"Brexit Actually"? No, grazie!
La nuova deriva della comunicazione politica passa da citazioni cinematografiche che rappresentano un colpo al cuore per molti
La nuova deriva della comunicazione politica passa da citazioni cinematografiche che rappresentano un colpo al cuore per molti
Ho poche certezze nella mia vita e molte di queste sono piuttosto precarie. Proprio per questa ragione quando mi vengono sottratte la prendo piuttosto male. Tra le mie certezze, tra quelle con una certa solidità, annovero la ritualità – almeno una volta all’anno – preferibilmente tra novembre e dicembre – di guardare il film “Love Actually”. “Love Actually” è un film del 2003, una commedia corale romantica di Natale, una pellicola godibile ad alto rischio di diabete (o almeno carie) che a suo immenso favore presenta un cast col pedigree: si va da Colin Firth a Emma Thompson, da Hugh Grant, Martin Freeman, Liam Neeson, Keira Knightley, Bill Nighy fino al mai abbastanza compianto Alan Rickman. Insomma per farla breve è un film da vedere, almeno una volta nella vita.
Ero piuttosto convinta che questa certezza, catastrofi e seste estinzioni permettendo non mi venisse negata tanto facilmente. Eppure, la mattina del 10 dicembre 2019 nella mia rapida rassegna online mattutina – che per comodità e pigrizia oggi vive molto grazie ai social – qualcosa tra me e questo rituale dal sapore effimero si è rotto. Il responsabile? Boris Johnson o meglio chi di lui ne cura la campagna per le imminenti elezioni generali in Regno Unito che vedono Johnson correre per mantenere la residenza al civico 10 di Downing Street e che senza troppi giri di parole si decideranno su un unico grande quesito: “Brexit si o Brexit no”. Ma tutto in questo cosa c’entra con “Love Actually”? La risposta è tutta in questo video.
Di fronte a cotanto impegno Salvini vestito da Bertinotti per le amministrative in Emilia Romagna fa la figura del dilettante allo sbaraglio. Attraverso questa semplice mossa la comunicazione di Johnson invade uno spazio di coscienza popolare collettiva. “Love Actually”, che ha goduto di un ottimo successo fuori dal regno di Elisabetta II, ha senza dubbio un legame molto più forte con il paese in cui è ambientato perché ne racconta tradizioni, sentimenti e identità culturali e sociali. Chi ha guardato il film – oltre alla centralità delle storie d’amore – non potrà non riconoscere una forte connotazioni di appartenenza alla realtà sociale di quell “isoletta” che Bill Bryson tanto bene sapeva narrare. “Love Actually” ti fa amare Londra e gli inglesi esattamente nello stesso modo – seppure con connotati molto diversi – in cui lo faceva Dickens.
Il fatto è che siamo sullo stesso canale del pane e Nutella, dei gattini e del cuore della Madonna affogato nel mojto di Matteo Salvini e la verità è che si sta usando la stessa lingua (non gli stessi messaggi, sia chiaro) di Benito Mussolini a torso nudo in occasione della trebbiatura nell’Agro pontino. Dai disegni nelle caverne di Altamira ai tweet, gli esseri umani hanno scritto la propria storia attraverso la comunicazione assegnando a questa il potere di poterla interpretare, nel bene e nel male. Sono i social il problema? No, in primis perché sui social si può comunicare quello che si vuole, volendo si può comunicare trattati di filosofia a chiunque e dovunque nel mondo, non sono certo i social a costringere all’uso di mezzucci e cattivo gusto. Il problema reale è il progressivo scadere della qualità della comunicazione, del contenuto che proponiamo: la povertà di argomentazioni, l’incapacità di approfondimento, la cecità nel sapere considerare posizioni diversi dalle proprie, l’impoverimento del linguaggio, la banalizzazione del male e, soprattutto oggi, quella del bene.
