Verona e i musei: la lezione di Paestum
Il direttore del Parco Archeologico di Paestum ha spiegato in un incontro pubblico le novità della sua gestione. Volte ad attrarre visitatori, risorse e molto altro.
Il direttore del Parco Archeologico di Paestum ha spiegato in un incontro pubblico le novità della sua gestione. Volte ad attrarre visitatori, risorse e molto altro.
Un folto pubblico era presente ieri all’Auditorium della Gran Guardia per la conferenza “Il Museo che scava”, secondo capitolo di una serie di incontri sul tema. Ospite Gabriel Zuchtriegel, dal 2015 direttore responsabile del Museo Archeologico Nazionale di Paestum, presentato dall’Assessore alla Cultura Fracesca Briani e dal nuovo soprintendente del Veneto Vincenzo Tinè.
Il tema, per Verona, è fondamentale vista la non rosea situazione museale cittadina, che vede da una parte il Museo di Castelvecchio ancora sostanzialmente marginale e Castel San Pietro ancora da terminare, mentre dall’altra le collezioni del Museo di Storia Naturale – ospitato nell’ormai fatiscente Palazzo Pompei – in parte depositate all’Arsenale. Una sfida, quella veronese affidata alla dottoressa Francesca Rossi, che peraltro non può non tener conto della Riforma Franceschini, che punta molto sull’autonomia gestionale e finanziaria delle strutture cittadine e che ha generato, a detta di Tinè nella sua introduzione, anche parecchia confusione nei ruoli e un aggravarsi del peso della burocrazia.
Tuttavia, più che le criticità, Zuchtriegel ha preferito incentrare il suo intervento su come la nuova forma di Parco Archeologico permetta di continuare a fare ricerca e su come, nel caso di Paestum, questo sia imprescindibile per i lavori di scavo. I quali, per esempio, hanno recentemente permesso di scoprire un nuovo tempio, il quarto dell’area. In effetti, è noto, gli scavi condotti da strutture universitarie sono spesso funzionali ad altre attività, mentre grazie alla struttura di museo/parco archeologico, con la sua autonomia, si ha invece una maggiore attenzione al proprio patrimonio e una diversa logica di valorizzazione. Nel caso di Paestum, poi, lo scavo risulta attività per nulla semplice, visto che la prima cosa da fare è ancora quella di eliminare le mine della II guerra mondiale.
Il direttore ha raccontato la storia di Paestum e la particolarità di un luogo che, diventato palude, non è stato assorbito e cancellato dall’evoluzione della cittadina. Una città, quella greca, nata nel VII secolo a.C., costruita da un popolo povero di migranti dall’Ellade, giunto con piccole barche, ma che già dal VI secolo cominciò a costruire quei grandi templi, mentre la popolazione viveva in capanne molto effimere: una società, insomma, tesa a carpire la benevolenza degli dei. L’incontro è, di fatto, consistito in un lungo excursus sulla storia greca, con un cenno interessante alla celebre “Tomba del Tuffatore”, che non sarebbe fra l’altro ascrivibile alla cultura greca o etrusca, ma frutto della tradizione locale.
Molto più interessante, per Verona, la questione della gestione del museo così come impostata da Zuchtriegel, che mette insieme conoscenza e comunicazione per dare un senso alla ricerca. Essenziale, secondo il direttore, è aumentare la platea di visitatori, attualmente per la maggior parte composto da maschi adulti: ecco, quindi, il progetto di inclusione attraverso anche l’abbattimento delle barriere architettoniche e un progetto che coinvolge ragazzi autistici, ma anche la ricerca di nuovi linguaggi per raccontare il senso del museo e un’intensa attività di condivisione social e divulgativa (in collaborazione con il quotidiano “Repubblica”). A tutto ciò, però, si aggiunge anche il coinvolgimento di risorse private con sponsor locali, che sostengono – attraverso borse di studio – l’attività di giovani archeologi che operano nel sito.
C’è, nell’impostazione del direttore del parco archeologico di Paestum, un grande desiderio di presentare la verità fattuale ai visitatori: così, i cantieri di scavo vengono strutturati in modo da garantire la loro accessibilità anche al pubblico, che non solo può vedere come vengono recuperati i reperti, ma anche rendersi conto di cosa sia effettivamente l’attività dell’archeologo, con il quale è pure possibile dialogare per chiedere spiegazioni.
Insomma, una visione, quella di Zuchtriegel, molto dinamica, che gioca molto sul margine di autonomia del suo ente. Assai difficile esportare un simile modello qui a Verona, sia per la qualità del sito sia per il ruolo ingombrante di molti enti. Questa serie di incontri (il prossimo è in programma l’11 febbraio con Cecilie Hollberg, fino ad agosto direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze), dimostra finalmente che la consapevolezza della necessità per Verona di uscire da una logica di turisti piranha per diventare una città d’arte a pieno titolo sta prendendo lentamente consistenza.