Se le “scuse” rimuovono il razzismo
Sanam a Verona e Aboubakar a Roma sono stati pronti a denunciare atti di razzismo nei loro confronti e allo stesso tempo ad accettare le scuse.
Sanam a Verona e Aboubakar a Roma sono stati pronti a denunciare atti di razzismo nei loro confronti e allo stesso tempo ad accettare le scuse.
Il perdono è una vera virtù, soprattutto se arriva dopo denunce a sfondo xenofobo. «Non sono razzista. Ho usato parole forti solo per rabbia.» Così l’affittacamere di Borgo Venezia ha chiesto scusa all’attrice Sanam Naderi della compagnia “Cantieri Meticci” che il luglio scorso era stata aggredita per aver richiesto la ricevuta fiscale della locazione turistica dove aveva alloggiato con un collega. L’avevamo intervista a questo link. Nei giorni che sono seguiti alla denuncia, però, l’affittacamere si è fatto avanti per avanzare le sue parole di riconciliazione grazie anche alla mediazione della Ong progettomondo.mlal che aveva ospitato sul palco gli attori vittime di discriminazione durante la manifestazione “MA che estate” nel parco dei comboniani.
«Non bisogna mai e poi mai sottovalutare l’importanza delle parole e soprattutto il loro significato in ogni singola circostanza», scrive l’affittacamere veronese, di cui Sanam non ha mai fatto il nome per non metterlo alla gogna mediatica, individuando nella rabbia la colpa di un’eccessiva superficialità nell’utilizzo di parole forti che, pur senza volerlo, sono risuonate pregne di razzismo ai destinatari di origine straniera. L’insistenza di Sanam nel volere la ricevuta cartacea prima di andarsene, e la concomitante lamentela per un divano letto rotto, hanno fatto salire la tensione da cui, a detta dell’uomo, è scaturita «un’accesa discussione» sfociata purtroppo «in frasi e parole piuttosto forti». Il gestore, insieme a un collaboratore, «infastiditi e presi dalla rabbia» non avrebbero quindi dato molto peso alla forma di ciò che dicevano, «non pensando – ammette l’uomo – che Sanam e il suo collega, avrebbero potuto quasi certamente fraintendere in senso razzista».
Chiarisce il proprietario dell’alloggio: «Non ho mai avuto intenzioni razziste o discriminatorie nei confronti di Sanam e dei suoi compagni, piuttosto ho sbagliato a non pesare le mie parole, dimenticando che, verso chi proviene da Paesi sottoposti a pesanti processi migratori verso l’Italia, in questo particolare momento storico e politico serpeggia ingiustamente un clima di diffidenza e odio del quale tutti siamo vittime, direttamente e indirettamente. Grazie al confronto con Sanam mi è sempre più chiaro quanto l’utilizzo di certi termini ormai sdoganati non potrà mai essere accettato, e con ragione, da chi è straniero e desidera entrare a far parte della nostra società in modo civile e corretto».
«Sono contenta che il gestore dell’alloggio abbia capito di avermi ferita sia come individuo che come rappresentante di un’altra cultura e di un popolo straniero – dice Sanam che lavora nelle scuole proprio per contrastare la chiusura e gli stereotipi –. Non mi era mai successo prima di percepirmi tanto minacciata dalle parole e, dopo l’accaduto, mi sono sentita smarrita e vulnerabile per qualche giorno. Il ricordo di quella domenica mattina e tutto quello che è avvenuto dopo di certo mi accompagneranno per sempre, soprattutto perché da questo episodio mi sono resa conto dell’importanza del dialogo. Per me il razzismo accade quando la comunicazione e il dialogo vengono interrotti. Quando, urlando con parole forti, si spaventa e si cerca di mettere con le spalle al muro l’interlocutore che si ha di fronte, pronunciando stereotipi di ogni genere. Le violazioni verbali non lasciano tracce visibili ma, per chi le riceve, sono forti tanto quanto un pugno in faccia.» E conclude: «Non so se la persona che ci ha affittato la stanza sia tornata sui suoi passi solo perché intimorita dalla denuncia, ma anche se fosse così questo non farebbe che rafforzare la mia soddisfazione nell’aver trovato il coraggio di denunciare e invito tutti a non rimanere in silenzio quando subiscono atti intimidatori. Nei prossimi giorni andrò a ritirare la denuncia con la speranza di riuscire ad applicare ogni giorno di più, in diversi contesti, l’arte del dialogo».
Il chiedere “scusa” dopo pesanti azioni ed espressioni razziste sembra diventata una prassi in Italia negli ultimi tempi. Come lo scorso 9 ottobre, a Roma, quando un tassista si è rifiutato di far sedere sui sedili posteriori Aboubakar Soumahoro, sindacalista nero, costretto a salire davanti oppure rimanere a piedi. Dopo la denuncia del giovane, è lo stesso Soumahoro tre giorni fa a pubblicare una foto sorridente di lui e del tassista la cui azione è stata prontamente denunciata sui social network. «Lui è Stefano – scrive Aboubakar su Facebook – il tassista che giorni fa mi ha impedito di salire sul suo taxi. Oggi ci siamo incontrati e mi ha chiesto scusa. Scuse che ho accettato: Il perdono è una virtù che va esercitata perché libera l’anima e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza.»
Sanam a Verona e Aboubakar a Roma sono stati pronti a denunciare e allo stesso tempo ad accettare le scuse. Scuse ad alta voce, perché per la maggioranza delle persone che non denuncia – alla polizia o sui canali social – non c’è la possibilità di mediazione e comprensione.