Qualcuno potrebbe appuntarmi dicendo “OK pensala come vuoi, però almeno ammetterai che è stato originale”. Se da una parte non posso davvero negare che questa bizzarra iniziativa mi ha addirittura spinta a scrivere di comunicazione e politica – a distanza di parecchi anni dell’ultima volta che mi sono trovata a farlo – dall’altra la parola “originale” mi suona piuttosto estrema: i remake della famigerata scena “dei cartelli”, reinterpretata in questa occasione da Johnson, sono innumerevoli oltre al fatto che l’associazione tra Love Actually e queste elezioni non è esattamente un’idea originale dei conservatori. Ci ha pensato prima proprio uno degli interpreti del film, Hugh Grant, che nella pellicola, interpretando proprio il Primo Ministro britannico (un first minister totalmente utopico e dal cuore gentile), si ritrova la Vigilia di Natale a bussare a tutte le porte di una strada del profondo sud della periferia di Londra alla ricerca di Natalie, un’impiegata a Downing Street di cui è innamorato. A inizio dicembre l’attore ha portato avanti la campagna “Fermiamoli a ogni costo”, bussando davvero porta a porta nei quartieri londinesi di Finchley and Golders Green per convincere le persone a non votare per il Primo Ministro in carica.
Dovremmo contestare anche Hugh Grant? Fondamentalmente no, si tratta di un attore, che certamente con questa azione fa politica, ma non è un politico, non è candidato ma si pone come attivista e libero cittadino che sfrutta una certa visibilità, dettata dalla propria carriera, per promuovere le proprie idee. Certo si potrebbe appuntare che ad accompagnarlo in questo tour porta a porta c’era la candidata liberal-democratica Luciana Berger: il confine è sottile, il richiamo al film in questo caso non è esplicito, non c’è parodia e ha una pura valenza evocativa. Ovviamente, per non rischiare l’imparzialità, non si può negare una certa furbizia anche in questa mossa, ma resta il fatto che Johnson – elezioni o meno – è attualmente la più alta carica del Governo britannico, mentre la Berger allo stato attuale, dopo le sue dimissioni, non è più nemmeno una rappresentate del parlamento. Inoltre, Grant ha già risposto al primo ministro usando le stesse armi e facendo notare come il cartello che nel film originariamente riportava «A Natale bisogna dire la verità» sia stato omesso dalla parodia… era forse troppo fuori luogo nelle mani di Johnson?
Rappresentare un Paese o ambire a farlo dovrebbe richiedere strumenti e messaggi più appropriati. È arrivato davvero il cruciale momento in cui abbandoniamo la sostanza per regalarci ad una semplice scelta di forma sorretta da cuoricini e pollici all’insù? Cosa rimarrà di noi ai posteri (nel non troppo scontato caso che non sia proprio il nostro uno degli ultimi capitoli dell’esistenza della nostra specie) al momento non è facile da prevedere (anche se magari un maggiore impegno per un miglior report sul nostro tempo sarebbe gradito) ma tornando a questioni dagli esiti più ravvicinati, cosa succederà domani? “Love Actually” o no, i sondaggi danno Johnson vincitore e una Brexit sempre più vicina.
Sul fronte della comunicazione – per fortuna, purtroppo – la campagna è ormai alla fine e l’election day incombe. A questo punto contro ogni logica e sfidando il buon gusto non mi resta che confidare in un gran finale con Johnson vestito da coniglietta sexy in un remake senza precedenti del primo “Bridget Jones”. Nel mentre, magari, Jeremy Corbyn potrebbe inscenare una dichiarazione d’amore in una libreria di Notting Hill: «Sono un semplice laburista che sta di fronte a un popolo e gli sta chiedendo di amarlo» (in caso di necessità sono certa che il leghista Di Muro non mancherebbe a dispensare ottimi consigli).
Non ci resta che sperare che non ci siano scene da quattro matrimoni e un funerale e soprattutto che nella bara non giaccia il corpo inerme della nostra Europa, comunque vada, Regno Unito in o Regno Unito out.