«Verona, ci vuole coraggio!»
A tu per tu con Tommaso Ferrari, consigliere di minoranza (eletto per Verona Civica) e fondatore di Traguardi.
A tu per tu con Tommaso Ferrari, consigliere di minoranza (eletto per Verona Civica) e fondatore di Traguardi.
È alla sua prima vera esperienza politica Tommaso Ferrari, il consigliere di minoranza a Palazzo Barbieri, eletto nelle liste di Verona Civica che sosteneva la candidatura di Orietta Salemi e oggi tra i fondatori del movimento Traguardi. Anche se, a dire il vero, l’impegno civico ha sempre contraddistinto la sua vita. Ferrari, infatti, si è formato dapprima al Liceo Classico Maffei – dove è stato anche rappresentante d’istituto – e ha proseguito gli studi, dopo il diploma, alla facoltà di Ingegneria Ambientale a Padova, dove con una lista un po’ fuori dagli schemi, “Ingegneri at Work”, si è candidato come rappresentante degli studenti all’epoca delle proteste del mondo scolastico contro la Riforma Gelmini. Calciatore di buon livello, Ferrari ha aggiunto al suo bagaglio culturale, dopo la laurea e nel periodo degli studi magistrali, anche l’esperienza all’estero in progetti di sviluppo e cooperazione: dapprima in Guinea Bissau e in Nicaragua, poi ancora – dopo una breve parentesi in cui aveva avviato una start up con un paio di colleghi – in Libano, in Palestina e in Camerun. Una volta rientrato in Italia ha iniziato a lavorare nel suo settore a Porto Marghera, per seguire dei cantieri. «Questo mi ha portato a vivere stabilmente a Verona per un periodo più lungo del solito e lì ho maturato la convinzione che qui si viva benissimo, ma ci sono numerosi talenti non pienamente sfruttati, se non addirittura sprecati in qualche caso», afferma.
A quel punto decide di fondare prima River, un’associazione che si occupa di riattivare spazi urbani, poi Re-Generation, una sorta di laboratorio sulle sfide dei giovani rispetto al futuro. Da lì il passo alla politica è stato breve, anche perché nel frattempo Orietta Salemi, sua professoressa al Liceo, si è candidata alle primarie del PD e, una volta vinte, alla carica di Sindaco alle Amministrative del 2017, poi vinte da Federico Sboarina. «La spinta politica mi ha indotto a candidarmi, senza l’idea che bisogna per forza entrare in consiglio comunale. Anche grazie alle esperienze che ho ho fatto in precedenza ho maturato l’idea che c’è una forza a Verona pulsante ma silente e su questa forza ho deciso di investire il mio tempo».
Due anni fa è iniziato il suo impegno come consigliere comunale di minoranza per Verona. Che tipo di esperienza è, questa, per lei?
«L’esperienza politica è molto formativa, perché in realtà ti fa capire da una parte la complessità del processo decisionale e dall’altra la complessità intrinseca di intraprendere qualsiasi scelta. La lettura della realtà che ne faccio è sempre quella: io penso che in questa città manchi del coraggio. Il discorso dei talenti è sempre quello della confort zone, da cui difficilmente si vuole uscire. La politica veronese, in generale, è quella che tende a non cambiare mai, è una politica a tratti molto ombelicale e poco proiettata a scelte strategiche per la città del futuro. Ogni tanto, in particolare su alcune discussioni che riguardano le partecipate o lo sviluppo della viabilità di Verona, trovo che ci sia poco coraggio di andare dritto per il bene della città, sostanzialmente perché si vuole mantenere uno status quo che effettivamente premia o può premiare da un punto di vista elettorale. Ovviamente non premia, però, la città nel suo complesso.»
Dall’esperienza Verona Civica è nata, un anno e mezzo fa, l’associazione Traguardi. Che obiettivi vi siete posti?
«Verona Civica è nata in un contesto frettoloso, finalizzato principalmente alla campagna elettorale. A seguito di quell’esperienza ci siamo chiesti cosa avremmo potuto fare di questo 5,1% di preferenze che avevamo ottenuto. Abbiamo capito che l’impegno personale paga e da lì è nata l’idea di scommettere su questo. Un progetto civico aperto e orientato sulla città, che vuole ragionare senza steccati ideologici, con idee molto chiare su alcuni punti, come quelli dei diritti e di una Verona inclusiva, ma anche sul tema dell’innovazione e su altri aspetti. Questa città, secondo me, lo necessità.»
