Perché i soldi alla scuola forse non servono più
Le dimissioni del Ministro dell'Istruzione Fioramonti e la carenza di risorse ci pongono di fronte a una questione fondamentale: c'è un futuro per la nostra scuola?

Le dimissioni del Ministro dell'Istruzione Fioramonti e la carenza di risorse ci pongono di fronte a una questione fondamentale: c'è un futuro per la nostra scuola?
Scriveva pochi giorni fa Maurizio Vitali, a proposito delle dimissioni del ministro della Pubblica Istruzione Fioramonti (legate al mancato stanziamento di 3 miliardi per l’istruzione) che una delle grosse questioni su cui nessuno ancora si è interrogato è: servono più soldi, ma per farne cosa?
Ora, la questione si ripropone con due ministri per un dicastero con le fattezze di un mostro bicefalo; i due, sicuramente, finiranno col beccarsi come i capponi di manzoniana memoria nella spartizione delle stesse risorse del predecessore. Ma la questione rimane sul tappeto e Fioramonti l’aveva compresa: può la scuola italiana permettersi di mantenere lo status quo? Può il Paese accettare che la scuola, invece che motore del cambiamento, sia specchio fedele del mesto declino?
E poco importa, di fatto, il costante calo della spesa pubblica dell’istruzione, in controtendenza rispetto all’Europa. Il punto è che gran parte del budget del Miur è per il pagamento degli stipendi del personale scolastico (amministrativi, Ata, docenti…). Briciole per l’innovazione e il merito (e qui basti vedere come viene distribuito il bonus merito docenti – recentemente modificato – introdotto dalla legge 107: a pioggia, o con autocertificazione!). Che fare? Licenziare docenti e aumentare la quota per l’innovazione (ma chi la farà, allora?) o aumentare i fondi per la scuola (togliendoli da dove, considerando, per esempio, che 1 casco 1 di un F35 costa 400.000$?).
Ci sono, evidentemente, delle scelte forti da fare. In ordine sparso:
Quanto costa tutto questo? Moltissimo, e serve una programmazione almeno ventennale (pensiamo solo ai cantieri, oltre che alla formazione del personale). Non bastano quattro spiccioli arraffati in CdM. Ma l’assenza di risorse è figlia dell’assenza di dibattito, che è la cartina tornasole del disinteresse.
Ecco perché, alla fine della fiera, la scuola italiana non sarà mai volano del cambiamento ma solo il triste specchio di un paese al crepuscolo: per cambiare serve coraggio, visione a lungo termine, una buona dose di incoscienza, brivido per il rischio. Gli anziani non rischiano. I giovani politici di oggi, invece, sanno a mala pena badare a loro stessi e non durano nemmeno un’estate. Chi dovrebbe guidare il cambiamento?
© RIPRODUZIONE RISERVATA