Woodstock, i 50 anni di un mito
Il 15 agosto 1969 iniziava a Woodstock, negli Stati Uniti, il festival che ha segnato piĆ¹ di una generazione. A cinquant'anni di distanza il mito rimane ancora vivo. O no?

Il 15 agosto 1969 iniziava a Woodstock, negli Stati Uniti, il festival che ha segnato piĆ¹ di una generazione. A cinquant'anni di distanza il mito rimane ancora vivo. O no?
Ā«Riesco sempre a capire chi c’ĆØ stato veramente: se uno mi dice che ĆØ stato fantastico, allora vuol dire che ha visto il film e non ĆØ stato al concerto.Ā» Queste semplici parole di Barry Milton della band Country Joe and the Fish, una delle molte che si esibƬ sul palco del mitico festival di Woodstock, potrebbero esprimere la migliore sintesi fra mito e realtĆ di quell’evento che tra il 15 e il 18 agosto di 50 anni fa lasciĆ² un segno indelebile non solo nella storia della musica rock ma anche in quella di tutta la cultura popolare occidentale.
Sul piano mitologico, il film (capolavoro) e il disco (pure molto bello) consacrarono Woodstock come l’archetipo del grande festival rock e la piĆ¹ grandiosa esibizione della controcultura hippie. Ma sul piano storico, le testimonianze sincere parlano di un puro e semplice disastro.
Lāevento era stato messo in piedi da due giovani intraprendenti ā uno lavorava in finanza e lāaltro era fresco dagli studi in legge ā i quali potevano vantare come unica esperienza nel settore quella della gestione di uno studio di registrazione a Miami. Inizialmente avevano programmato il tutto pensando di utilizzare 4 ettari di campagna nella localitĆ di nome Woodstock, donde il nome al festival in bella mostra sui manifesti e nelle inserzioni pubblicitarie. Prima dellāestate, perĆ², si erano resi conto che il posto non era sufficientemente capiente, ed avevano riorganizzato il tutto in una location piĆ¹ ampia, in una localitĆ di nome Wallkill. Durante lāestate, perĆ², i residenti di Wallkill avevano maturato una sacrosanta preoccupazione rispetto al caos che si sarebbe abbattuto nei paraggi del festival, e si erano mobilitati fino ad ottenere che lāamministrazione comunale vietasse lāevento. Fu cosƬ che il festival dovette essere ricollocato nuovamente, in extremis. A Wallkill era giĆ stato speso mezzo milione di dollari per allestire strutture che andarono letteralmente buttate. Lāunico posto che gli organizzatori riuscirono a trovare, alla disperata, furono i pascoli di una fattoria vicino alla cittadina di Bethel. Tre giorni prima del concerto, capirono di dover scegliere fra il montaggio del palco e quello delle recinzioni: non sarebbe stato possibile allestire entrambi. Optarono per il palco.
Alla fine, si calcola che le persone che si misero in auto per andare al concerto furono circa un milione. Gli organizzatori ne avevano preventivate 50mila. Molti non avevano il biglietto. Lungo la strada che portava al sito si formĆ², e rimase lƬ fissa per tutti i tre giorni del festival, una coda di auto ferme lunga quasi 20 chilometri. Circa la metĆ di quelle persone a un certo punto rinunciarono e tornarono indietro; ma circa altrettante ā quindi suppergiĆ¹ mezzo milione āraggiunsero il posto e andarono a formare una massa infernale di spettatori talmente imprevista che l’organizzazione riuscƬ a far pagare il biglietto solo il primo giorno, mentre la mattina del secondo giorno, vista la moltitudine che si stava riversando sui prati in assenza di recinzioni, venne annunciato dal palco che da quel momento in poi il festival diveniva “free entry”. Gli artisti dovettero essere portati in elicottero perchĆ© su strada il posto era divenuto irraggiungibile.
Ci si mise poi la sfortuna, aggiungendo due giorni di pioggia temporalesca fissa che tramutarono il raduno in un mostruoso bagno di fango. Non c’erano servizi igienici e terminĆ² il cibo, sicchĆ© centinaia di migliaia di persone nude o seminude si ritrovarono immerse nel fango e nelle feci e piĆ¹ o meno digiune, consolate solo dalla facilitĆ nel reperire droghe di ogni tipo, per lo piĆ¹ di bassissima qualitĆ , il che presumibilmente evitĆ² che la situazione degenerasse in una rivolta. Non erano stati organizzati corridoi per spostarsi allāinterno dellāarea del festival, per cui lāunico modo per spostarsi ā ad esempio per fare pipƬ o per vomitare ā era sgomitare, altrimenti toccava arrangiarsi sul posto. Anche l’audio del concerto era pessimo, in parte a causa della distesa di spettatori dieci volte piĆ¹ vasta di quella preventivata, ma soprattutto per via della pioggia che aveva danneggiato l’impianto.