Che visione ha, lei, del futuro di Verona?
«In una politica che guarda, quando va bene, al dopodomani, io dico che bisogna avere il coraggio di guardare a dieci, quindici anni. Questo, almeno, è quello che fanno normalmente le città medio-grandi. Sul discorso cultura c’è moltissimo da fare. Secondo noi, e lo dicevamo già in campagna elettorale, si dovrebbe creare una fondazione che gestisca il patrimonio dei Musei Civici della città, con autonomia di bilancio e la possibilità di investire e far crescere al proprio interno risorse e giovani laureati. Poi dovrebbe esserci maggiore interconnessione su tutto ciò che muove cultura a Verona. Qui c’è un tessuto di associazionismo incredibile, che fa e promuove cultura a costo zero. La prima cosa da fare è aiutare queste associazioni a migliorare la qualità della loro offerta, che dovrebbe avere anche una regia centrale. Uno dei più grossi sbagli, secondo me, è poi quello di non differenziare il turismo a Verona.»
Cosa intende, nello specifico?
«C’è un tema dei quartieri e della città policentrica che va affrontato. Ad esempio Veronetta ha le potenzialità per essere il quartiere degli artisti di Verona, come avviene a Praga a Mala Strana o a Dublino a Temple Bar. Si cerca, in questi luoghi, un’esperienza diversa, forse più vera, che il centro inevitabilmente non dà. Perché, allora, non immaginare il Festival di Veronetta dove si chiudono Via XX settembre e Piazza Santa Toscana e vi si porta arte di frontiera? Io credo, poi, che in Piazza Dante non sia adatti i banchetti enogastronomici che spesso troviamo. Magari merita l’Orchestra dell’Arena, ma non i banchetti. Così come andrebbero valorizzati i percorsi naturalistici fuori dal centro storico che attraversano anche le zone della città più periferiche (Parona, Montorio) e che possono ampliare l’offerta culturale per i veronesi e non solo. A Verona vengono allestite alcune mostre molto belle, ma non c’è grande continuità e questo è un argomento su cui bisogna lavorare. Il tema del Grande Castelvecchio, per l’ampliamento del Museo, al momento non si sblocca per la presenza del Circolo Ufficiali. Credo che in un dialogo giusto con l’Arma e l’Esercito, il Comune debba trovare una soluzione quanto prima. Insomma, il Comune ha l’obbligo di investire in forme e offerte culturali nuove.»
Che soluzioni vede, invece, per l’annoso problema dell’inquinamento?
«Io non credo nell’ecologismo anni Sessanta, ma sono convinto che l’ambiente sia un fattore di sviluppo e di investimenti economici in formazione, ricerca, produzione di energia da fonti rinnovabili e via dicendo. Se lo releghiamo a un fattore meramente ambientalista non ne capiamo la portata. In questo senso le scelte sulla mobilità risultano abbastanza semplici: le città che hanno coraggio mettono prima il trasporto pubblico e la mobilità alternativa e dopo il trasporto privato; le città che non hanno coraggio, invece, accettano lo status quo, che, come si diceva, ti premia politicamente. Bisogna, secondo me, fare una pianificazione e accettare che il cambio di abitudini di alcuni cittadini possa anche comportare una distonia con il proprio elettorato, ma è impensabile che nel 2019 non si pensi a questi aspetti, secondo me basilari. A Verona negli ultimi quindici anni una vera programmazione in questo senso non si è mai vista. Attenzione, però: questo approccio non va contro le infrastrutture, ma serve chiarire se ci si vuole muovere con bici, a piedi o con i mezzi pubblici vanno compiute scelte forti.»
A proposito di infrastrutture: parliamo del filobus di superficie e del traforo delle Torricelle.
«Il filobus, per come è nato, secondo me è un progetto monco: per la capienza e per il fatto che non arriva dove dovrebbe arrivare, come ad esempio a Parona. Doveva essere fatto molto meglio, ma come al solito è mancata la pianificazione in questa città. Sono d’accordo con il progetto ambizioso di recuperare gli antichi tratti di ferrovia per tentare di recuperare una parte di metropolitana su rotaie. Sul traforo dipende tutto da come lo si pianifica. Come era stato inteso da Tosi, che più che guardare alla città guardava all’opera stessa, per me non andava bene. Ma in un’ottica di infrastruttura generale non va assolutamente demonizzato. Non credo che si possa dire di no a infrastrutture che colleghino una cintura larga della città, ma è altrettanto evidente che se si può non fare ovviamente siamo tutti più contenti. Diciamo che non bisogna avere alcun preconcetto nell’affrontare l’argomento, ma capire se e come realizzarlo per il bene di tutti.»
