Internet è il luogo della libertà?
Le magliette anti riconoscimento facciale indicano una crescente preoccupazione verso le restrizioni delle nostre libertà sul web.
Le magliette anti riconoscimento facciale indicano una crescente preoccupazione verso le restrizioni delle nostre libertà sul web.
Possiamo notare tutti come sia mutata la qualità della comunicazione negli ultimi anni, ma ci siamo mai soffermati a indagarne le reali modalità. Per i nati prima degli anni Ottanta la vita sociale si svolgeva in piazza, al bar, al muretto e via dicendo. Oggi, per fare l’esempio di Verona, i “centri commerciali”, intesi come grande contenitore vuoto per la relazione, è il fulcro delle scelte delle ultime amministrazioni cittadine, ma negli Stati Uniti (che solitamente anticipano le nostre tendenze), di fatto, stanno chiudendo uno dopo l’altro. Ma già sono molti i segnali di un progressivo e ulteriore spostamento verso un’area più grande dove comunicare e scambiarsi informazioni: le immense praterie del web.
Possiamo, in tutto ciò, leggervi una tendenza: la preferenza della relazione mediata dalla virtualità a quella diretta, più emotivamente impegnativa. Il commercio ha colto questa insicurezza e infatti gli acquisti su Amazon, i canali di televendita, il cibo a domicilio puntano a non farci uscire di casa, a ridurre i contatti oltre la cerchia amicale. In cambio della comodità, però, perdiamo la strada. Il bisogno indotto dalla politica di sicurezza a ogni costo stimola la paura diffusa: l’immigrato, il maniaco, il violento, il terrorista. Ed ecco fiorire a ogni angolo webcam e telecamere, che si affiancano alle luci a ogni ora, quasi a voler sconfiggere la notte che fa paura.
Ma se il pericolo, invece, venisse dalla presunta soluzione? È di qualche giorno fa la notizia della vendita di magliette che contrastano i software di riconoscimento facciale: evolvono i programmi e, per reazione, si sviluppano contromisure di semplici cittadini che rivendicano la libertà dal controllo. È un timore giustificato?
Di certo gli spazi in ombra oggi tendono a restringersi. Tanto per cominciare, la fiscalità (persino in Italia) si evolve: vengono incrociati i dati di acquisto, i redditi, le proprietà. La profilazione del contribuente è sempre più precisa e predittiva. Ma non è stravaganza degli Stati, che necessitano di risorse crescenti sin dalla comparsa degli Stati Nazionali e che hanno usato le grandi epidemie per rendere più capillare il controllo: pensate, piuttosto, a quanto i social e i motori di ricerca sanno su di noi; entità che non hanno né un’origine né una finalità sociale.
Le dinamiche di fondo sono evidenti: parcellizzazione e controllo dell’individuo per evitare il caos, che è insicurezza ma anche libertà. In Cina, almeno, le motivazioni e gli obiettivi del filtro censorio sono evidenti; in Occidente, che cosa sta accadendo? A parole, ci battiamo per la libertà di pensiero ma, nei fatti, ci isoliamo e rendiamo la virtualità tramite trasmittente dei nostri pensieri. Che, però, non è – come avviene per gli Stati – sottoposta al giudizio (elettorale) della comunità. È in mano agli azionisti di multinazionali come Google, Facebook e Amazon, la cui etica e moralità è episodicamente legata alla mission del fondatore.
Ecco il punto. Stiamo, giorno dopo giorno, perdendo il controllo non solo sulla nostra libertà di spostamento in anonimato, ma anche sulla nostra parola che potrebbe essere selezionata, promossa o marginalizzata da algoritmi che non hanno finalità sociali e democratiche. Le opinioni dominanti potrebbero essere tali perché indotte e non perché condivise davvero (pensiamo all’uso dei bot di alcuni partiti politici). Chi ci dice che un post, un commento, un invito, una proposta anche romantica, sia filtrata o reindirizzata in qualche modo? Con che diritto può un algoritmo stabilire che @bellaefacile87 non è giusta per noi? O che nella bacheca dei miei amici compaiano non i miei commenti politici ma solo le foto delle vacanze?
Perché, di fatto, ciò accade nella comunicazione di massa. Le notizie, già oggi, sono filtrate nelle rassegne stampa dei maggiori motori di ricerca, che molto spesso ambiscono a diventare essi stessi giornali e sono con essi in competizione. Anche un esempio di italiana democrazia virtuale – o almeno presentato come tale – ovvero la piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle, nell’ultimo periodo è stato accusato di manipolare i risultati delle votazioni a vari livelli. Quindi, pur non puntando a delinquere, alcuni si stanno muovendo per opporsi a un futuro della rete che, da radioso e democratico, si sta trasformando nell’incubo di Blade Runner. E tutto nel silenzio generale. Ma finché ci resta un po’ di voce, abbiamo qualcosa da dire a riguardo?