’altronde, c’è fame di cultura e a lungo andare, soprattutto se questa cosa durerà alcuni mesi, le persone sentiranno questo bisogno sempre di più. I Berliner Philarmoniker, ad esempio, hanno un fantastico canale in streaming, con gli appassionati di musica sinfonica che pagano un abbonamento per guardarli e ascoltarli. Chi, fra i nostri colleghi, lavora con lo streaming, però, fa dei puri regali agli spettatori, con grande passione, perché per il momento non si tratta di spettacoli sostenibili. Il problema vero è che le compagnie di attori comunque non lavorano tutto l’anno. C’è, infatti, chi lavora solo in alcuni mesi e se si hanno ad esempio le repliche di uno spettacolo concentrate soprattutto a febbraio e marzo questo equivarrebbe ad aver perso tutto l’anno. Un danno enorme, insomma.»
A proposito di streaming, quello è proprio il caso di Casa Shakespeare che ha deciso di utilizzare le tecnologie che oggi abbiamo a disposizione per proporre al proprio pubblico le proprie produzioni teatrali. «La chiusura è stata un importante cambiamento perché il teatro vive di presenze» ci spiega il Presidente e direttore artistico Solimano Pontarollo. «Nel nostro, come per altri, si tratta di luogo utilizzato per le nostre produzioni e per quelle degli ospiti. Anche tutta l’attività in lingua inglese nelle scuole e che coinvolge centinaia di studenti, è stata ovviamente subito interrotta». Pontarollo – esattamente come tutti i suoi colleghi – all’inizio ha dovuto spostare in avanti le date previste a fine febbraio, poi le ha dovute annullare e ora vive in una sorta di stato di “congelamento”, non sapendo se e quando avrà la possibilità di organizzare nuovamente qualcosa. Con l’incognita, già espressa nell’articolo dedicato ai concerti-live, che ammesso pure che il 4 aprile si possa davvero ricominciare a organizzare qualcosa il pubblico risponda prontamente. Solo Casa Shakespeare, per dire, ha visto saltare in questo periodo una trentina di eventi, sperando che l’attività possa poi riprendere ai primi di aprile e questo numero non debba aumentare. «Essendo centro di produzione ed essendo noi in primis agenti, attori, con il compito principale di proporre delle soluzioni, abbiamo deciso di mescolare idee e tecnologie a disposizione per dire al nostro pubblico “ok, voi non potete venire a teatro, allora veniamo noi da voi” . Quindi è nata l’idea del teatro in streaming, poi utilizzata anche da altri. Ma noi siamo stati i primi a proporlo in questa fase.» Venerdì 28 febbraio la compagnia ha messo in scena, con una diretta su Facebook, la sua prima opera, Peste! Processo agli untori. Quell’evento ha avuto quasi 8.400 visualizzazioni, con 4.400 interazioni, 60 condivisioni e un’eco in tutto il Triveneto e in parte della Lombardia davvero notevole. Tanto che Boxer Teatro di Padova, solo per fare un esempio, ha subito chiamato per chiedere, citando l’idea, di poter realizzare un’analoga iniziativa. «L’elemento vincente è che si è trattato di un’esperienza corale, con una modalità molto soft e immediata. Abbiamo voluto essere una comunità di relazione ed evitare, in questo modo, di isolarci ulteriormente. Il teatro è sentire comune, è cuori sincronizzati, è emozione. È tutto questo e molto altro e il nostro è stato un tentativo per non interrompere questo flusso di energie. Ora stiamo già pensando a come possiamo lavorare su una proposta di visione in streaming in futuro. Con il secondo step, venerdì 6 marzo quando in programma c’era Fake Otello, abbiamo deciso di aumentare la qualità della nostra proposta e abbiamo ingaggiato una troupe professionale, con due operatori e una regia live, per supportarci durante la diretta» prosegue Pontarollo.
Tutto quello che nella vita (di cui il teatro ne è fiera rappresentazione) può essere considerato un ostacolo o un limite in realtà alla lunga può diventare un’opportunità per raccontare le cose in maniera diversa. Lo stesso Pontarollo ci ricorda di quando, in occasione di un paio di repliche del Cyrano dovette recitare con una stampella a causa di un infortunio al legamento crociato e utilizzò quello strumento come una sorta di “spada”, rendendola funzionale alla rappresentazione. «Tutto si po’ trasformare nel teatro e se la realtà ci dice che dobbiamo tenerlo chiuso possiamo scegliere di pensare a qualcosa di alternativo. Per questo stanno nascendo ragionamenti futuri. Con Fake Amleto che avrebbe dovuto debuttare venerdì 20 marzo, faremo un ulteriore updgrade, per continuare a sperimentare in questo momento davvero particolare.»
