Le mille luci di New York
Giulia Lake, veronese di origini americane, da molti anni si è trasferita nella Grande Mela. E ci racconta cosa significa vivere nel luogo più immortalato da cinema, musica e letteratura.
Giulia Lake, veronese di origini americane, da molti anni si è trasferita nella Grande Mela. E ci racconta cosa significa vivere nel luogo più immortalato da cinema, musica e letteratura.
Frank Sinatra e Liza Minnelli in una famosa canzone la descrivevano come “the city that never sleeps”: la città che non dorme mai. New York è certamente questo, ma anche molto altro. È soprattutto la città delle mille opportunità, che incarna più di tutte il luogo dove realizzare il mitico “sogno americano”. E dove non a caso, nei decenni a cavallo fra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900, sono sbarcati milioni e milioni di immigrati da tutto il mondo per creare un crogiolo di razze che non ha eguali nella storia dell’umanità.
Oggi a renderla famosa sono soprattutto le luci di Times Square, i musical di Broadway, la frenesia di Wall Street, l’austera certezza della Statua della Libertà, la magia dei tanti grattacieli che fanno a gara a chi è più alto e luminoso, la Fifth Avenue e i suoi negozi eleganti, l’atmosfera un po’ hippie e un po’ bohemienne del Greenvich Village o quella alla moda di Soho, che rappresentano soltanto alcuni dei luoghi di culto di questa città di oltre otto milioni di abitanti. Colpita al cuore dall’attentato alle Torri Gemelle nel 2001, ha saputo in questo quasi ventennio rialzarsi e tornare ancora più scintillante di prima. Protagonista di centinaia di film, canzoni, libri e fotografie, la città del sindaco De Blasio è probabilmente, nell’immaginario comune, quella che più di tutte, al mondo, accende la fantasia dei giovani.
Sono molti, infatti, a desiderare di trasferirsi un giorno nella Grande Mela. Sono pochissimi, in realtà, coloro che ci riescono. Fra questi c’è anche la veronese Giulia Lake.
Con una laurea in Lingue e Letterature Straniere conseguita all’Università degli Studi di Verona, Giulia in riva all’Adige ha lavorato per un anno per una nota multinazionale farmaceutica, con un contratto a termine e scarse prospettive di assunzione. Nel frattempo, però, prendeva forma l’idea di fare un’esperienza all’estero, per conoscere nuove realtà e ripartire da zero in nuovi contesti. E così alla scadenza del contratto, nell’ottobre 2007 all’età di 28 anni, Giulia parte per New York. «Mia cugina al tempo viveva già nella Grande Mela e mi ha ospitato per un paio di settimane: il tempo necessario per trovare una casa e un lavoro» racconta la Lake, aiutata senza dubbio nella sua avventura dall’avere la doppia cittadinanza: italiana e americana. D’altronde ottenere i permessi per poter risiedere negli Stati Uniti oggi è veramente difficile. Le leggi americane sull’immigrazione sono diventate particolarmente severe e i visti per poter entrare in territorio a stelle e strisce si limitano a motivi di studio o turismo e durano pochi mesi. A meno che non si riesca a dimostrare di avere già un lavoro. «Per trovare un impiego a suo tempo mi sono rivolta alle offerte che si trovano su vari siti internet, come Monster, Careerbuilder e Craigslist. Ho fatto una dozzina di colloqui con alcune agenzie prima di riuscire a trovare un posto presso la Colgate».
Il curriculum, negli States, è come in molti altri luoghi al mondo la base necessaria, se Giulia non avesse avuto un background come admin assistant in una multinazionale sarebbe stato quasi impossibile per lei trovare un lavoro in una ditta. «Diciamo che una persona senza conoscenze deve avere un ottimo curriculum oppure farsene uno con stage, lavori occasionali e via dicendo», spiega la ragazza veronese.
«Tante persone vanno alla NY University non perché la scuola sia nettamente superiore alle altre, ma perché offre le migliori opportunità di networking. Una volta ottenuto il lavoro, però, non è finita, qui bisogna dimostrare di valere e se non si produce si viene licenziati senza tanti scrupoli. Il lavoro e’ molto mobile e difficilmente si rimane più di due anni nella stessa posizione». Al contrario di quanto avviene in Italia, dove, pur di mantenere il posto di lavoro, ci si adatta a subire situazioni lavorative spesso non entusiasmanti. La capacità di rigenerarsi è, invece, molto radicata nella mentalità americana per cui perdere il lavoro non rappresenta un dramma, perché si è consapevoli che si creeranno presto nuove opportunità. «Essere lasciati a casa è un’esperienza che quasi tutti provano, almeno una volta nella vita qui negli Stati Uniti», afferma Giulia.
La quale, nel 2010, decide di cambiare ancora professione e iniziare a lavorare per una ditta italiana come interior designer, mestiere che porta avanti per alcuni anni. Tuttavia nel dinamico mondo statunitense non ci può di certo fermare qui e, infatti, nel 2016 Giulia partecipa a un bootcamp di tre mesi per diventare software developer (sviluppatrice di software) e dopo un anno e mezzo da free lance viene assunta in un’azienda dove lavora ancora oggi. In realtà, non sa ancora cosa le riserverà il futuro, in un settore estremamente vitale come quello americano, in generale, e newyorkese, in particolare.
