«Abbiate sempre il coraggio di parlare»
In occasione del convegno "Diritti, libertà e democrazia in un mondo che cambia", organizzato dal Telefono Rosa di Verona, abbiamo intervistato l'avvocata iraniana Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003.
In occasione del convegno "Diritti, libertà e democrazia in un mondo che cambia", organizzato dal Telefono Rosa di Verona, abbiamo intervistato l'avvocata iraniana Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003.
Prima donna giudice in Iran, Premio Nobel per la Pace del 2003, Shirin Ebadi ha uno sguardo dolce e fiero di chi ha conosciuto il carcere e ha subito vessazioni da parte del governo, perché “colpevole” di portare avanti la battaglia per i diritti civili nel suo Paese. Nata nel 1947 ad Hamadan da una famiglia musulmana che non fa differenze di genere – maschi e femmine sono alla pari –, dopo la Laurea in Giurisprudenza intraprende la carriera forense. A seguito delle rivoluzione khomeinista, nel 1979 le viene preclusa la professione di giudice. Ma la sua tenacia è più forte e salda della repressione «Quando credete nello scopo che volete ottenere niente vi fa paura» afferma.
Nel 1994 fonda la Society for Protecting the Child’s Rights in Iran, di cui è presidente. Tra il 1999 e il 2000 come avvocata difende le famiglie di intellettuali assassinati nel suo Paese. E proprio nel giugno del 2000 viene arrestata per il suo appoggio agli studenti incarcerati durante la repressione del 1999. La sua è una battaglia per i diritti del popolo iraniano con un messaggio rivoluzionario: proporre l’immagine della donna alla pari con l’uomo e appoggiare un’interpretazione dell’Islam in armonia con l’uguaglianza e la democrazia.
Nel novembre 2009 la polizia, mentre Ebadi è a Londra per sfuggire a un mandato di accusa per una presunta evasione fiscale, fa irruzione nella sua abitazione di Teheran, picchia il marito e confisca il Premio Nobel. Da allora non è più tornata in Iran. Nel 2016 è uscito il suo ultimo libro Finché non saremo liberi. La mia lotta per i diritti umani.
Ebadi è stata a Verona sabato 23 novembre, nell’ambito del convegno dal titolo Diritti, libertà e democrazia in un mondo che cambia, organizzato dal Telefono Rosa di Verona presso la Società Letteraria, in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, che si è celebrata ieri, 25 novembre. Shirin Ebadi parla il persiano, una lingua musicale, che evoca una cultura millenaria, ma è accompagnata dalla dottoressa Ella Mohammadi, gentile e puntuale interprete.
Il pensiero è subito rivolto all’Iran, dove è in atto una rivolta del popolo, scoppiata alcuni giorni fa. Poche sono le notizie che arrivano, ma Amnesty International parla di centinaia di morti.
«È in corso una violenta repressione da parte del governo, ma Internet è stato oscurato ed è assai difficile sapere cosa stia realmente accadendo e quante persone siano state uccise.»
È riuscita ad avere qualche informazione?
«Tramite il telefono trapelano poche notizie, ma le linee private sono controllate, quindi, se possono, mi chiamano tramite le cabine telefoniche pubbliche. Le proteste, comunque, partono dal pretesto dell’aumento del prezzo della benzina. La verità, però, è che la gente si è stancata di questo regime. Scende in piazza perché vuole un cambiamento. Quest’anno l’inflazione è cresciuta più del 40 per cento mentre gli stipendi sono aumenti solo del 10 per cento. L’Iran ha molte risorse e tanti soldi, che utilizza però per appoggiare e finanziare Siria, Iraq e Libano.»
Da grande protagonista per la lotta dei diritti in Iran, quali sono i punti di contatto nella condizione della donna occidentale e di quella musulmana?
