Prosecco, ma c’è davvero da festeggiare?
Le colline dove si produce il celebre vino sono entrate nella lista dell'UNESCO. Ma siamo sicuri che sia davvero una buona notizia?
Le colline dove si produce il celebre vino sono entrate nella lista dell'UNESCO. Ma siamo sicuri che sia davvero una buona notizia?
Quando qualche giorno fa l’UNESCO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura che ha il compito di proteggere i beni culturali materiali e immateriali dell’umanità, ha inserito nella sua lista anche le colline del Prosecco Conegliano e del Valdobbiadene, dove si produce appunto il celebre vino, molta gente, in Veneto, ha esultato. In effetti, per chi produce questo secolare vino, è motivo di particolare orgoglio vedere la propria “fatica” entrare nientepopodimeno che nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, ci mancherebbe. E già il Prosecco è uno dei vini più venduti al mondo. Ora, ne siamo certi, lo sarà ancor di più. Tanto che c’è chi, in provincia di Verona, rilancia con l’Amarone, anch’esso, secondo alcuni, da inserire nella lista. Vedremo.
Rimanendo al Prosecco, la domanda che ci poniamo è: ma siamo davvero sicuri che questa sia una buona notizia? L’UNESCO con questo atto inizia a tutelare le zone del Prosecco, un territorio davvero unico al mondo nel suo genere, nato dai sedimenti del fiume Piave trasportati dall’erosione delle Dolomiti, che hanno creato queste colline meravigliose. Sono il terreno adatto alla produzione di vigneti perché è materiale particolarmente poroso. Fino a qualche decennio fa c’erano solo pochi contadini a produrre quel vino, ma negli ultimi anni, anche grazie alle politiche del governatore della Regione Veneto Luca Zaia, il fenomeno Prosecco è letteralmente esploso a livello mondiale. Zaia, in un epoca in cui l’Europa diceva banalmente che i formaggi sono semplicemente formaggi e i vini frizzanti sono semplicemente tutti vini frizzanti, ha tutelato il nome di questo prodotto con il marchio DOCG, ma tirando dentro il territorio di produzione – in maniera sicuramente un po’ abusiva – anche il Friuli Venezia Giulia, fino alla frazione vicina a Trieste denominata proprio Prosecco. Lo scopo era anche quello di potenziare le culture e sopperire all’enorme richiesta che nel frattempo stava montando.
L’UNESCO, ovviamente, protegge con il suo atto solo le colline, quelle dove viene prodotto il vino “in purezza”, secondo metodologie certificate, ma il resto del territorio (quello della pianura, per intenderci) pur fregiandosi dello stesso marchio, usa metodologie tutt’altro che controllate, con un utilizzo spesso smodato di pesticidi. E a questo proposito, chi produce sulle pregiate colline spesso si lamenta che, attraverso il vento e le piogge, i pesticidi arrivano anche nelle loro zone, contaminandole. Il terreno assorbe quegli stessi pesticidi e c’è persino chi sostiene che sia totalmente inquinato, fino alle falde acquifere.
La produzione di Prosecco negli ultimi anni, come dicevamo, è letteralmente esplosa. Chiunque abbia un minimo di terreno in quelle zone ha pensato bene di convertire la precedente destinazione in produzione di questo vino. Tra il 2000 e il 2016 l’espansione dei vigneti nell’area è quasi raddoppiata, passando da 4mila e 7mila ettari e i dati sono in costante crescita. Questa espansione è avvenuta, ovviamente a scapito di altre colture e, soprattutto, di aree naturali e seminaturali come boschi e superfici prative. Comprensibile, per certi aspetti, essendo questo del Prosecco un business particolarmente redditizio. Ma per la salute dei terreni (vittime di un’erosione costante e di uno sfruttamento esagerato) e soprattutto delle persone (diserbanti chimici, polifosfati, pesticidi e compagnia cantante) non risulta affatto una buona notizia. Non è un mistero che ci siano scuole nel territorio trevigiano, solo per fare un esempio, che sono a pochi metri da campi adibiti alla cultura dei vigneti e l’aria che respirano i bambini durante la ricreazione all’aperto è infettata dalle sostanze chimiche, che vengono spruzzate sulle culture per favorirne la crescita.
Se ne parlava anche nel bel film Finché c’è Prosecco c’è speranza, non a caso per nulla ben visto dal Consorzio del Prosecco, che infatti – al contrario di quanto si potesse pensare – non ha appoggiato la produzione del film (realizzato, fra l’altro, dai veronesi Nicola Fedrigoni e Valentina Zanella), che anzi, è stata persino ostacolata. Il film, portato coraggiosamente a termine dai produttori, è tratto dall’omonimo libro di Fulvio Ervas ed è un giallo ambientato proprio nelle zone che l’UNESCO in questi giorni ha reso note in tutto il mondo e a suo modo ha contribuito – anche grazie alla distribuzione internazionale – al recente risultato. Ebbene, uno dei personaggi, parlando con l’investigatore che si occupa del caso interpretato da Giuseppe Battiston, a un certo punto spiega: «Ecco vede? Vigneti, vigneti dappertutto. Qui, nei cimiteri i morti li seppelliscono in piedi, pur di non togliere terreno al Prosecco».
L’aspetto forse più curioso della vicenda è che la salute del suolo, secondo le Nazioni Unite, è fondamentale per contrastare i cambiamenti climatici, di cui tanto si parla oggi giorno. Ma in tutto il mondo l’agricoltura, in particolare quella convenzionale basata su monocolture, sta deteriorando il suolo accelerandone il processo di erosione. Le terre agricole più a rischio in Europa, specialmente nei Paesi del Mediterraneo, sono proprio quelle dove vengono coltivati i vigneti. L’Italia, in questo senso, non fa eccezione, anzi… i vigneti italiani sembrano mostrare il più alto tasso di erosione e nei vigneti dove viene coltivata l’uva per produrre il Prosecco il tasso medio di erosione del suolo è 31 volte superiore alla soglia di tolleranza di erosione stimata in Europa.
Quindi, tornando alla domanda iniziale, c’è davvero da festeggiare? Alla luce di quanto esposto fino a ora ci verrebbe ovviamente da rispondere che no, non c’è nulla da festeggiare, anzi. Il rischio notevole è che questo risultato porti addirittura a un ulteriore sfruttamento di quei terreni, con tutte le negative conseguenze del caso. Però… però… se l’UNESCO in qualche modo riuscirà a fare una vera azione di tutela di queste colline e a favorire, così, una produzione sana, biologica, rispettosa dell’ambiente e delle persone, allora si, alla lunga, potrà risultare una buona notizia. Un processo non semplice, di difficile attuazione, ne siamo consapevoli. Se ciò dovesse avvenire, però, sappiamo già quale bottiglia di vino stappare per festeggiare l’occasione.