Anche l’alloggio non è un problema da poco nella città dalle “mille luci”. I costi esorbitanti di Manhattan inducono i suoi abitanti a vivere spesso in appartamenti minuscoli o ad allontanarsi dall’isola per rifugiarsi negli altri quartieri della città i quali, grazie alla costante opera di riqualificazione che i sindaci che si sono succeduti negli anni hanno operato, stanno poco a poco diventando le nuove zone residenziali: Harlem, Brooklyn, lo stesso Bronx non hanno più quella cattiva fama di un tempo. Anzi. Pur essendoci ancora un certo livello di criminalità, molto è cambiato dagli anni Ottanta, quando New York era considerata una delle città più pericolose del mondo.
La sicurezza è diventata un must fondamentale e oggi si può dire che New York è diventata, non solo in pieno centro, particolarmente vivibile e tranquilla. «Dopo aver vissuto diversi anni a Brooklyn, in una zona che si chiama Park Slope, vicina al grande Prospect Park, oggi vivo a Manhattan», spiega Giulia. «In generale a NY e’ difficile mettere radici: la gente va e viene, si cambia spesso casa e lavoro e da un momento all’altro tutto quello che avevi attorno prima diventa difficilmente raggiungibile: colleghi, amici, attività sportive e culturali, posti familiari». Come sempre, in questi casi, legare con altri italiani diventa quasi inevitabile. «Ce ne sono tanti ed è bello condividere le esperienze. Ma attualmente sono solo una frazione del mio giro di amicizie. A New York si conosce gente da tutto il pianeta».
D’altronde New York è New York, una città elettrizzante, piena di energia, che ti scuote e ti porta al centro del mondo. Qualsiasi sia la tua provenienza. «Quando metti il piede fuori dall’aereo senti subito la spinta che ti da la città», racconta infatti Giulia. «Hai voglia di darti da fare, di esplorare, di interagire, di raggiungere un obiettivo. Ho notato che in Italia ero più indolente e tendente all’autocommiserazione. Qui sono più pratica e attiva. E poi ovviamente qui è facile fare esperienze culturali di tutti i tipi: qualunque cosa ti appassioni nella vita, qui puoi trovarlo, in quantità e qualità incredibili». Certo, non è tutto oro ciò che luccica.
Anche la città più bella può avere i suoi lati negativi. In questo caso il più evidente è quello della sporcizia: «Non ho mai visto tanti topi, ratti e scarafaggi da quando mi sono trasferita qui», racconta la quarantenne italo-americana. «Ma al di là di questo i newyorkesi sono particolari, molto attenti all’educazione: se chiedi un’informazione si fanno in quattro per spiegarti la strada, se appena uno ti sfiora per sbaglio camminando ti chiede subito scusa, se devi passare ti tengono aperta la porta, se ti dimentichi di essere educato vieni redarguito apertamente. Un giorno ho lasciato il mio portafoglio in taxi e il tassista è venuto a bussare alla porta di casa per restituirmelo, con tutti i soldi dentro. All’ombra dell’Empire State Building, poi, tutti hanno un opinione su tutto: scrivere recensioni su ristoranti e spettacoli teatrali è una delle attività preferite dei cittadini di questa città, tanto che per me e’ diventato praticamente d’obbligo controllarli prima di fare qualsiasi cosa: dall’andare a mangiare in un ristorante a comprare anche soltanto un paio di scarpe».
Insomma, un’esperienza che per il momento si sta rivelando esaltante per Giulia. Pur con tutte le sue contraddizioni. D’altronde non stiamo parlando di una città normale. Come si diceva all’inizio, New York è la città dalle mille possibilità, con tutti i suoi pro e i suoi contro. «In generale ho sentimenti ambivalenti verso New York. La vista dal Top of the Rock (uno degli edifici più alti della città, ndr) è bellissima: vedi i grattacieli, le luci, il Central Park. Poi però pensi che è da pazzi vivere in un appartamento minuscolo in questo vespaio frenetico e maleodorante. Ma allo stesso tempo non posso neanche fare a meno di ritenermi fortunata a vivere a New York, perché non c’è nessun altro posto al mondo così intenso, vario e pieno di vita come questo».
Ma cosa manca della sua città, Verona, a Giulia? «La famiglia e gli amici più cari per prima cosa», afferma. «Ma anche la carne di cavallo, che adoro. E poi, naturalmente, la bellezza della città, anche se sono iscritta al gruppo su Facebook “La me bela Verona” che me la ricorda ogni giorno. Quello che invece non mi manca per nulla è l’aria inquinata della Pianura Padana e quella necessità di doversi conformare ed essere sempre tutti uguali tipica di molti veronesi, che poi si lamentano sempre di tutto ma non fanno mai nulla per cambiare davvero le cose».