Ma siamo davvero sicuri che Salvini abbia perso?
Il dato evidente è che in Emilia Romagna il leader leghista sia stato battuto. Ma se poi andiamo ad analizzare i singoli dati emerge anche un'altra verità. Da analizzare.
Il dato evidente è che in Emilia Romagna il leader leghista sia stato battuto. Ma se poi andiamo ad analizzare i singoli dati emerge anche un'altra verità. Da analizzare.
Il confermato Presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini ringrazia il movimento delle Sardine, critica l’arroganza, tronfio della vittoria spande sorrisi e rilancia il PD verso un roseo sol dell’Avvenire. Forse. Perché di fatto tolto Bonaccini, che ha di che gloriarsi, il panorama per l’area governativa e di centro-sinistra ha ancora ben poco di cui rallegrarsi. Per una serie di motivi.
Il movimento Sardine. Poco importa che le uscite del portavoce del movimento denotino più una imprecisata voglia di cambiamento che reali contenuti (oltre che una fievole capacità dialettica e argomentativa): il punto è che una parte notevole della forza propulsiva della campagna della sinistra in Emilia-Romagna viene da un movimento al di fuori dei partiti, di fatto una meteora imprevista e non ancora strutturata e allineata. Contare su quei voti per un rilancio del progetto riformista in Italia sarebbe quanto meno incauto, vista l’esperienza dei girotondi e di altri movimenti affini, inglobati nella struttura e implosi per il logoramento della disillusione.
La questione Emilia-Romagna e i candidati. Una regione ben amministrata (così recita il mantra dell’informazione) difficilmente compie un salto nel vuoto per una protesta ideale che inciderebbe sulle proprie tasche: non è un caso che, chi governa decentemente, parte sempre avvantaggiato. Questo hanno percepito i cittadini premiando il presidente con il 51%, più della coalizione (48%) che lo sosteneva. Qui Bonaccini di vantaggi, in realtà, ne aveva due: una regione storicamente orientata politicamente e un avversario – Lucia Borgonzoni – che finora si era fatta notare solo per le magliette su Bibbiano. I confronti all’americana non hanno giocato a favore della sfidante, anzi. Che a un certo punto non sembrava più esserlo.
Ed ecco Salvini. Con un contesto storico così, sarebbe stato facile per il centro-destra lasciar perdere, venendo da 29% alle elezioni del 2014. Ed invece Salvini, stante l’inconsistenza della Borgonzoni, si carica del peso della partita, fa campagna elettorale al posto del candidato, si agita, gira, stringe mani, citofona, porta sul palco le mamme di Bibbiano. Si gioca la partita fino in fondo. Se avesse vinto, avrebbe davvero ribaltato il tavolo, senza dubbio. Ma il fatto è che non ha perso. La coalizione con lui recupera 14% punti rispetto alla tornata elettorale precedente, mette in competizione un candidato altrimenti debolissimo, commette errori (come lo scivolone della citofonata al ragazzo tunisino, di cui poi si scuserà) che vengono stigmatizzati da ogni parte ma, si badi, non dal suo zoccolo elettorale, che è di impostazione fideistica. L’unica vera sorpresa sembrerebbe la vittoria del PD a Bibbiano, ma che può essere spiegata con un voto in parte autoassolutorio; la strumentalizzazione leghista è servita più per una campagna a respiro nazionale. Nel complesso, il PD è tornato ai fasti di un tempo (34,6%), certo, ma solo in virtù dell’effetto del metus hostilis, della chiamata alle armi contro il barbaro invasore; la Lega, intanto, viaggia oltre la sua media nazionale (31,9%; nel 2010 era al 13%!) e anche la Meloni fa un buon risultato (8,6%). È evidente che, non appena finita l’emergenza, il centrosinistra si ritroverà dilaniato dalle consuete beghe interne. E il monolite Salvini è sempre lì.
Per ogni vincitore c’è uno sconfitto. In questo caso è il Ms5 che non deve dolersi tanto della mancata vittoria di Simone Benini (3,4%: non entra nemmeno in consiglio regionale), figlia di scelte politiche demenziali, ma della certezza di un fatto: l’ex movimento, che è fusione a freddo di insoddisfatti di ogni bandiera, non ha fidelizzato i suoi elettori che nei momenti importanti tornano al primo amore e, senza una leadership forte e carismatica, rischia la fine del Fronte dell’Uomo Qualunque (FUQ) di Giannini. E i segnali ci sono tutti.
Salvini, quindi, può tornare a logorare il governo sapendo che il suo peso politico è ai massimi storici e se la può tranquillamente giocare ovunque e con chiunque, che il Ms5 è alle corde, che il PD per vincere ha bisogno di forze esterne e di chiamate alle armi e che, infine, Giorgiasonounadonnasonocristiana è in crescita ma ancora sotto controllo. Mica male.