Un museo dell’arte veronese. Anzi due!
Un percorso museale versatile e multi artistico per celebrare chi ci ha reso grandi
Un percorso museale versatile e multi artistico per celebrare chi ci ha reso grandi
Stilare un elenco di tutti gli artisti veronesi con evidenze in collezioni pubbliche e private anche all’estero sarebbe arduo. Pittura, scultura, incisione, fotografia, per mano del talento dei nostri concittadini, si sono estese ben oltre i confini locali andando a influire anche su movimenti artistici nazionali e internazionali.
Di recente abbiamo parlato di come Carlo Zinelli abbia influenzato l’Art Brut e di come, altrettanto, Ambrosi, Di Bosso e Verossì abbiano segnato non poco il Futurismo. Ma l’elenco potrebbe estendersi. Tanto per fare alcuni esempi a macchia di leopardo: i Tommasoli hanno contribuito alla consacrazione della fotografia come linguaggio artistico al pari di altre forme più manuali raccontando l’evoluzione della società dalla classicità degli inizi all’audace modernità rappresentata dai discendenti, Accordini ha dato un segno importante nell’arte gestuale, Castagna e Finotti hanno portato, assieme a numerosi altri rappresentanti, il nome della scultura veronese ad alti livelli.
In tempi più recenti la fotografia di Dal Gal e Begnoni, testimonianza di un gusto e di un amore classico che si avvolge e sboccia in suggestioni e impressioni innovative, ha avuto straordinario eco in importanti rassegne internazionali. Come pure, oggi, la scultura di Legnaghi e Borgiani, alternando forme morbide a spiccate linearità geometriche, ha dato spunti di rinnovata modernità. Sempre saltando qua e là con la consecutio temporum è indubbio il valore dell’opera di Marotto nel mondo nobile e pregiato dell’acquarello, come pure la testimonianza artistica e storica nell’opera grafica di Nereo Tedeschi. Anche il contemporaneo in pittura, sempre più spesso, è in grado di raccontare artisti che si stanno distinguendo da Carradore a Lorenzetti fno al giovane Rudari. Non possiamo dimenticare, altresì, coloro ai quali i veronesi sono parecchio affezionati: Albertini, Dall’Oca, Dorigatti, Farina, Lebrecht, Pigato, Vitturi, Zoppi…
Quello dell’arte veronese è un tema parecchio spinoso e, senza nulla togliere agli artisti di altre città o zone di provenienza, viene da domandarsi “il perché” di tanti aspetti. Si sente parlare di pittori napoletani, pittori livornesi (i cosiddetti labronici). Si parla, tra più esperti, dei pittori di Scicli e di tante altre “scuole” ma non si sentono nominare i pittori veronesi. Beraldini, Birolli, Casarotti, Pajetta, Resi, Trentini, Zancolli, maestri che meriterebbero ben più di una mostra a loro dedicata. A conservare la memoria della sua opera ci ha provato Angelo Dall’Oca Bianca – non con il villaggio a lui titolato, peraltro finanziato dal pittore stesso per dare alloggio alle persone all’epoca in difficoltà – ma con la donazione delle sue opere al Comune di Verona – senza ottenere ciò che avrebbe meritato per questo straordinario atto d’amore. Non un museo, non grandi progetti ma centinaia e centinaia di opere sparse nei vari uffici comunali.
Il tema della tutela acquisisce oggi quei caratteri di urgenza che stanno per crescere sempre più. Cosa succede di preciso? Parlando di contemporaneo – cercando di abbracciare centocinquanta anni di storia – sono due gli spunti di sviluppo più urgenti: quello della memoria e quello della valorizzazione dell’opera dei collezionisti. La memoria, custodita dai discendenti diretti di questi importanti artisti, rischia di perdere tutta la parte relativa agli aneddoti: episodi necessari a tracciare la vita degli artisti stessi. Oggi possiamo parlare di figli, nipoti e pronipoti … viene da sé che ulteriori passaggi generazionali potrebbero far confondere, se non scemare, questo importante patrimonio biografico. C’è poi la memoria documentale: quella della rassegna stampa, delle locandine, degli inviti, delle fotografie, dei libri delle firme… supporti cartacei che se perduti, sarebbe un ulteriore danno.
