No ai medici non ancora specializzati negli ospedali
Carlo Rugiu, presidente dell'OMCeO di Verona, è critico sulla possibilità per gli ospedali veneti di reclutare medici neolaureati non ancora specializzati
«L’assunzione di 500 medici neolaureati, abilitati ma non specializzati, rischia di svuotare ulteriormente gli ospedali pubblici veneti e veronesi, già strozzati dalla carenza di camici bianchi. Questo perché i medici strutturati, schiacciati da carichi di lavoro sempre in aumento, trovandosi ad assolvere anche la funzione di “tutor” senza nulla in cambio potrebbero darsi alla fuga verso l’estero o verso il privato. Il risultato che temiano è l’abbassamento del livello di assistenza».
È quanto solleva il dottor Carlo Rugiu, presidente dell’Ordine dei Medici chirurghi e Odontoiatri di Verona, in riferimento alle delibere della Regione Veneto che danno il via libera all’assunzione con contratti autonomi di 500 giovani medici – laureati e abilitati, ma non ancora in possesso della specializzazione – che frequenteranno un corso di formazione teorico e pratico al termine del quale, con il tutoraggio di colleghi strutturati, verranno introdotti al lavoro nei Pronto Soccorso, nella Medicina generale e nelle corsie della Geriatria. «Questi provvedimenti mi hanno colto di sorpresa», commenta Rugiu. «Mi stupisce che una decisione così cruciale per il nostro Sistema sanitario regionale e per la salute dei cittadini sia stata presa senza confrontarsi con gli Ordini dei Medici, che sono un organo sussidiario dello Stato, né con le Università di Padova e Verona alle quali spetta la formazione dei giovani e la specializzazione dei neolaureati».
Pur essendo ben preparati, specifica il presidente dell’OMCeO di Verona, i camici bianchi freschi di abilitazione «non vanno mandati allo sbaraglio in settori sensibili come i Pronto soccorso, la Geriatria e la Medicina di famiglia, tanto meno con contratti di lavoro da precari. Premesso che un corso teorico e pratico di 92 ore non ha nulla a che vedere con le Scuole di specialità (che durano da quattro a sei anni) né con la Scuola di formazione in Medicina generale (di tre anni), le quali prevedono ben poche lezioni frontali e molta pratica in laboratorio e in corsia, se questa manovra dovesse essere messa a regime, c’è il rischio che ogni regione formi in maniera diversa i propri specialisti. Ciò non farebbe altro che aumentare ulteriormente il divario in termini di qualità dei servizi ed efficienza». Come l’Ordine dei Medici di Verona ha ribadito più volte nel corso degli anni, «non è di medici che si sente la mancanza, ma di specialisti. Va colmato il gap tra il numero dei laureati e i contratti di specializzazione, attuando una programmazione rapida che renda più attrattivi gli ospedali pubblici, un tempo il punto di arrivo nella carriera di un giovane medico».