E così a Parigi Rafa Nadal ha fatto 12 (su un totale di 18 titoli Slam), record inarrivabile, a dir poco mostruoso. Eppure le premesse quest’anno non erano delle migliori: il 20 aprile scorso il maiorchino aveva subito una pesante sconfitta da Fabio Fognini a Montecarlo, stessa sorte gli era poi toccata contro Dominic Thiem a Barcellona e quindi contro Stefanos Tsitsipas a Madrid. Tre legnate dure e dolorose per uno abituato a incidere senza troppe concessioni agli emendamenti il codice della legge sulla terra battuta. Qualcosa che non andava c’era, ma Nadal è uno che le partite è abituato a vincerle prima ancora di giocarle.
A dispetto di qualche ruggine fuori, dovuta ai 33 anni e all’usura di un tennis molto fisico e dispendioso, ha l’acciaio dentro, non molla un millimetro e si prepara alle battaglie curando ogni singolo dettaglio, anche il più piccolo. L’improvvisazione è zero (nemmeno nella disposizione delle bottigliette d’acqua ai cambi di campo), c’è sempre un piano atletico, mentale e tattico. Il tutto è solidità di granito. E allora la chiave di volta l’ha trovata anche stavolta: ha prima conquistato il titolo a Roma battendo il rivale Djokovic dopo essersi preso la rivincita su Tsitsipas in semifinale, e ha quindi scritto per la dodicesima volta il proprio nome nell’albo d’oro del Roland Garros dove si è facilmente sbarazzato di Federer in semifinale e liquidato Thiem all’ultimo atto sul Philippe Chatrier. Un passo falso nel quarto set, ma una volta rimessi in ordine gli ingranaggi del cannone, Nadal ha preso a pallate l’austriaco (alla seconda finale consecutiva a Parigi persa contro lo spagnolo) nel quarto. Match in pratica mai in discussione: per stare in partita era evidente come Thiem ricorresse agli straordinari, ma in un tre su cinque contro un monolite come Nadal, sapeva anch’egli bene che con ogni probabilità al primo sintomo di cedimento avrebbe finito per lasciarci le penne. Cosa che puntualmente è avvenuta.
Per dare un’idea di cosa significhi l’equazione Parigi=Nadal, basti pensare che tra il 2005 e il 2019 il fromboliere di Maiorca ha toppato in sole tre edizioni su quindici (2009, 2015, e 2016 quando fu costretto al ritiro)! E pensare che quando Bjorn Borg ne vinse sei a cavallo tra gli anni settanta e l’inizio del nuovo decennio, lo si scambiava per un marziano. Che Nadal sia il più grande giocatore di tutti i tempi sulla terra rossa, è fin superfluo scriverlo. Discorso chiuso e lo sarà ancora per chissà quanto. Rimane invece aperto quello della palma del più grande di ogni tempo. Rod Laver è l’unico tennista ad aver firmato il Grande Slam, da dilettante nel 1962 e da professionista nel 1969 un anno dopo il battesimo dell’era Open. In totale l’australiano vanta 11 titoli Slam. Giù il cappello, ma quello era un altro tennis.
Come noto il record, lo detiene Roger Federer a quota 20. Con la dodicesima perla nel collier parigino, Nadal lo tallona ora a sole due lunghezze. Insieme a Novak Djokovic, sono proprio loro ad aver scritto la storia del tennis in queste due prime decadi di nuovo millennio. L’eleganza artistica dello svizzero contrapposta alla debordante potenza dello spagnolo. Pennello e bazooka, il tema è sempre quello. Se sul rosso non c’è partita, come del resto si è visto anche nella semifinale di Parigi, sull’erba (anche se più lenta rispetto ad un tempo) Federer può accorciare gli scambi e girarla a suo favore; più in equilibrio la sfida eterna appare su cemento e sintetico: tre anni fa a Melbourne Federer sconfisse Nadal in un’epica finale degli Australian Open passata a leggenda.
C’è però un fatto: quattro anni di differenza sono tanti. Il Divino di Basilea ne ha 37, vero che gioca più per divertire e divertirsi, ma è altrettanto vero che al suo record tiene eccome e che il prossimo Wimbledon (con 8 trionfi al Duca e la Duchessa di Kent può persino permettersi di dare del Tu) è una delle ultime occasioni per aggiungere un capitolo alla storia. Nadal ha a sua volta capito che per allungare la sua carriera, deve pianificare gli impegni; ecco allora che ha già fatto sapere che sull’erba dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club non ci sarà. Il suo obiettivo è ora preparare al meglio il mese di agosto sul cemento nordamericano, che culminerà con gli Us Open a Flushing Meadows dove vanta tre successi (l’ultimo due anni fa) e punta a portarsi ad un solo Slam da Federer.
Impresa molto difficile per due ragioni: primo, ogni scambio sul cemento è una coltellata alle sue martoriare ginocchia; secondo, di mezzo troverà un Djokovic cui l’abito del terzo incomodo è sempre stato stretto. A ragion veduta, se aggiungiamo che il serbo ha 32 anni, è il numero uno al mondo, ha vinto 15 tornei dello Slam, ed è stato capace di infilarne quattro di fila, anche se non nello stesso anno, risultando così l’unico ad avvicinarsi quantomeno al record di Laver. A Londra e New York si presenta da detentore di entrambi i titoli, e quindi il favorito numero uno è lui. Gli altri, il talento di Stefanos Tsitsipas su tutti, hanno già le mani sul futuro, ma non ancora sul presente. Per quello dovranno aspettare ancora un po’.
Rimane aperta una questione: premesso che la rivalità allunga le racchette ad entrambi, può Nadal raggiungere il record di Federer di 20 Slam? Certo, a patto che pianifichi gli impegni senza chiedere troppo al suo motore e concentri il suo tennis sulla terra rossa, dove è ancora di gran lunga il più forte in circolazione. In fondo se Parigi val bene una messa, per uno come lui ne può benissimo valere anche due, e forse anche di più.