Le mucche di Matteo Salvini
Chi l'ha detto che la politica di massa è morta? È viva e lotta con noi. Piuttosto è finita quella DOC. Con la globalizzazione, infatti, pure la massa viene esportata e importata come una qualsiasi merce.
Chi l'ha detto che la politica di massa è morta? È viva e lotta con noi. Piuttosto è finita quella DOC. Con la globalizzazione, infatti, pure la massa viene esportata e importata come una qualsiasi merce.
Nel film Gli anni ruggenti, ambientato durante il ventennio fascista, un modesto assicuratore, interpretato dal bravissimo Nino Manfredi, che si era recato in un paese del meridione per motivi di lavoro, viene scambiato per un importante gerarca. I notabili locali, per ingraziarselo lo trascinano in giro per le fattorie modello fondate dalla rivoluzione fascista. Al termine del tour il “gerarca” si accorge che le mucche, mostrate orgogliosamente a ogni fattoria come simbolo dei successi della zootecnia fascista, sono sempre le stesse, di volta in volta caricate sui camion e spostate da una fattoria all’altra.
Guardare le immagini del PalaDozza di Bologna, dove si è tenuta la manifestazione di sostegno a Lucia Borgonzoni, candidata della Lega alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna, fa inevitabilmente pensare al film diretto da Luigi Zampa. La struttura, della capienza di 5.570 posti, dalle foto delle agenzie stampa e dai post social di Salvini, appariva stracolma. La Lega aveva fatto le cose in grande, consapevole che una sconfitta della sinistra nella regione, che assieme alla Toscana è la Stalingrado del PD, potrebbe avere severe ripercussioni sulla tenuta del già traballante governo giallo-rosso.
Perfino Zaia, il governatore del Veneto, è stato precettato a fare l’uomo sandwich sul palco di Bologna, su cui è salito reggendo, da bravo soldatino, il cartello “Vota Borgonzoni”. Che poi solo il giorno prima Venezia fosse finita sotto la marea più alta e disastrosa della sua storia e che per il governatore della regione forse sarebbe stato più opportuno rimanere a Venezia a far il mestiere per il quale i veneti tutti lo pagano, anziché andare a fare la cheerleader per la Lega, è un’altra storia.
Il punto è che il buon Zaia non era l’unico non emiliano-romagnolo presente a Bologna. A quanto pare era in buona compagnia. Almeno stando alle direttive della Lega trasmesse alle segreterie provinciali lombarde e ai responsabili organizzativi provinciali, dove chiedeva agli iscritti la massima partecipazione all’evento. Bastava poi fare un giro sui social, sempre più specchio della realtà, per rendersi conto che molti dei post della serata al PalaDozza sono stati pubblicati da persone che non sono né emiliane né tantomeno romagnole. E quindi, presumibilmente, non votano alle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna. Insomma, per farla breve, erano state portate lì per fare massa.
Intendiamoci, la transumanza di materiale umano per fare scena non se l’è inventata la Lega e non è nemmeno troppo originale, è vecchia come la politica, cioè come il mondo. Ci interessano di più gli effetti mediatici di una tale strategia, onde comprendere un molto efficacie meccanismo della comunicazione salviniana: la ridondanza. I mass media mainstream il giorno dopo la kermesse salviniana vibravano a una sola voce. Qualche esempio. “Libero”: «Lucia Borgonzoni al PalaDozza, il clamoroso abbraccio del popolo leghista: il video che spaventa il PD». Ma senza stare su testate così apertamente antisinistra, potremmo andare sul “Corriere di Bologna”, che titolava: «Il PalaDozza è verde», oppure “Il Resto del Carlino” con «PalaDozza pieno per la Lega». Inutile continuare. Ovviamente si potrebbe ragionevolmente sostenere che compito dei cronisti è riportare i fatti. E i fatti dicevano che il PalaDozza era pieno. Ma se così fosse, a che servirebbe la stampa? Basterebbero delle telecamere. Abbiamo visto che solo un minimo di analisi ci rende sospettosi riguardo alla reale consistenza della massa mobilitata dalla Lega a Bologna. Ma i consensi non si fanno con le analisi, e i comunicatori di Salvini lo sanno benissimo.
I consensi si fanno (anche) con iniziative di forte impatto mediatico che vengono trasmesse per ridondanza dai mass media mainstream. È questa la trovata geniale dello staff di comunicatori di Salvini, utilizzare i mass media maistream come amplificatori. Salvini fa un’affermazione clamorosa o si fa fotografare con un’arma in mano? I media mainstream sono sul pezzo e amplificano la notizia diffondendola. Salvini in tal modo è il padrone della scena mediatica e ne detta tempi e regole. Il PalaDozza è pieno per metà di bolognesi e per metà di veneti e lombardi? I giornali diranno che era pieno e stop. In tale modo, più o meno consapevolmente, saranno gli stessi mezzi di comunicazione a costruire nell’opinione pubblica l’idea che la Lega sia maggioritaria e vincente. Indipendentemente dalla sua reale forza. A Salvini basta gridare, a diffondere l’eco ci pensano i giornali e le televisioni, più che la mitizzata “Bestia”, la sua macchina del consenso mediatico.
È questa la funzione di quella sorta di horror vacui mediatico che è l’iperattivismo sui social di Salvini, il quale, pur di essere sempre presente sui suoi profili, pubblica contenuti che spesso e volentieri sono sciocchi o infantili. Ma che riempiono un vuoto e sono una presenza continua e costante. Sono il corrispettivo mediatico delle masse mobilitate per riempire le seggiole del PalaDozza, le due facce della medesima strategia mediatica. Strategia assai efficace, perché collima perfettamente con le esigenze dell’utente social medio del terzo millennio, più avvezzo a mettere cuori che all’approfondimento critico. «A ripetere spesso una bugia finisce che questa diventa verità», diceva un detto apocrifo attribuito a quel grande comunicatore della prima metà del XX secolo che risponde al nome di Goebbels. Il problema vero è che questo detto è stato fatto proprio anche da chi dovrebbe saper distinguere le bugie della realtà, ovvero i mezzi di comunicazione.
(Le fotografie provengono dai profili Facebook di Matteo Salvini e Luca Zaia)