Caso “Almirante-Segre” e il cervello in pace
Il caso "Segre-Almirante", emerso a Verona in questi giorni, mette in luce un'evidente contraddizione in chi governa la città.
Il caso "Segre-Almirante", emerso a Verona in questi giorni, mette in luce un'evidente contraddizione in chi governa la città.
Lo scorso 16 gennaio il Consiglio Comunale di Verona ha votato all’unanimità – su mozione del consigliere di minoranza Michele Bertucco, presentata l’11 novembre 2019 – la cittadinanza onoraria alla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz. Lo stesso giorno, sull’albo pretorio del Comune, compariva la delibera della Giunta che, con una decisione assunta l’8 gennaio (con un iter che è partito da una mozione del 14 marzo 2019, poi andata in Commissione Toponomastica il 5 novembre dello stesso anno), decideva di intitolare una strada cittadina al fondatore del Movimento Sociale Italiano Giorgio Almirante. E la Segre, interpellata sulla vicenda, ha a quel punto rifiutato la cittadinanza per incompatibilità fra i due provvedimenti. Assegnare la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, all’unanimità, dopo aver deliberato di intitolare una via a Giorgio Almirante, in effetti, appare a dir poco contraddittorio. Sembra a tutti gli effetti una sorta di “provvedimento riparatorio”, come lo è stato in tanti casi il matrimonio, dopo che la coppietta di turno l’aveva combinata “grossa”. E forse “grossa” l’aveva proprio fatta il Comune volendo a tutti i costi intitolare ad Almirante una via della città, nonostante le perplessità e le contestazioni emerse nei mesi scorsi (anche per il contemporaneo rifiuto di intitolare una via anche a Giorgio Gaber), quando la notizia era cominciata a circolare.
Lo scorso 5 novembre, quando la Commissione Toponomastica aveva dato via libera alla strada Almirante si erano levate, infatti, molte proteste di associazioni cittadine e consiglieri d’opposizione. La comunità ebraica, con una nota del presidente dell’Associazione Figli della Shoah, Roberto Israel, aveva manifestato pubblicamente la sua disapprovazione. Ma la Giunta Sboarina aveva tirato dritto. E sia chiara una cosa: a nostro parere la Giunta ha tutto il diritto di portare avanti le “istanze” in cui crede e se ritiene che una via Almirante debba esistere a Verona (a onor di cronaca ce ne sono anche in altre città d’Italia, come a Viterbo, Trani, Altamura e Tempio Pausania, anche se manca in tutte le principali città e non sarà forse proprio un caso), così deve fare, infischiandosene di chi critica. Certo, è altrettanto vero che dimenticare ciò che ha fatto Almirante nella sua vita (a cominciare dalla firma dell’odioso “Manifesto della Razza”, che ha di fatto condannato molti italiani di origine ebrea ai lager di concentramento nazisti) appare grave, così come lo appare riabilitare la sua figura in toto intitolandogli addirittura una via. Lo stesso si potrebbe dire anche per molti altri casi, a cominciare da Piazzale Cadorna, all’inizio di Borgo Trento, intitolato al Generale responsabile della disfatta di Caporetto e che ben poco fece, in realtà, per farsi ricordare positivamente, ma tant’è… Il discorso, insomma, si potrebbe fare per Almirante come per molte altre situazioni (anche relative alla “parte” contraria e contrapposta, sia chiaro), ma a colpire, in questo caso, più che in altri, la coincidenza temporale: la quasi contemporaneità fra la via intitolata ad Almirante e la cittadinanza onoraria a Segre che fu vittima proprio di quel provvedimento approvato, firmato e sostenuto da l’ex leader dell’MSI, che fra l’altro fu anche segretario del comitato di redazione della rivista antisemita e razzista “La difesa della razza”.
A quei tempi, nel 1942, Almirante per intenderci scrisse al “Corriere della Sera” una lettera in cui affermava: «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue». La vicenda di Almirante è dunque a dir poco controversa e se da una parte c’è chi come Luciano Violante anni fa lo celebrò per aver «condotto nell’alveo della democrazia quegli italiani che, dopo la caduta del fascismo e la sconfitta della Repubblica Sociale, non si riconoscevano nella Repubblica italiana del 1948», dall’altra sono parecchi gli episodi – soprattutto negli anni Sessanta-Settanta – in cui venne implicato, denunciato, processato per apologia del Fascismo, istigazione all’eversione contro lo Stato, connivenza con il terrorismo nero e molto altro. Insomma, una vita in controluce, dove però le ombre (per usare un eufemismo) rimangono tutt’ora predominanti.
Il “cerchiobottismo”, in questo caso, appare più evidente che in altre occasioni, anche perché il tutto si sta svolgendo – drammaticamente – a pochi giorni dal “Giorno della Memoria”, il 27 gennaio, istituito in tutto il mondo proprio per ricordare il dramma della Shoah. Per fare una battuta si potrebbe chiedere al Comune di “fare pace con il cervello”. I sostenitori della Giunta Sboarina (o di Giorgio Almirante. O di entrambi), a questo punto, obietteranno sicuramente: “Ma non siete mai contenti? Se si fa un provvedimento non va bene, se non si fa non va bene uguale”. E ancora: “Ma se la Segre si batte contro l’odio, perché ne cova così tanto contro Almirante? È incoerente”. Qualcun altro aggiungerà anche: “Ma la libertà d’opinione? I primi intolleranti sono quelli che si stracciano le vesti contro l’intolleranza”. Si diranno queste cose e molto altro. Domande che, per carità, a qualcuno potranno persino apparire legittime e alle quali rispondiamo – senza voler tirare in ballo il celebre Paradosso della Tolleranza del filosofo austro-britannico Karl Popper – che in realtà fra le altre cose dalla guida di una città ci si aspetta, appunto, una guida.
Una guida di valori, di convergenze, di idee, di sentimenti e molto altro. E se da una parte l’orientamento “bonario” del sindaco è stato chiaro fin dall’inizio rispetto a certo tipo di posizioni “più estreme” (argomenti di cui abbiamo trattato più volte su questa testata), dall’altra appare a dir poco incoerente – e quindi ampiamente criticabile – approvare due provvedimenti così contrastanti e nel loro complesso illogici, come quelli fin qui descritti. Perché delle due l’una: o si approva quanto fatto in vita da Almirante e lo si celebra per quello che è stato tout court o si difendono i valori antifascisti portati avanti dalla Segre. Le due cose insieme, perdonateci, non s’incastrano proprio.