Verona negli anni Sessanta era considerata, a livello culturale, la Liverpool d’Italia. E già da qualche tempo stiamo assistendo a una sorta di “risveglio” della città, con una vera e propria “primavera teatrale” a trainare tutto il movimento grazie alle molteplici iniziative private che sono nate negli ultimi anni. Pensiamo al Satiro, alla Fonderia Aperta, alla Fucina Culturale Machiavelli, allo Spazio Modus e alle piccole compagnie di professionisti che invece di lavorare per le grandi realtà produttive decidono di tornare a Verona e creare interessanti attività teatrali, come Bam Bam! Teatro e tanti altri. Una sorta di presa di coscienza collettiva, insomma, di una città in cui le risorse culturali per renderla viva ci sono, ci sono sempre state e stanno pian piano emergendo. La speranza è che l’attuale crisi non ponga un freno a questa rinascita teatrale (e non solo) della città scaligera.
«Economicamente il danno c’è, ma va scisso fra lo Spazio Modus e l’attività della compagnia teatrale che agiva nei vari teatri e girava con le sue tourneé», commenta Andrea Castelletti, dominus di Teatro Impiria. «Nel nostro caso non è così rilevante, perché visto che già viviamo di economie magrissime, annullare uno spettacolo per noi non vuol dire perdere un grosso guadagno. Quello che dispiace maggiormente è davvero il non poterlo mettere in scena. Avevamo in questo periodo proposte molto belle e ancora non sappiamo se e quando le potremo recuperare. Purtroppo così viene minata la progettualità arstistica: se fossero saltate solo un paio di settimane avremmo potuto riuscirci, ma adesso, con un altro mese di rinvii, diventa davvero complicato riprogrammare tutto.»
Una situazione, ribadiamo, che prendiamo come esempio e che vale per la totalità delle compagnie e dei gestori di spazi teatrali. I quali si stanno ingegnando su come non perdere le date programmate, gli spettacoli preparati e l’attività in cantiere. Un’impresa a tutti gli effetti. Castelletti, però, preferisce non utilizzare la tecnologia dello streaming. «Ho sempre pensato che il teatro in video non funziona, proprio perché il linguaggio del video non è quello del teatro e viceversa. Anzi, sostengo proprio che per certi aspetti il video rappresenti la morte del teatro. Questo vale con il teatro in onda su Rai 5 e vale con una diretta streaming perché, parliamoci chiaro, in video il teatro annoia. È solo un documento, non uno spettacolo. Quando io guardo un grande spettacolo teatrale in video – perché l’hanno fatto al Metropolitan di New York o perché interessato a una grande regia del passato – sto guardando un documento dello spettacolo, non LO spettacolo. Se si vogliono utilizzare le potenzialità del video per veicolare dei messaggi ci si dovrebbe inventare qualcosa di diverso, secondo me, ma non riprendere il proprio spettacolo. Sia chiaro: ben venga di vedere in streaming certi eventi, ma il teatro prevede per sua natura una sorta di relazione fra performance e pubblico, è un luogo di persone vive, che respirano fra platea e palcoscenico.»
L’idea di Castelletti, invece, è fondamentalmente un’altra. E si rifà alla storia di questa città che, tradizionalmente, ha un movimento di teatro amatoriale che non ha eguali in altrove, dove al contrario in estate si continua la programmazione teatrale al chiuso. Un esempio che – visto l’inevitabile slittamento in avanti di tutta la stagione – potrebbe essere preso in considerazione: «A Verona il teatro al chiuso non viene nemmeno concepito, perché qui a differenza di altre città c’è una fioritura di proposte estive nelle varie piazze, corti e ville. Già andando a Brescia o a Vicenza le compagnie non sono abituate al teatro all’aperto. Se andiamo a Napoli c’è a giugno e luglio il Napoli Teatro Festival con alcuni eventi all’aperto, ma i principali ovviamente al chiuso. Nel tempo, da noi, si è invece stratificata questa tradizione, forse anche per la presenza dell’Arena e del Teatro Romano, e i veronesi sono grandi fruitori del teatro all’aperto. Noi stessi di Teatro Impiria organizzavamo, soprattutto nei primi anni duemila, una cinquantina di eventi in estate. Non molti se lo ricorderanno, ma l’utilizzo dell’Arsenale come cortile per il teatro l’abbiamo inventato noi. Però il teatro all’aperto ha i suoi aspetti negativi: non hai mai l’impianto che vorresti, il buio perfetto, il silenzio, gli ingressi per gli attori, etc. Ecco, allora mi chiedo se questa situazione sanitaria non possa rappresentare uno spunto per tornare a fare teatro al chiuso, come si fanno nelle grandi città, anche da noi.»
Un’ipotesi, quella proposta da Castelletti, che si potrebbe anche valutare, perché no, e che rilanciamo da queste colonne. Tutto sta cambiando velocemente in queste ultime settimane e il mondo dello spettacolo ne sta pagando amaramente le conseguenze. Però le soluzioni per non perdere del tutto la stagione possono arrivare proprio da quello stesso mondo che – in termini di creatività – non ha sicuramente nulla da invidiare ad altri settori.