Secondo il rapporto Eures 2019, in Italia dal 2000 le vittime di femminicidio sono state oltre 3.300, nel 2018 hanno raggiunto il picco di sempre con 142 e i primi dieci mesi del 2019 confermano un triste dato: quasi ogni tre giorni, un uomo spegne la vita della sua compagna. Se poi si osservano i dati relativi ai maltrattamenti continuativi, alle donne che hanno richiesto aiuto e consigli per partner o ex aggressivi, i numeri crescono a dismisura. Le morti fanno tristemente notizia, ma non sono che la punta di un iceberg. A differenza dei passeggeri del Titanic, noi però siamo in grado di sapere cosa succede.

Per capire come è fatto l’orco e quant’è grande quello più vicino a noi, ci possiamo basare sui dati forniti dalla Regione Veneto, nell’ambito del censimento annuale dei Centri Anti Violenza. Molti sono convinti di uno stereotipo che legherebbe i casi di violenza a situazioni di disagio sociale, di povertà o emarginazione, anche di dipendenza da alcol o droghe. Nel tentativo forse di allontanare da noi il problema, di relegarlo ad altri ceti sociali, si finisce per cadere in un grosso abbaglio.

Gli assassini di donne sono per oltre il 70% italiani, tra i 30 e i 50 anni, persone spesso insospettabili. La stragrande maggioranza di vittime e carnefici ha un’istruzione superiore, un buon lavoro e reti familiari e di amicizia sane. Lo stesso vale per le violenze e i maltrattamenti che, fortunatamente, vengono fermati prima del tragico finale. Potrebbe capitare a noi; potremmo essere noi. In Veneto, nel 2018, quasi 9.000 donne hanno contattato uno dei 47 Centri Anti Violenza disseminati sul territorio regionale. Grazie al Decreto della Presidenza del Consiglio del 2017, i nuovi fondi stanziati hanno permesso di aumentarne il numero  e si tenerli aperti 5 giorni a settimana, con numeri raggiungibili nelle 24 ore; in attesa dei decreti attuativi, non sono ancora attrezzati per gestire le emergenze, pur potendo far conto sull’inserimento nel circuito di SOS 1522.

Dei quasi 9000 contatti, sono circa un terzo le donne prese in carico per il percorso di autonomia, con l’allontanamento dalla sede familiare o anche, per i casi più fragili, di forte sudditanza economica, con l’accoglienza nelle case rifugio. Un dato interessante mostra come, per ogni tre nuove prese in carico, due percorsi arrivano alla conclusione: è un cammino difficile, che dura mediamente 18 mesi, ma si può riuscire a trovare la serenità e l’indipendenza perdute in un rapporto sbagliato.

Tra le donne venete prese in carico dai Centri, circa il 60% sono sposate o conviventi, mentre è preoccupante la percentuale del 15% di donne separate: l’uomo non si rassegna a perdere la compagna, la segue, minaccia, violenta o picchia. Se non viene fermato, la uccide. Come visto nell’articolo di qualche giorno fa, anche in Veneto è confermata la difficoltà a denunciare: solo una su tre si presenta a un Pronto soccorso e il rapporto scende a ¼ per le denunce. Una buona parte del lavoro dei CAV consiste proprio nel restituire alla donna la dignità che crede di aver perduto, nel sostenere le sue scelte di liberarsi dal giogo fisico ma soprattutto psicologico del compagno violento, nel cancellare il concetto di vergogna e colpa.

Il 60% delle donne prese in carico ha figli e quasi tutte dichiarano di aver deciso di chiedere aiuto proprio per proteggere i figli o altri componenti della famiglia di origine dalla furia del partner. I bimbi sono quasi sempre vittime della cosiddetta violenza assistita e in troppi casi anche di quella fisica. Cercano di proteggere la mamma, si frappongono tra i genitori nel tentativo di fermare quel pugno, di rallentare il calcio o far smettere gli insulti. Sono indifesi e incoscienti di poter chiedere aiuto, e non solo i più piccoli: in un questionario di skuola.net tra i ragazzi delle medie, è emerso che meno della metà conosce l’esistenza dei numeri “rosa”. C’è molto lavoro per gli educatori e gli insegnanti, nel cogliere i segnali di disagio e nel saper impostare un dialogo costruttivo coi bambini e coi ragazzi per far emergere eventuali criticità.

