Ogni tanto decidi di svecchiare casa. Ti liberi quindi di un tot di cose inutili e accumulate da tempo: il mappamondo portaliquori rifilatoti da tua zia, il set da fonduta regalo di sette Natali fa, vestiti che mettevi quando si guardavano ancora le videocassette ma che sai-mai-perché-comunque-le-righe-smagrano. Questa ovviamente è la parte facile, perché a. siamo tutti d’accordo che liberarsi di simili robacce, diversamente dal matrimonio dei Promessi Sposi, “s’ha da fare”, e la domanda vera è come mai non l’hai fatto prima, e b. basta impacchettare il tutto e fare un giretto in discarica o in un qualche centro di robe usate. Se sei particolarmente fortunato, trovi qualcuno cui le righe stanno meglio che a te e che pensa che la fonduta faccia tanto montanaro-chic e si accolla il set.
Più complicato è quando devi non solo buttare ma anche sostituire. La scrivania, tipo. Qualche mese fa ti eri stufata della precedente, avevi deciso che volevi una lastra di vetro piegato che fa tanto design minimal-chic, avevi fatto l’abitante 2.0+++ e comprato il tuo Santo Graal su internet: costava meno, era più comodo, ci voleva meno tempo. E poi comunque un pezzo di vetro piegato resta sempre un pezzo di vetro piegato, ti eri detta. Commettendo il primo errore della saga successivamente nota tra i tuoi conoscenti come “#LSdC[LaScrivaniadel*****]”. Del senno di poi comunque vabbé. All’epoca avevi ordinato e pagato. Tempo di consegna stimato: 3-5 settimane, lunghetto ma accettabile. Tanto nel frattempo c’avevi da buttare il mappamondo e le righe e da regalare il set da fonduta, sai mai che qualcuno lo voglia ora che è gennaio, ché ad agosto la fonduta magari tira un po’ meno.
Alla quinta settimana ti avvisano che la consegna è in ritardo. Pazienza, è fine febbraio e c’hai ancora da smerciare la roba per la fonduta. Alla settima chiedi informazioni. Ti rispondono che la merce non è ancora arrivata. Tu pensi che ogni tanto sarebbe bello sentirsi dire cose che non sai già, secondo un sillogismo declinabile come segue: se fosse arrivata non avresti scritto; se hai scritto è perché non è arrivata; se non è arrivata vuoi sapere se e quando il miracolo si compirà. Vero che il Graal i cavalieri se lo sono andati a cercare personalmente, e pure a lungo. Ma tu, diversamente da Lancillotto & co, hai pagato le spese di consegna, quindi erroneamente pensavi di non doverti munire di cavallo e scudo per andartelo a cercare. Quindi scrivi una roba che suona più o meno così: “sì, grazie, questo lo avevo un po’ intuito, ma mi piacerebbe avere una stima di quello che non avevo un po’ intuito, cioè i tempi previsti, se possibile” [gentile parafrasi del messaggio reale, ndr]. Ti rispondono che sarà nell’ordine di qualche settimana, ma che se vuoi puoi disdire l’ordine e farti rimborsare. Cosa che tu fai appunto nell’ordine di qualche settimana, quando ti è chiaro che se vuoi il tuo Graal ti tocca proprio proprio procacciartelo da te. Tipo comprandolo altrove.
Ché sei testarda. E poi ormai è una questione di principio. Tu lo vuoi, il tuo tessssssoro. Certo non ti renderà signora di Mordor e di tutte le terre conosciute. Però almeno ci potrai appoggiare il set da fonduta, che nel frattempo c’hai ancora sul groppone perché la moda primavera-estate va più verso il navy che verso il montanaro-chic. Stavolta sembra andare tutto liscio. Dopo tre settimane il corriere ti contatta. Fissate un appuntamento cui si presenta un tizio che ti scarica il tutto davanti al portone con un “glielo lascio qui eh, ‘sta roba pesa 80 chili e non posso portarla su da solo”. Tu strabuzzi gli occhi. Come dire. Se non può farlo lui, che è comunque un facchino, figurati tu. Tanto più che sono 80 chili non di Graal ma di pezzo di vetro piegato, materiale notoriamente non infrangibile. Quindi a. espliciti che hai pagato anche le spese, b. cerchi di impietosire il tizio – eviti solo l’accenno a una tua malattia terminale che ha già falciato qualunque familiare prossimo avesse potuto aiutarti, sai mai che il tutto porti sfortuna – e c. alla fine trovate un compromesso (dis)onorevole. Lo portate su insieme, il pezzo di vetro piegato. Con te che smadonni per le scale mentre lui, che è pur sempre un facchino, quanto a compostezza e stile sembra Lord Brummel redivivo.
Arrivati su, il facchino-dandy ti lascia il tutto in ingresso e se ne va, mentre tu realizzi che le rogne non sono finite: la scrivania è non solo imballata in strati multipli di plastica e polistirolo e cartone – è vetro del ***** e te l’hanno impacchettato tipo Tutankamon nel sarcofago –, ma è soprattutto imprigionata in una specie di armatura di legno inchiodata come neanche Dracula nella bara, giusto per continuare con la lista dei morti/non-morti poco amichevoli. Il che è un filo problematico. Non puoi smartellare l’armatura perché sotto c’è non un vampiro ma un pezzo di vetro piegato. E i chiodi col martello non si cavano: sono piantati così a fondo che piuttosto si spaccano, fornendoti una dimostrazione concreta del detto “mi spezzo ma non mi piego”. Tu a ‘sto punto smadonni come Lord Brummel-il-facchino-dandy non solo non ha mai fatto, ma forse neanche mai sentito, pensando che a. sempre detto che il Graal in fondo è sopravvalutato e b. in fondo mica c’aveva niente di male, la tua scrivania di prima.
P.S. L’hai poi scoperchiato il vampiro, eh. Un’amica ti ha prestato una sega, con cui hai appunto segato le barre di legno dell’impalcatura. Sempre smadonnando come Lord-Brummel-il-facchino-dandy ecc. ecc., con buona pace di tutti i cavalieri della Tavola rotonda.
Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, Canto I