Inoltre gli orari delle esibizioni saltarono completamente: ogni arista finƬ per salire sul palco in modo completamente casuale, dopo ore ed ore di snervante attesa in un backstage nel quale pare non si trovasse nulla da mangiare e da bere che non fosse contaminato dallāLSD (Il cantante degli Who Roger Daltrey nella sua autobiografia descrive succintamente la qualitĆ del suono come āuna merdaā, e racconta che a un certo punto, disperato, da buon inglese si fece un the, ma ben presto si rese conto che pure la bustina era contaminata dallāacido, con il che si fece un trip involontario giusto prima di esibirsi). I Grateful Dead consideravano la loro esibizione a Woodstock una delle peggiori di tutta la loro carriera. I Jefferson Airplane cominciarono a suonare alle sei e mezza del mattino, dando una singolare āsveglia da campoā a una massa di gente addormentata. E quella che in molti (compreso chi scrive) considerano di gran lunga la piĆ¹ emozionante fra le molte esibizioni di quel festival, ossia quella di Jimi Hendrix che su sua richiesta era stata programmata come conclusiva, finƬ per tenersi nel mattino del quarto giorno (di un festival che in teoria ne sarebbe dovuto durare solo tre), davanti ad uno sparuto pubblico di eroici superstiti, mentre il grosso degli spettatori era giĆ in viaggio verso casa.
A proposito della performance di Hendrix: anche la mitizzazione di quel particolare momento rappresenta un caso emblematico di percezione deviata. Quante volte avete letto o sentito dire che la sua celeberrima esecuzione dell’inno nazionale americano con la chitarra distorta fino a degenerare in rumore era una deliberata allusione ai bombardamenti in Vietnam e quindi una provocazione apertamente pacifista? LƬ per lƬ il fraintendimento era abbastanza naturale, vista la cornice “hippie” dell’evento e le dichiarazioni contro la guerra da parte di piĆ¹ d’uno degli artisti che si erano avvicendati su quel palco nei tre giorni precedenti; ma di lƬ a breve l’equivoco, a volersi informare, sarebbe stato rapidamente chiarito. Meno di un mese dopo, il 9 settembre 1969 Hendrix viene intervistato nel Dick Cavett Show, una trasmissione televisiva che andava in onda sulla ABC. Il conduttore definisce “eterodossa” la sua interpretazione dell’inno nazionale, e lui reagisce quasi risentito: “quello che ho fatto ĆØ stato suonarlo, sono americano e l’ho suonato. L’interpretazione non era eterodossa, ho solo pensato che fosse bella cosƬ”. Sempre nel 1969, in Inghilterra, Hendrix verrĆ intervistato sul tema della guerra in Vietnam, e dichiarerĆ ā lui che aveva prestato servizio presso la 101esima divisione aviotrasportata, i mitici “Screaming Eagles” di stanza in Kentucky ā: Ā«Avete mandato via gli americani quando sono sbarcati in Normandia? Anche in quel caso si trattava di interferenza. No, perchĆ© quella volta si trattava della vostra pelle. Gli americani stanno combattendo in Vietnam per un mondo completamente libero. Non appena se ne andranno, quella gente sarĆ alla mercĆ© dei comunisti. Per questo motivo il pericolo giallo non deve essere sottovalutato. Ovviamente la guerra ĆØ una cosa orribile, ma al momento ĆØ ancora l’unico modo per mantenere la paceĀ».
Eppure ancora oggi, a distanza di mezzo secolo, capita di leggere che i sibili della Stratocaster bianca di Hendrix volevano essere Ā«una dura metafora contro la guerra del VietnamĀ» (https://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/l-inno-di-hendrix-da-woodstock-a-rainbow-bridge/165070/163561), con la quale il chitarrista Ā«aveva rivelato in tre minuti di musica l’orrore della guerra in Vietnam piĆ¹ di qualunque discorso, corteo o mozione d’ordineĀ» (https://www.democratica.com/europaquotidiano/jimi-hendrix-un-inno-allamerica/). Parliamo tanto di predominio della cosiddetta “narrazione” rispetto alla realtĆ fattuale, come fenomeno peculiare della situazione attuale tanto legata al web e ai social network; ma forse in fondo si tratta solo della piĆ¹ recente evoluzione di un meccanismo molto piĆ¹ antico. Ā