La cura alla pareggite
In questo inizio di stagione il Chievo, pur al cospetto di buone prestazioni, fatica a trovare la via della vittoria
In questo inizio di stagione il Chievo, pur al cospetto di buone prestazioni, fatica a trovare la via della vittoria
Negli anni Ottanta l’avrebbero chiamata “pareggite”. Nella stagione di A 1982/83 l’Udinese di risultati in parità ne incasellò addirittura venti su trenta partite. Altri tempi: l’influenza da X in schedina all’epoca non era affatto sgradita. Nel calcio dei tre punti invece alla lunga provoca stress. Anzi, per chi affronta le avversarie con lo scopo di fare bottino pieno è una specie di iattura.
Prendiamo il Chievo, ad esempio. Per quanto nelle previsioni fosse implicito dover soffrire per superare Pisa, Salernitana e Pordenone, insidiose neopromosse o ripescate, la vittoria è sempre apparsa nelle corde dei gialloblù. Che sul campo, per approccio e gestione tattica delle gare, analogamente a quelle precedenti contro Perugia ed Empoli, oltre per superiorità tecnica, almeno ai punti avrebbero meritato o comunque hanno avuto sempre la chance di conquistare l’intera posta dominando le avversarie per larghi tratti. Il calcio, però, non è la boxe, sport in cui, in assenza del colpo da kappaò si consultano i punti sul cartellino dei giudici. Nel gioco del pallone notoriamente si contano dai gol realizzati. Ed è questo l’unico limite realistico di questa prima parte di stagione evidenziato dalla squadra di Marcolini. Un undici che sa giocare al calcio, ha qualità, è organizzato, ma che alla fine produce troppo poco. Non certo in termini di opportunità per segnare, sia chiaro. Le occasioni non mancano. È il tasso di conversione in gol che invece registra percentuali troppo modeste.
L’ennesimo pari, il terzo consecutivo, al momento impedisce di fare il tanto atteso salto in classifica. Peccato, perché il lavoro tattico ne risulta penalizzato. Il Chievo sa far girare la palla, ama le verticalizzazioni improvvise, cerca soluzioni nobilitando le sovrapposizioni sulle linee esterne. In questa prima fase di stagione si è fatta apprezzare la corsia di destra: Dickmann si sta rivelando un ottimo acquisto sia in fase di spinta che copertura, al pari di Segre, autore di prestazioni sopra la media per dinamismo e personalità. Vignato si sta ritagliando un ruolo importante. Le punte lottano: hanno nelle corde qualità tecniche e giocate che possono far male a chiunque. Il problema semmai è che non concretizzano abbastanza.
Come in altre occasioni, mentre la palla girava alla ricerca di una soluzione vincente, i trenta minuti con due uomini in più contro la formazione di Tesser sono trascorsi senza che i gialloblù siano riusciti a buttarla dentro. Alla fine sono restati col cerino in mano: una decina di tiri verso la porta di Di Gregorio non sono bastati a ribaltare il punteggio.
Il numero di opportunità, tra cui alcune clamorose, avute da Djordjeviċ e soci in queste prime sei giornate di campionato suffraga il pensiero che il problema della formazione di Marcolini non sia certamente tattico. Per quanto possano influire sull’esito di una partita, l’assenza di due giocatori del calibro di Obi e Giaccherini non ha ridotto la linearità delle trame e la capacità di portare gli attaccanti a battere a rete in maniera pulita. Se è vero che là dietro, per quanto raramente, accadono saltuari blackout, il gioco della palla prevede che a conquistare l’intera posta sia chi di reti ne segna più dell’avversaria. Ed proprio su questo piano che l’analisi empirica delle prestazioni del Chievo induce a pensare che la “pareggite” sia causata principalmente dalla carenza di istinto killer dei propri interpreti in fase offensiva.