Un’altra testimonianza da conservare è quella derivante dalla collezioni dei discendenti che, se custodita o correttamente dispersa, permetterebbe una facile reperibilità in caso della nascita di progetti editoriali (cataloghi, pubblicazioni, tesi e convegni, conferenze) o espositivi. Questo punto, in particolare, si lega anche all’opera dei collezionisti; molti di loro, in numerosi anni di acquisti, hanno creato vere e propri musei privati dell’arte veronese. Per loro, come per gli eredi di altrettanti artisti, potrebbe essere fonte di e orgoglio, “tra mille anni”, donare la collezione a un Ente o Istituto in grado di conservarne e valorizzarne la memoria. La costituzione di un Museo dell’Ottocento e del Novecento potrebbe essere una prima soluzione per colmare questa lacuna.
Un grande museo dove raccontare la nostra città attraverso una collezione permanente che offra tutti quegli stimoli tangibili e interattivi di un museo al passo con i tempi; così, accanto a quadri e sculture, proiezioni digitali di appunti, video interviste, sensazioni sonore con la voce degli artisti e innumerevoli altre variazioni che le tecnologie possono offrire. Un polo – gli spazi non mancano – che possa altrettanto garantire, al termine del percorso permanente, alcune stanze dedicate a mostre monografiche da alternarsi a cadenza fissa. Così a ogni mostra corrisponderebbe una nuova pubblicazione a tracciare in maniera ancora più compiuta la personalità dell’artista.
Un altro museo oltre questo, che appare più che mai prioritario, potrebbe essere a cielo aperto. Verona… come Pietrasanta. La cittadina della Toscana è nota in tutto il mondo per essere uno dei più rinomati centri per l’arte, in particolare per la scultura. Qui hanno i loro laboratori o vi hanno lavorato Joan Mirò, Fernando Botero, Pietro Cascella, César, Pietro Consagra, Niki De Saint Phalle, Novello Finotti, Jean Michel Folon, Igor Mitoraj, Costantino Nivola, Isamu Noguchi, Arnaldo e Gio’ Pomodoro, Giuliano Vangi, Kan Yasuda. Anche grazie a loro Pietrasanta si è distinta fino a essere ribattezzata “piccola Atene”, cittadina capitale della lavorazione del marmo. C’è chi racconta che alcuni di questi artisti, terminato il lavoro in laboratorio, si rechino nei rinomati caffè con ancora addosso gli stessi abiti segnati da polvere, gesso, cera e da tutti gli altri materiali utilizzati per realizzare i loro capolavori.
Verona, altrettanto, ha avuto e ha tutt’ora, alcune delle più prestigiose fonderie artistiche al mondo. Alcuni dei nomi sopra sopracitati si sono avvalsi delle fonderie veronesi per realizzare le proprie opere. Anche Picasso, Dalì, Berrocal, Arman, Celiberti, Lamagna, eccellenze nella fusione a cera persa, hanno portato il lavoro degli artigiani e dei finitori del bronzo di Verona nel mondo. Se a Pietrasanta il valore degli artisti e dei cavatori di marmo è valorizzato da un percorso a isole espositive, viene da domandarsi perché la stessa modalità non possa essere replicata anche a Verona. Sarebbe altrettanto semplice individuare spazi rappresentativi del lavoro di ogni singola fonderia artistica ed esporre l’opera finita prima della consegna all’artista. Un museo a cielo aperto – lungo le vie del centro storico – che veda nel tempo un’alternanza di opere e la possibilità, poi, di realizzare un catalogo come omaggio annuale agli scultori e alle fonderie. E magari una borsa di studio per indirizzare e avviare un giovane al lavoro di bottega. Poi un premio acquisto, con l’opera vincitrice che entra a far parte della collezione dei Musei Civici. Segnali necessari per dare valore a ciò che siamo: all’arte e all’artigianato artistico. Così saremmo davvero una città in grado di esprimere bellezza e valori di cui andare fieri. In maniera condivisa.