«Non vedo alcuna differenza. Le donne iraniane sono musulmane ma vogliono le stesse libertà che avete voi. Quarant’anni di repressione ci hanno fatto capire quanto questo regime islamico possa essere pericoloso. E adesso il 90 per cento della popolazione vuole un governo dove lo Stato e la Religione siano separati. La gente chiede uno Stato laico. La maggior parte delle persone contro il governo è rappresentata da donne, che si battono soprattutto per combattere le leggi discriminatorie che da decenni subiscono.»
Lei ha dichiarato che in Iran una donna per avere successo deve essere brava 2-3 volte più di un uomo. Anche qui da noi, in Italia, non è molto diversa la situazione.
«Perché la cultura patriarcale c’è dappertutto. Non c’è differenza tra musulmani e cristiani sotto questo aspetto.»
Per una parità di trattamento e di diritti lei sostiene quanto sia importante il nucleo familiare da cui si proviene.
«È fondamentale l’ambiente in cui si cresce. Io sono stata educata in una famiglia dove non c’era disparità tra uomo e donna. Mio padre non ha fatto mai differenza tra maschi e femmine. Per me era la normalità questa uguaglianza. Ben presto mi sono accorta che il mondo era diverso.»
Cosa direbbe a una bambina di oggi?
«Che non ha nulla di meno di un ragazzo. È molto sbagliato che già dalla nascita vengano dedicati alcuni colori ai maschi, come il celeste, e altri alle femmine, come il rosa. Il mio primo nipote, che adoro, è un maschietto di 8 anni. Quando era piccolo gli compravo solo le bambole e giocavamo assieme. Lui diventava il padre dei bambini e io ero la madre e gli spiegavo come un papà doveva proteggere i propri figli. Bisogna insegnare ai ragazzi che le bambole non sono fatte solo per le bambine. Perché cresciamo le nostre figlie insegnando solo a essere madri? Il ruolo della madre è molto importante ma non deve limitarsi alla donna. Mio nipote, quando qualche mese fa è nata la sorellina, ha subito cercato di proteggerla, senza gelosie. Dobbiamo portare avanti il femminismo già dalle nostre mura domestiche.»
Cosa pensa del velo che copre la testa e il volto delle donne musulmane?
«In Iran è diventato obbligatorio dopo la rivoluzione. Vede che io non lo porto? Io sostengo che per la donna musulmana debba essere una decisione personale, non un’imposizione. Avete visto come le donne nel mio Paese si stiano ribellando a questo obbligo e accettano anche di essere incarcerate.»
Nel suo libro, La gabbia d’oro, cita la frase del sociologo iraniano Ali Shariati «Se non potete eliminare l’ingiustizia, almeno raccontatela a tutti».
«Sì, perché non può cambiare nulla finché noi non parliamo dei nostri problemi. Molti hanno paura di raccontare. Basta guardare il movimento “Me too”, che è servito affinché le donne potessero raccontare dei loro diritti violati. Tutto è cambiato. Non si deve avere paura se i poteri prepotenti opprimono.»
Diritti, libertà e democrazia sono le tre parole che intitolano questo incontro. Che significato hanno per lei?
«Democrazia non vuol dire quando governa la maggioranza. Questa è una definizione sbagliata. La democrazia esiste quando la maggioranza concede anche alla minoranza gli stessi diritti. Se c’è democrazia ci sono anche diritti e libertà.»
Nella lunga battaglia per i diritti civili, che dura un quarantennio, siete è riusciti a ottenere qualche vittoria?
«Se non ci fossero le proteste del popolo questo regime avrebbe ucciso molta più gente. Siamo riusciti a cambiare qualche legge a favore della donna. Per esempio, nel 2004, la norma sulla custodia del minore è stata migliorata a favore delle madri.»
Per il cambiamento si deve avere il coraggio di parlare. Non si deve stare zitti di fronte a un’ingiustizia, a una violazione di un diritto, a una vessazione. E in questi giorni, in cui si moltiplicano le iniziative in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, le notizie in Italia ci raccontano dell’ennesimo femminicidio.