A fine maggio ci sono state le elezioni europee: cos’è cambiato, per voi?
«Non moltissimo. Il risultato nazionale era prevedibile. Quello che appare abbastanza evidente è che bisogna cambiare l’agenda politica di questo paese. Alcuni argomenti come giovani ed equità generazionale, l’ambiente, l’innovazione, lo sviluppo, l’attrattività sono ancora dei grandi sconosciuti per i nostri rappresentanti. Tutti si riempiono la bocca del tema ambiente, ma poi nessuno propone mai nulla di concreto. Anche sul discorso natalità c’è un problema, anche se in parte compensato dalla natalità straniera, ma più in generale c’è un problema di attrattività per i nostri giovani, che tendono ad andarsene o a fare pochi figli per via della precarietà economica in cui vivono.»
Durante la campagna elettorale avete sostenuto Calenda, che nei mesi precedenti avete anche portato in un paio di occasioni qui a Verona. Che ne pensa? Può essere la persona giusta attorno al quale ricompattare la sinistra in Italia?
«Con Calenda abbiamo un buon rapporto personale, credo molto franco. Secondo me affronta la tematica dello sviluppo in modo molto attuale e quindi i temi che porta avanti sono molto concreti e per questo io sinceramente lo trovo molto efficace. Per questo l’abbiamo sostenuto. Penso che creare un polo riformista dove possano trovare casa anche famiglie limitrofe al Partito Democratico, come i Liberali e i Progressisti sia assolutamente sensato in Italia così come a Verona, per cui ritengo che Calenda sia una risorsa per il Paese e in generale possa aprire un corso politico di assoluta necessità a livello locale e nazionale.»
Guardiamo in avanti a tre anni. Nel 2022 ci saranno le elezioni amministrative a Verona. Cosa succederà per voi?
«Traguardi sarà in campo e io spero che questa città sia capace di risvegliare la maggioranza dei veronesi, che sono persone che si danno da fare ogni giorno e nel silenzio attendono un’alternativa valida alla Lega e che guardi al futuro. Spero possa nascere una coalizione che sia forte e che abbia anche i nostri ingredienti, senza troppi temi ideologici, in campo progressista e che raccolga l’interesse della società civile, dei giovani e delle moltissime persone che abitano nelle periferie. La mia ambizione è di far parte della costruzione di un progetto valido, serio, vincente. Bisogna, però, essere i primi ad essere credibili, al di fuori dei soliti steccati veronesi, perché non esiste solo la destra irredentista, ma tantissimi cittadini che semplicemente guardano alla credibilità politica e progettuale.»
Due anni fa la candidata del centrosinistra Orietta Salemi non arrivò nemmeno al ballottaggio. Evidentemente sono stati compiuti degli errori in quell’occasione…
«Sì, certo. Fra questi anche quello di scegliere il candidato pochissimo tempo prima delle elezioni. Se la politica si muove solo e soltanto quando ci sono le elezioni si perde sempre e comunque. Io non credo che l’elettore a livello locale scelga la bandiera, ma penso che – ribadisco – scelga la credibilità. Io credo che il Partito Democratico, da sempre molto frazionato ma che ha sempre fatto un’opposizione dura e forte su alcuni temi, ha un po’ mancato di propositività. In generale la gente non vuole solo sapere cosa non va, ma vuole anche sentire delle proposte concrete. Che idee abbiamo noi di Verona? Dobbiamo chiarirlo e farlo conoscere ai cittadini. Non si fa politica solo negli ultimi mesi prima della tornata elettorale, ma tutti i giorni e la comunicazione, in questo senso, è fondamentale. Su quello bisogna investire e non solo sulla singola persona o il singolo candidato. Milano, in questo senso, può essere un buon esempio. Pisapia ha vinto con una coalizione stranissima, poi Sala ne ha ereditato il progetto e lo sta portando avanti.»