Sono appena stati finalmente sbloccati (da oggi, 25/11) 12 milioni di euro, previsti dalla legge 4 del gennaio 2018 per gli oltre 2000 orfani di femminicidio, bambini e ragazzi che nello stesso terribile momento perdono entrambi i modelli di tutta la loro vita, perdono il sostentamento anche materiale, perdono la loro casa, tutti i riferimenti e spesso, quando devono essere spostati, anche gli amici. I fondi verranno utilizzati per garantire alle vittime più piccole e indifese di vivere con le famiglie affidatarie, studiare e trovare un lavoro. Dopo aver visto la mamma uccisa, devono combattere il loro amore per papà e trovare una nuova ragione per vivere. Lo Stato non può e non deve abbandonarli.

È doveroso spendere due parole anche sull’orco, puntando per una volta il dito non tanto sul disprezzo sociale che si guadagna chiunque maltratti o uccida una persona più debole, ma sul suo recupero. Come raccontato mercoledì in un  convegno al teatro Nuovo, l’associazione “Maschile Plurale” è attiva in molte regioni d’Italia, con l’obiettivo di facilitare una svolta sui comportamenti dei violenti, attivando campagne di prevenzione, sensibilizzazione e formazione. È nata da un gruppo di uomini che amano le donne e le considerano dei riferimenti per la  vita, riconoscendo la propria fragilità e cercando una visione critica del patriarcato. Collaborano con i Centri Anti Violenza, in particolare con le strutture dedicate ai maschi ossessivi o aggressivi con le donne. È bello sapere che ci sono uomini con a cuore il problema, che anche loro stanno prendendo coscienza e vogliono fare qualcosa di concreto per migliorare la situazione.

A Verona sono presenti due importanti CAV, il Telefono Rosa, associazione di volontarie, e Petra, il servizio del Comune. Entrambi sono assolutamente gratuiti e anonimi, al primo contatto fa seguito un vero percorso psicologico ma anche concreto, a seconda dei casi. Nei primi sei mesi del 2019, i contatti complessivi sono stati circa 300, con un’ampia percentuale formata da donne veronesi con figli, che subivano aggressioni dal partner attuale. Sono 300 casi di troppo, è un numero allucinante e costituisce solo una parte; molte sono ancora le donne che accettano in silenzio le angherie di un rapporto malato. Una nota positiva è che circa un centinaio di uomini veronesi sono attivamente seguiti dal centro di ascolto “Non agire violenza” collegato a Petra, dove possono intraprendere un percorso personale e di gruppo per recuperare la giusta relazione con le donne, imparare a gestire le emozioni della perdita, la gelosia morbosa e soprattutto la rabbia. Uomini cattivi, certo; ma che si impegnano per correggere il proprio errore. Donne, smettiamo di accettare ordini per mettere una gonna più lunga, di subire vessazioni fisiche o psicologiche. L’orco si può fermare in tempo, appena appaiono i primi segnali, senza aspettare che cambi, senza sperare di poterlo cambiare da sole. Facciamo sentire la voce delle nostre paure ai contatti qui sotto.

Noi vogliamo essere libere, essere amate e sopra ogni cosa vogliamo vivere.

PETRA Centro Anti Violenza, Comune di Verona. Numero Verde 800392722; e-mail: petra.antiviolenza@comune.verona.it

TELEFONO ROSA Verona. Tel. 045 8015831; e-mail: trverona@gmail.com

Centro di Ascolto per Uomini che agiscono violenza. Tel. 3339313148