Vienna, una metropoli per tutte le stagioni
Una settimana da flaneur nella città di Cecco Beppe.
Una settimana da flaneur nella città di Cecco Beppe.
Come tutti i nerd alla “Big Bang Theory” sanno, il gioco di ruolo storico M.E.R.P. (https://it.wikipedia.org/wiki/Girsa), ambientato nel mondo fantasy tolkeniano, vedeva un modulo di gioco ambientato a Dol Amorth (http://www.enciclopediagdr.com/assassini-a-dol-amroth/), la città del taglieggio. Una città bellissima, a sud di Gondor, crocevia di culture e ricolma di bellezze, ma in cui la popolazione mercantile vessava spietatamente gli incauti visitatori.
E Vienna una città bellissima lo è. Architettonicamente: una serie di palazzi meravigliosi e puliti, in mezzo ai quali si nascondono le sorprese delle opere di Otto Wagner e del modernismo viennese (qui detto Jugenstil). Una città austera e grandiosa, nella quale si armonizzano palazzi simboli del glorioso passato di Maria Teresa ed eredi, variazioni contemporanee che non hanno esitazione a innovare, conservando, scenari antropizzati seriosi e, qui e là, cinema porno, locali e autobus rosa che offrono al turista meno tradizionale intrattenimenti ambigui, sudati e dall’aria costosa.
Una città ricca di tesori. Architettonici, come visto, ma anche culturali: il Kunsthistorisches Museum, allestito in uno splendido palazzo (con uno dei primi lavori giovanili di Gustav Klimt) e una collezione superba. Amplissima: Egitto, Grecia arcaica e antica, Impero Romano; pittura italiana, spagnola, olandese: a riprova che per la bellezza, non bastanti alla vita le ragioni della pura forza, i germani abbiano bisogno della tanta vituperata cultura mediterranea dei pigs della UE. Il Palazzo delle Secessioni, con il fregio di Klimt. Il Belvedere, con la sua collezione. Il Leopold Museum, con Egon Schiele. Per le innamorate di Sissi, anche per colpa di Romy Schneider, lo Schönbrunn, il castello estivo sul modello di Versailles con un giardino e degli interni meravigliosamente rococò.
Una piazza, Stephanplatz, dominata da una cattedrale gotica collegata alla via della moda e del lusso, in cui i magnaschei o coloro che vogliono sembrarlo agli occhi invidiosi dei poveracci possono sfogare il loro bisogno di definirsi possedendo cose costose. Un caratteristico mercato non lontano da Karlplatz, che diventa la sera scenario di un grande luogo di incontro conviviale che, nell’attuale decadenza dell’idioma italico, trova forma nell’orripilante mostro bicefalo “apericena”.
Una città multiculturale. Non tanto per il turismo: chi oggi a Verona vede con sgomento l’aumento della componente non autoctona nella popolazione, a Vienna vedrà una commistione solida tra vari popoli, culture e, soprattutto, cibi. Un’umanità variegata che in macchina si ferma alle strisce pedonali. Che si muove tra metro, tram, bus e divide gli stessi spazi senza difficoltà, scontri e mugugni. E, pure, senza un sorriso gratuito, ognuno per sé e il Motore Immobile per tutti (se c’è), nella grigia indifferenza dell’esistere quotidiano. Certo, non è colpa di Vienna: la grandezza di una città è inversamente proporzionale alla possibilità di contatto umano sincero. Problemi d’altronde che già si riscontravano, con stupore, nella Roma Repubblicana dopo la presa di Corinto (146 a.C.), indispettita da una massa di immigrati greci colti ma infidi e che, soprattutto, tenevano fede solo a ciò che era stato messo per iscritto e bollato. L’austriaco medio, va detto, trasuda una quieta malinconia.
Ma dicevamo Dol Amorth. Oh giocatori della partita della vita, lanciate bene i vostri 2 dadi da 10 a Vienna. Perché Vienna è piena di gente, ma non di viennesi, che durante la giornata se ne stanno rintanati in agguato nell’ombra dei loro negozi col sorriso sul viso e il ferro dietro la schiena. Perché, se pure lo stipendio medio per un impiegato austriaco è di 2.000 euro (in Italia 1.600 euro), anche per lui si prospetta una dura battaglia quotidiana: 2,40 euro una corsa in metropolitana, 3 euro un caffè, 4,30 euro un cappuccino, 20 euro un museo qualsiasi e via di questo passo, tanto che viene da sospettare un doppio prezzario per i locali e i forestieri. Solo la birra media viaggia piuttosto stabilmente intorno ai 5 euro, probabilmente per non innescare rivoluzioni sociali. In più, sarà che li abbiamo sconfitti nella Prima guerra mondiale, sarà perché per colpa nostra hanno perso la Seconda, l’italiano qui è nelle insegne di tutti i ristoranti ma nessuna lo parla, mai; e anche l’inglese è spesso pessimo. E dire che di italiani ce ne sono, eccome!
Gli ineffabili austriaci, comunque, a dimostrazione di una continuità culturale con la Verona del quadrilatero di Radetzky, così come da noi con Giulietta e l’Arena, qui senza il bacio di Klimt, le palle di Mozart e Sissi non saprebbero cosa vendere come paccottiglia ai turisti. La reiterazione della stessa immagine su infiniti oggettini inutili diventa un mantra commerciale banalizzante e per questo avvilente e vincente.
Concludendo, Vienna è una città meravigliosa, da non perdere, sia chiaro. Andateci con occhio curioso, gambe volenterose (che ci sono infinite cose da vedere e gustare) pronti a lasciarci un pezzo di cuore e buona parte delle vostre sostanze. Che tanto, come la vita stessa, tutto passa e si perde in niente.
P.S. Avviso ai naviganti: la birra viennese è insapore.