Aspettavo questo momento dal lontano 1996 da quando dalla mia cameretta nella provincia friulana osservavo il mio piccolo mondo di bambina trasformarsi tragicamente in qualcosa che non ero ancora pronta ad affrontare – ma che col senno di poi in confronto a essere adulti, adesso, sembra una passeggiata – e cercavo il coraggio di esprimere me stessa in cinque ragazze inglesi che parlavano alla mia anima con frasi che solo lo “Zanichelli italiano-inglese” poteva tradurre.

Ventitré anni dopo ho fatto un regalo a quella tredicenne: l’ho portata a Wembley a vedere le Spice Girls. Probabilmente a 13 anni non avrei bevuto tre gin tonic nell’attesa, ma questi sono solo dettagli.

Con il mio fido compagno di viaggio, lo Spice Hero che è riuscito miracolosamente ad aggiudicarsi i biglietti, mi ritrovo catapultata in un mondo parallelo composto all’80% da donne, in un età compresa tra i 30 e i 45 anni, pronte a conquistare i bagni maschili al grido di “Girl Power!”. In fondo gli uomini sono davvero pochi e si sa che la toilette è un priorità tipicamente femminile.

Dopo l’opening di Jess Glynne, lo show sta per iniziare: sull’immenso palco si muove il corpo di ballo rigorosamente suddiviso e abbigliato a rappresentare lo spirito delle quattro Spice reduci: Ginger, Baby, Scary e Sporty. Posh-Victoria, come largamente preannunciato, non ha preso parte a questo reunion tour, ma, se ho perdonato Geri per aver lasciato il gruppo tanti anni fa, posso assolvere la signora Beckham da questo peccato.

Non posso negare che quando sul palco sulle note di Spice Up Your Life sono apparse come in una visione Mel C, Mel B, Emma e soprattutto Geri, il mio cuore ha sussultato di una gioia smaliziata e innocente. Per un momento non è stato affatto difficile immaginare di avere ancora 13 anni e poter essere davvero felice per qualcosa che per il resto del mondo è solo stupido. Loro sono lì a qualche metro da me, e certo sono invecchiate, il tempo a quanto pare passa anche se sei una Spice Girl, ma sono loro in carne, ossa, botox e paillettes. Sono quasi una visione che mi riporta agli anni Novanta, quel tempo che non era assolutamente perfetto, ma che oggi non è difficile catalogare come “più semplice”. O almeno lo era per me.

Durante tutto il concerto mi stupisco dal fatto che, nonostante non mi ricordi nemmeno la prima declinazione del latino, le canzoni delle Spice Girls, così meticolosamente studiate dal libretto della musicassetta, le sappia ancora tutte a memoria. Devo avere una grossa porzione di cervello dedicata alle cose “non molto utili nella vita di un adulto”, ma in definitiva nemmeno “rosa, rosae” contribuirebbe a pagarmi l’affitto.

Spice World Tour 2019
allo Wembley Stadium

Il live è un susseguirsi di singoli memorabili, che vedono alternarsi ballate e power hit, tra cambi d’abito spettacolari, momenti di commozione e messaggi che inneggiano all’uguaglianza e all’inclusione di genere, razza, etnia ecc. In un momento storico non propriamente votato all’unione e in una Gran Bretagna sull’orlo dell’effettiva Brexit, per qualche ora, ci siamo potuti concedere il lusso di credere ancora – quasi fosse il 1996 – che un mondo in cui siamo in grado di riconoscerci come simili sia ancora possibile.

Prima del concerto, pensando alla recensione che avrei potuto scrivere non avevo dubbi che sarebbe stato un reportage ironico su uno show pop e divertente. Sarà colpa delle lacrime trattenute per quasi due ore – e che sono scese, senza alcuna dignità, su Viva Forever – ma durante l’interminabile viaggio da Wembley al centro di Londra non ho potuto fare a meno di interrogarmi sull’impatto che le Spice hanno avuto sulla mia generazione.

Ho pensato alla scuola media, quando giocavamo ad essere le Spice e a me toccava fare Emma perché ero bionda e con la faccia da Teletubbies anche se dentro di me sentivo ardere lo spirito da Ginger Spice, alle mie amiche, a vestiti che non ho nemmeno il coraggio di ricordare di aver indossato, a quella prima volta che ho pensato di potercela fare e di poterlo fare da sola.

Sporty, Ginger, Baby, Scary e Posh. Le Spice Girls negli anni Novanta

Fanno parte del nostro vissuto, hanno raccontato storie che ci appartengono e che ci riportano con un sorriso alle prime cotte e all’illusione che quelle sensazioni potessero durare per sempre. Si sono aggrappate a innesti di amicizie che hanno saputo resistere al tempo e allo spazio. Sono detentrici di quel potere che, oggi come ieri, ci costringe tutte le volte che parte Wannabe alla radio ad alzare al massimo il volume e cantarla a squarciagola perché tutto è cambiato da allora ma, si sa, “friendship never ends”.

Le Spice Girls, che all’epoca erano largamente criticate da quello che era il movimento femminista, perché in fondo erano solo una girl band che faceva canzoncine pop, hanno avuto un’impatto fortissimo sulle ragazze della mia generazione. Il loro Girl Power non credo si possa ridurre a un mero brand da inserire nel gadget al prezzo migliore.

Non sono naïf, so che sono state una grandissima mossa commerciale, ma il messaggio che sono riuscite a far arrivare a chi come me era solo una preadolescente di una qualche sperduta provincia ha molto, molto più significato. Queste cinque ragazze inglesi, assolutamente imperfette, e, almeno all’apparenza, così simili a noi ci hanno prese per mano, una a una, e ci hanno detto: “Non sei sola, ce la puoi fare e non dimenticare di divertirti nel mentre”.

Senza ombra dubbio non sono diventata una pop star internazionale ricoperta di fama e denaro ma, ancora una volta, la scorsa settimana a Wembley ho sentito una una voce dirmi “Ehi tu, forse non sei più tanto giovane ma sicuramente non sei da sola e, non importa quanti pezzi hai perso per strada o quante ferite porti con te, sei qui e ce l’hai fatta”. Oggi come ieri, siamo tutte Spice Girls e una volta Spice Girl, Spice Girl per sempre.

«We’re the spice girls, yes indeed. Just girl power is all we need.
We know how we got this far, strength and courage and a wonderbra.»