Il caso Monfalcone e la schedatura dei "prof"
I fatti di cronaca di Monfalcone ci interrogano sul rapporto tra libertà d'insegnamento e il consueto conflitto politico
I fatti di cronaca di Monfalcone ci interrogano sul rapporto tra libertà d'insegnamento e il consueto conflitto politico
I fatti di Monfalcone ci interrogano sul senso dell’istruzione.
«Socrate è colpevole di non riconoscere come Dei quelli tradizionali della città, ma di introdurre divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani. Pena: la morte» (Diogene Laerzio, Vita e dottrine dei filosofi). Questa è l’accusa che porterà alla condanna a morte del filosofo nella democratica Atene nel 399 a. C.
Chissà se la sindaca leghista di Monfalcone, Anna Maria Cisint, condannerà a morte tramite cicuta gli insegnanti non allineati alla sua linea politica e colpevoli di criticare in classe le sue ordinanze. Soprattutto, pericolosi perché «Con le loro ideologie, avvelenano i giovani, osteggiando apertamente le scelte democratiche che gli italiani stanno manifestando verso gli amministratori della Lega». Principio interessante: si è democratici se non si critica chi vince le elezioni. Chissà se la pensava così anche con le amministrazioni di colori diversi.
In ogni caso, un sindaco coerente che ha deciso di eliminare dalla biblioteca pubblica – tanto per cominciare – i quotidiani come “Il Manifesto” e il sovversivo antagonista “Avvenire” perché, come diceva il gerarca nazista J. Goebbels, «quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola». Ma, lasciando perdere visioni politiche oggi maggioritarie nell’inverno del nostro scontento, la questione posta dagli atti della sindaca è interessante. Può un docente fare politica in classe?
Ne parlavamo in un articolo tempo fa. I dati tratteggiano un panorama netto: i livelli di istruzione sono in calo, la capacità di comprensione crolla specie al sud, la scuola diventa parcheggio in attesa di un lavoro che non c’è. I docenti, da portatori di sapere ed educatori, sono diventati mangiapane a tradimento con privilegi scandalosi, da picchiare di tanto in tanto, a memento. Adesso, sono addirittura una sacca di socialismo reale. Nel trattare l’istruzione la Costituzione italiana, negli articoli 33 e 34, è generosa nei diritti ma omette qualsiasi cenno ai contenuti e agli indirizzi. I fu programmi trattavano i soli contenuti. Qualche docente, però, si pone la questione, anche perché gli alunni in classe spesso chiedono il confronto su questi temi. Ma deve stare attento, perché già nel 2011 col Governo Berlusconi si era posto il tema, proponendo la sospensione per i docenti che avessero fatto propaganda politica e ideologica, faccenda che la professoressa Rosa Maria Dell’Aria, a Palermo, conosce molto bene. Dal canto suo, l’omniministro Salvini, non molto tempo fa, sognava una scuola con docenti lontani dalla politica, specie quando non in linea col pensiero leghista.
Un docente può o no fare politica in classe? La questione non è semplice. Proviamo però a ragionarci. Tempo fa, su “Il Mattino di Padova”, viene pubblicata una lettera aperta di una professoressa; tra i punti interessanti, si segnala questo, in particolare: «L’insegnante esercita le sue funzioni nel rispetto di un’etica professionale. Ai fini dell’esercizio della funzione docente è garantita – dalla Costituzione – la libertà di insegnamento e di scelta del metodo. Tale libertà serve lo scopo di formare gli studenti e le studentesse in quanto cittadini e cittadine della Repubblica Italiana. Fondamentale a tale processo è la costruzione del pensiero critico. All’insegnante interessa che lo studente e la studentessa abbiano gli strumenti per costruirsi autonomamente le proprie idee, non cosa pensano.”
Ecco dunque il nodo. Se il docente è un dipendente dallo Stato e ne deve, pertanto, condividere e diffondere i principi tra i futuri cittadini, può esprimere idee non antifasciste in presenza di una Costituzione antifascista? Pare di no. Ma, allora, può un docente – che condivide i principi antifascisti dello Stato che rappresenta – non divulgarli ai suoi alunni, anche se la famiglia ha opinioni diverse o il Governo ha altro orientamento? Con questa Costituzione, di fatto, se un docente non proponesse principi antifascisti sarebbe un dipendente pubblico infedele, visto il giuramento al punto 2: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi, di adempiere ai doveri del mio ufficio nell’interesse dell’Amministrazione e dei cittadini per il pubblico bene».
Oggi, la pubblica opinione pare chiedere che i docenti non influenzino politicamente i loro figli. Ed è giusto. Il docente non deve fare dichiarazioni politiche o propaganda (se non chiarendo che sono opinioni strettamente personali): deve, invece, stimolare la riflessione sulle domande, dando tutti gli elementi e gli strumenti possibili. Tuttavia, non può nemmeno ignorare il suo dovere di attenersi alla Costituzione e alle leggi dello Stato, dovere peraltro di tutti i cittadini, familiari dei pargoli compresi. E se, per esempio, la legge Mancino (25 giugno 1993, n. 205) sanziona determinate idee e comportamenti, il docente non può far finta di niente.
Qui sta in effetti il dilemma dei tempi di oggi, anche per la scuola. Ci troviamo di fronte a una società in cui l’homo economicus ha fagocitato il cittadino, diventato nel cittadino-consumatore già ai tempi di Bersani dal 2007. Il paradigma costituzionale, che metteva al centro la comunità di cittadini, è ora stravolto dalla prevalenza dell’individuo consumatore. L’idea di comunità non è più legante ma escludente. E, in questo, una classe di docenti formata negli anni Settanta e Ottanta si ritrova una realtà mutata e ostile, che non riconosce maestri ma solo uomini della provvidenza.
Concludendo, male fanno i docenti a criticare in classe di nascosto le ordinanze del sindaco. Però, se ritengono quei temi rilevanti per un costruire un cittadino consapevole, sarebbe per loro eticamente e deontologicamente obbligatorio aprire un dibattito nel perimetro costituzionale in classe, su quei temi. Chiarendo, nel contempo, non la propria opinione ma cosa lo Stato stabilisce come corretto.
Perché – e questo è un ulteriore tema da approfondire – se la Costituzione non esprime più il sentire del suo popolo, va modificata, eliminando per esempio la sacca di socialismo reale dell’art. 1 , ovvero quell’essere fondata fondata sul lavoro o quell’insistere, oggi fuori moda, sull’uguaglianza. Nessuno scandalo: ogni Costituzione è figlia dei suoi tempi, e i tempi cambiano. Nel frattempo, tuttavia, non si può chiedere ai docenti di non adempiere ai doveri del loro incarico, che non è sobillare nell’ombra, ma rivendicare senza faziosità il dovere di costruire il futuro cittadino italiano e non un tecnico abile ma ideologicamente ed eticamente vuoto.