Dare eco, respiro e parola ai lividi dell’anima, invisibili ma ben presenti, causati dalla violenza psicologica sulle donne. È questo l’obiettivo del docu-film “Violenza invisibile”, scritto e diretto dalla giornalista e regista veronese Alessia Bottone, in co-regia con Michele Velludo, ispirato al romanzo “Eppure sono lieve” di Bruna Colacicco (Manni editore).
Il cortometraggio è stato proiettato in anteprima oggi a Palazzo della Gran Guardia a Verona, nell’ambito dell’incontro “Violenza Psicologica. Riconoscerla e difendersi”, co-organizzato dall’Assessorato alle Pari opportunità e dalla Consulta delle Associazioni Femminili. Tra i relatori, il magistrato del Tribunale di Milano Fabio Roia, insignito dell’Ambrogino d’oro per il suo impegno nel contrasto alla violenza di genere, la criminologa Cinzia Mammoliti, il questore di Verona Ivana Petricca e l’avvocata Silvia Belloni, consigliera dell’ordine degli avvocati Milano, che hanno indicato alle vittime possibili percorsi e soluzioni.
Alessia Bottone ha presentato il suo più recente lavoro cinematografico in cui affronta il delicato tema della violenza psicologica e si sofferma su quelle donne dalle esistenze fragili che spesso non vediamo, celate dall’apparenza della normalità del quotidiano e rese invisibili dal silenzio a loro imposto.
Il docu-film, ambientato, girato e prodotto a Verona, è il frutto di 8 mesi di lavoro tra fundraising, stesura della sceneggiatura, riprese e montaggio ed è realizzato con il patrocinio del Comune di Verona, promosso dalla Consulta delle Associazioni Femminili di Verona con l’appoggio organizzativo di Confcommercio Terziario Donna di Verona e sostenuto da AGSM, DAS Difesa Legale, Fondazione Giorgio Zanotto, Fondazione Cattolica Assicurazioni e Lions Club VR Gallieno e New Voices 108ta1.
Il cortometraggio ha condensato in una storia di appena 18 minuti, uno degli abusi più diffusi ma allo stesso tempo invisibili, che lo rendono più complesso da combattere: la violenza psicologica, non lasciando segni sul corpo, è infatti difficile da dimostrare e di conseguenza da denunciare.
«Ho cercato di portare in scena le devastanti conseguenze della violenza psicologica oltre alle laceranti ferite scolpite nel cuore di coloro che la subiscono– racconta Alessia Bottone -. Giovanna, la protagonista del cortometraggio, interpretata dall’attrice veronese Rita Colantonio, è una donna che all’apparenza vive un’esistenza appagante, ma il suo comportamento muta nel momento in cui rientra a casa e vive con ansia l’attesa del marito. Tutto quello che fa è sbagliato agli occhi di quest’ultimo – prosegue Bottone- e ogni piccolo errore dà seguito a giorni di silenzi e maltrattamenti». Grazie al sostegno delle amiche, la protagonista riesamina il suo vissuto e la sua condizione in un percorso di consapevolezza che segna un punto di non ritorno e l’inizio di una nuova vita.
Il docu-film, che non uscirà al cinema, ma direttamente sul web (è possibile vederlo qui) comprende due interviste: a Franca Consorte, psicologa di Verona, e a Cinzia Mammoliti, criminologa di Milano, che analizzano il tema da un punto di vista tecnico, definendo la figura del maltrattante e della vittima, oltre agli effetti della violenza sui figli.
«La violenza psicologica, essendo invisibile in quanto non porta con sé i lividi e i segni dell’aggressione, è molto più subdola e difficilmente riconoscibile, perché agisce sulla psiche con le parole e con il silenzio e procura molti più danni di quella fisica in quanto la vittima arriva a negare ciò che le sta realmente accadendo», spiega la psicologa Franca Consorte.
In molti paesi europei la violenza psicologica viene considerata un reato. In Irlanda e Scozia nei primi mesi del 2019 sono state approvate apposite leggi che puniscono i comportamenti coercitivi e di controllo. In Francia esiste una legge specifica già dal 2010. In Italia non vige ancora una legge ad hoc, ma diversi articoli del Codice Penale tutelano le vittime di violenza psicologica in ambito familiare. Con la recente Legge n. 69/2019, Codice Rosso, lo Stato ha sicuramente fatto un importante passo avanti, apportando significative modifiche e innovando il Codice Penale in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, con l’introduzione di una nuova categoria di reati. Ma molto deve essere ancora fatto.
Molte, troppe sono le donne che ad oggi non hanno avuto il coraggio di denunciare un abuso fisico, sessuale o psicologico per paura di essere giudicate, o più amaramente, di non essere credute e sostenute. Talvolta, non sentendosi adeguatamente salvaguardate, ritrattano perfino la denuncia.
Un fenomeno, quello della violenza di genere, che nonostante la reticenza è in costante aumento anche nella nostra città, come riportano i dati forniti dal Centro Antiviolenza Petra (numero verde 800392722) del Comune di Verona. Ogni anno si rivolgono al centro 400 persone, di cui circa la metà si reca fisicamente nella sede per costruire il proprio progetto di uscita dagli abusi. Nel corso del 2019 sono già 405 le donne che lo hanno contattato. E le cifre degli anni precedenti confermano un trend in costante crescita: dal 2004, anno in cui il Centro Petra è stato aperto, le richieste d’aiuto sono state 4198 e 1.889 le vittime incontrate. I dati raccolti dal Centro Petra confermano inoltre che la maggior parte delle violenze avviene all’interno della coppia. Nel 60% dei casi è il compagno, il coniuge o il convivente a maltrattare. Ma talvolta, la violenza non cessa nemmeno con l’interruzione della relazione perché nel 23% dei casi sono gli ex compagni i responsabili dei maltrattamenti.
Secondo una recente indagine condotta dall’Istat, in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO), il CNR e le Regioni, sui 281 Centri antiviolenza (CAV) nel 2017 si sono rivolte ai CAV 43.467 donne (15,5 ogni 10mila donne); il 67,2% ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10mila). Tra le donne che hanno iniziato tale percorso, il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi.
Le modalità per entrare in contatto con i centri sono di vario tipo: il 95,3% dei Centri mette a disposizione il numero telefonico 1522, che accoglie le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking, il 97,6% dei Centri garantisce una reperibilità h24. L’89,7% dei Centri è aperto 5 o più giorni a settimana.
Per gestire le situazioni di emergenza l’85,8% dei Centri antiviolenza è collegato con una casa rifugio. A Verona, grazie alla convenzione con la Casa della Giovane e alla creazione di un’abitazione protetta, in questi anni, si è dato rifugio a 223 donne con 205 figli.
“Verona è una città virtuosa per quanto riguarda i servizi che sa offrire alle donne in difficoltà – ha dichiarato l’assessore Briani -. Oggi siamo più preparati ad affrontare questo tipo di situazioni perché sappiamo assicurare un posto in casa protetta a chi subisce violenza e ai figli, offriamo un percorso di aiuto dal punto di vista psicologico, legale e anche di reinserimento professionale, nel caso sia necessario. Per questo abbiamo creato l’opuscolo “Un Codice Rosa” che, indirizzando al Centro antiviolenza Petra, può rappresentare una via d’uscita alle donne in difficoltà. Offriamo uno sportello anche agli uomini che agiscono con violenza. Rimane il fatto che denunciare non è sempre facile”.
La speranza è che possa costituirsi rapidamente intorno alle vittime dei reati di violenza una rete che assicuri una tutela effettiva, percepisca la gravità di questi abusi e aiuti a farne venire meno le ragioni scatenanti.